Impressions chosen from another time

Frammenti di letteratura, poesia, impressioni
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  • Tag: Wislawa Szymborska

    • Un’ora con…Ophelinha

      Posted at 11:50 am05 by ophelinhap, on May 27, 2016

      me

       

      Questa puntata di Un’ora con è un po’ fuori dalle righe e diversa dalle altre, perché a rispondere alle domande…sarò io 😉

      È da tempo infatti che volevo fare un po’ il punto della situazione: parlare di com’è nato il blog, come si è evoluto nel corso degli anni, come vorrei che continuasse a cambiare. Avrei voluto farlo a novembre, in occasione del quarto compleanno del blog, ma eravamo in fase di preparazione del calendario dell’Avvento letterario, un’esperienza molto divertente che spero di ripetere anche quest’anno (voi della ciurma, ci sarete tutti, vero?)

      Approfitto dell’occasione anche per parlare un po’ di me: sono schiva, riservata e mi viene sempre più facile nascondermi dietro Ophelinha che far venire fuori Manuela. Voglio provare comunque a mettermi, per una volta, dall’altra parte e provare a raccontarmi. Pronti?

       

      1) Impressions chosen from another time: come e perché?

      Il mio blog nasce in un brumoso pomeriggio del lontano novembre 2011. Avevo già scritto su altri blog e testate (tipo qui o qui), occupandomi prevalentemente di politica europea; quando poi questa passione è diventata anche un po’ (all’incirca pressappoco) il mio lavoro, ma non nei termini o nelle misure che speravo (quasi per niente), ho sentito la necessità di dare sfogo ad altre passioni che mi rappresentassero maggiormente: la lettura, la letteratura, la scrittura, il cinema, il teatro.

      Avevo un numero imprecisato di quaderni pieni di appunti, poesie, racconti, e ho pensato – anche per smettere di perderli – di iniziare a ricopiarli in questa sorta di finestrella virtuale che mi era creata su blogger. Vorrei poter dire che la ragione per cui ho iniziato a scrivere sul blog è qualcosa di eroico, nobile ed elevato, ma non è così: era un pomeriggio di novembre, mi ero ri-trasferita da circa un annetto (dopo aver vissuto a Roma, Londra, di nuovo Roma, di nuovo Londra, di nuovo Roma e una prima volta a Bruxelles), c’era un sacco di nebbia e faceva freddissimo. L’inverno 2011 è stato il secondo inverno più freddo di quelli che ho trascorso in Belgio: ha nevicato fino ad aprile e per me è stata dura abituarmi sia al freddo che a un contesto professionale molto diverso.

      Nel primo post ho copiato semplicemente una poesia che avevo scritto a Londra nel 2008, Un altro finale, perché era quello che mi auguravo: di trovare il mio lieto fine, un posto in cui stare bene, un lavoro che mi appagasse, un contesto socio-professionale (e climatico) che mi si confacesse di più. Non l’ho ancora trovato (segno che dovrei ritirarmi nella campagna inglese e fare l’eremita) e mi auguro ancora esattamente le stesse cose, ma da un annetto a questa parte ho iniziato a provarci sul serio, e spero di trovare presto quello che sto cercando.

      Il titolo del blog è tratto da una canzone di Brian Eno, By this river, colonna sonora de la stanza del figlio di Nanni Moretti. Amo le canzoni malinconiche (sono un’allegrona), e il testo di By this river è davvero bellissimo, oltre a riflettere lo stato d’animo in cui mi trovavo nel periodo in cui ho aperto il blog (e in cui mi ritrovo a momenti alterni): così confusa e lontana dalle cose importanti per me da sentirmi con la testa sott’acqua, cercando di carpire l’eco di parole troppo lontane per risultare intellegibili (suona drammatico, lo so, ma non lo è: abbiate pazienza, sono una drama queen) .

       

      2) Chi c’è dietro Impressions chosen from another time?

      Ci sono io, Manuela. C’è Ophelinha, che è nata come una crasi tra l’ineffabile Ofelia shakesperiana, scritta all’inglese (Ophelia) e la malinconica Ofélia Queiroz, eterna fidanzata e mai moglie di Fernando Pessoa. L’incomprensibile grafia vuole essere metà anglofona, metà lusofona: finora quasi nessuno è riuscito a scriverla correttamente, ma non riesco a liberarmene, per ragioni che ora cerco di spiegarvi. Abbiate pazienza, e sopportatemi!

      L’eteronimia mi ha sempre affascinato: ho iniziato a studiare il portoghese al secondo anno di università e mi sono innamorata di Pessoa. Ophelinha (Pequena, scritto come nella versione portoghese, perché Pessoa, tra altri nomignoli e vezzeggiativi, chiamava la fidanzata “la sua piccola Ofelia”) è diventata per me un posto felice, un repositorio di cose belle nel quale rifugiarmi e dietro al quale nascondere la mia timidezza (Lucio Battisti usava i suoi ricci, io uso Ophelinha, anche un po’ i ricci, a dire il vero). Ophelinha è un po’ la regina di quelle storie d’amore infelici e contrastate di cui ho sempre voluto farmi paladina, ed è rétro e antiquata quanto basta per piacermi.

      Dietro Ophelinha c’è Manuela, timida, disordinata, idealista, donchisciottesca, nevrotica, insonne, perennemente alla ricerca di qualcosa.

      Amo leggere, scrivere quando ne ho voglia, viaggiare (specie se si tratta di andare a Londra, il mio posto preferito in assoluto, o se si tratta di andare da qualche parte dove c’è il mare e possibilmente il sole). Amo il teatro (ho fatto parte di un gruppo anglofono fino a due anni fa e mi manca un sacco), la campagna inglese, i frullati di frutta, un buon vino bianco (aziende vinicole, vero che volete farvi sponsorizzare da me?), la focaccia, la musica di Leonard Cohen e di Joni Mitchell (non ascolto solo musica deprimente, lo giuro).

      Mi interessano la politica internazionale e il mondo della comunicazione e dei new media, che sto cercando di approfondire, essendo da qualche mese tornata a studiare.

      Non amo le polemiche (specie quelle sui social media – a cui comunque sono troppo pigra per rispondere), i posti troppo affollati, la mancanza di gentilezza, l’opportunismo, l’arroganza, il freddo e la neve. Sto cercando di trovare il giusto equilibrio tra l’eccesso di condivisione e l’essere diventata una privacy freak: le cose più belle e personali, però, me le tengo per me, ben strette.

       

      3) Il tuo scaffale d’oro

      Nel mio scaffale d’oro metterei in primis i libri che mi hanno insegnato ad amare la lettura: Piccole donne di Louisa May Alcott, Cime tempestose di Emily Brontë, tutta Jane Austen. Ci sarebbe tanta poesia: Antonio Machado, Juan Ramón Jiménez, Federico García Lorca, Eugenio Montale, Jacques Prévert, TS Eliot, Sylvia Plath, Emily Dickinson, ee cummings, Wislawa Szymborska, Leonard Cohen, Pablo Neruda, solo per citarne alcuni. Ci sarebbero le lettere di Pessoa alla fidanzata e quelle di Sylvia Plath alla madre. Ci sarebbero i racconti di Alice Munro e l’Ernest Hemingway di Addio alle armi, Per chi suona la campana e Fiesta. Ci sarebbe l’incredibile Gabo con le meraviglie di Macondo e l’idilliaca Port William di Wendell Berry. Non potrebbe mancare una rappresentanza russa, Anna Karenina e Lolita in cima al mucchietto. Ci sarebbe un libro che ho amato in un momento particolare della mia vita, L’eleganza del riccio di Muriel Barbery, qualche biografia e qualche bella saga familiare, tipo I viceré di De Roberto. Non potrebbe mancare qualche testo teatrale – l’Amleto shakespeariano, Casa di bambola di Ibsen, La Locandiera di Goldoni per un amarcord di tutto rispetto. Ci sarebbe Il grande Gatsby, col suo finale che mi fa rabbrividire ogni volta che lo leggo, e L’insostenibile leggerezza dell’essere di Kundera. Ci sarebbero vecchi amici – La coscienza di Zeno di Svevo, il Coe de La banda dei brocchi e La casa del sonno, Via col Vento della Mitchell, Sostiene Pereira di Tabucchi, nuovi amori – Jonathan Franzen, nuove scoperte – Miriam Toews e Elizabeth Strout.

      E ci sarebbe un bel po’ di spazio per i libri che verranno.

      libri

      4) Un personaggio in cui ti immedesimi particolarmente

      Sono un po’ Ofelia, un po’ Rossella O’Hara di Via col Vento: testarda, ostinata, sono bravissima a fare pessime scelte e a rimpiangerle per molto, moltissimo tempo. La mattina del mio ventiquattresimo compleanno ho trovato sulla porta della mia stanza (abitavo in uno studentato) un post-it con l’aggettivo quixotic, e non a torto: ho in comune con Don Chisciotte la tendenza a battermi per le cause perse  e a essere romanticamente idealista (e a sentirmi fuori posto abbastanza spesso).

      5) Se il tuo blog fosse una canzone…

      …sarebbe la canzone che gli ha dato il titolo (vedi risposta uno), con un tocco di Famous blue raincoat di Leonard Cohen e di Both sides now di Joni Mitchell (cantata a squarciagola sotto la doccia).

       

      6) Il tuo rapporto con la scrittura/con la lettura

      Con la lettura è sempre andata abbastanza bene, anche se il trucco nel mio caso è trovare il libro che funzioni a seconda delle situazioni, ispirazioni, stati d’animo, livelli di stress e stanchezza.

      Con la scrittura è molto più altalenante: non scrivo quando non ne ho voglia, non scrivo quando non ho effettivamente qualcosa da dire. La scrittura – specie quella personale, che non va a finire necessariamente nel blog, almeno per ora – va spesso per me di pari passo con stati d’animo riflessivi e malinconici: per dirla con Luigi Tenco (o Bruno Lauzi, dato che non ci si mette d’accordo sulla paternità di questa citazione), quando sono felice esco.

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      7) Progetti in cantiere

      Mi piacerebbe tornare a dare al blog un taglio più personale: parlare di letteratura e raccontare storie mettendoci anche pezzi di me. La realtà è che, al momento, scrivo prevalentemente lettere di motivazione da affiancare al curriculum, e, per quanto inizi seriamente a pensare che alla redazione di cv e affini andrebbe dedicato un intero genre, non credo che il mondo sia ancora pronto a canonizzarlo. In definitiva, mi tocca mettermi a ricercare la mia voce eccetera, sperando che il processo non sia troppo lungo o doloroso e che non includa meditazione o affini (ho provato a meditare una volta e sono andata in spin: devo pensare a un posto felice – non mi viene in mente un posto felice – ma ho attaccato la lavatrice stamattina? – ma che ansia.)

      Vorrei anche ripetere a dicembre il calendario dell’Avvento letterario e continuare a organizzare iniziative insieme a gente che mi piace.

       

      Sono prolissa, lo so. Se siete arrivati fino a qui sotto meritate un premio 😉

       

      Posted in Guestpost e interviste | 7 Comments | Tagged #AvventoLetterario, Addio alle armi, Antonio Tabucchi, Both sides now, Brian Eno, Casa di bambola, Cime tempestose, Don Chisciotte, Elizabeth Strout, Emily Brontë, Emily Dickinson, Ernest Hemingway, Eteronimi, famous blue raincoat, Federico García Lorca, Fernando Pessoa, Francis Scott Fitzgerald, Ibsen, Il Calendario dell'Avvento Letterario, Jane Austen, Janeite, Jonathan Coe, Jonathan Franzen, Joni Mitchell, Juan Ramón Jiménez, L'eleganza del riccio, l'insostenibile leggerezza dell'essere, La banda dei brocchi, la coscienza di zeno, Leonard Cohen, Me myself and I, Milan Kundera, Miriam Toews, Muriel Barbey, Ofélia Queiroz, Ophelia, Pablo Neruda, per chi suona la campana, Piccole donne, Rossella O'Hara, Shakespeare, Sostiene Pereira, Sylvia Plath, The Great Gatsby, ts eliot, Via col vento, Margaret Mitchell, Wendell Berry, Wislawa Szymborska
    • Un’ora con…Noemi Cuffia di Tazzina di caffè

      Posted at 11:50 am06 by ophelinhap, on June 30, 2015

      tazzina

      Oggi è la volta di una blogger a cui tengo in modo particolare, per tutta una serie di motivi.

      È la prima book blogger che ho iniziato a leggere e a seguire anni fa, quando ho scoperto il magico mondo dei blog, sul suo delizioso Tazzina di caffè, nel quale Noemi continua a tenerci svegli a colpi di caffeina e libri belli. Noemi fa anche la cantastorie sul suo Acqua Naturale, un contenitore di impressioni, instanti, immagini, ricordi  che scivolano tra le dita.

      Noemi ha inoltre portato a compimento il suo sogno di scrivere, pubblicando con LibrerAria Il metodo della bomba atomica nel 2013 e, da pochi mesi, il frizzante Ricette per ragazze che vivono da sole, realizzato insieme a Ilaria Urbinati e pubblicato da Zandegù editore.

      Se non la conoscete già, se non la leggete già (cosa che dubito fortemente) vi invito a scoprirla, e a fermarvi a bere una tazzina di caffè con lei.

       

       

      1) Tazzina di caffè: come e perché?

      Il come è semplice: un blog in cui pubblico le foto dei libri che leggo con accanto (o più spesso sopra…) una tazzina di caffè. L’idea è nata così, semplicemente. Sul perché invece ci sarebbe da raccontare per ore, e al tempo stesso non si arriverebbe forse a una spiegazione sensata (e breve!). Credo che, in poche parole, il perché sia questo: perché mi piace scrivere e raccontare agli altri ciò che mi accade.

       

      2) Chi c’è dietro Tazzina?

      Dietro Tazzina c’è un’indefessa squadra di piccoli aiutanti di Babbo Natale! Scherzo, ci sono solo io, una persona sola. Anzi, solitaria ma non troppo… Una persona che vuole tenere accesa e viva la fiamma della sua passione per la scrittura: non sempre è facile ma non riesco proprio ad arrendermi.

       

      3) Il tuo scaffale d’oro

      Calvino, Melville e Szymborska.

       

      4) Un personaggio in cui ti immedesimi particolarmente

      Oggi come oggi non saprei, ma la prima identificazione della mia storia di lettrice è stata con L’Idiota di Dostoevskji. E ricordo che fu una sensazione sconvolgente, che mi portò a capire il potere vero della letteratura.

       

      5) Se il tuo blog fosse una canzone..

      Bellissima domanda. Sarebbe una canzone dei Beatles: Across the Universe, cantata da Fiona Apple.

       

      6) Il tuo rapporto con la scrittura/con la lettura

      Per me è una questione di vita o di morte: è una citazione, che ho anche letto di recente, ma non ricordo più dove!

       

      7) Progetti in cantiere

      Scrivere altri romanzi (dopo Il metodo della bomba atomica, uscito ormai due anni fa per LiberAria editrice). E credere sempre che sia possibile intrattenere le persone tramite la scrittura.

      Posted in Guestpost e interviste | 1 Comment | Tagged blogging, Fyodor Dostoevsky, Italo Calvino, Melville, Noemi Cuffia, Tazzina di caffè, un'ora con, vita da blogger, Wislawa Szymborska
    • What we talk about when we talk about poetry

      Posted at 11:50 am06 by ophelinhap, on June 12, 2015

      neruda

      Vedere il Cielo d’estate è Poesia

      Anche se in nessun libro puoi trovarlo

      Le poesie vere fuggono

      scriveva Emily Dickinson, illustrando meravigliosamente la natura schiva della poesia, che elude chi non la cerca senza pregiudizi, col cuore e la mente aperta, l’anima nuda, gli occhi chiusi. Leggere una poesia significa abbandonarsi con fiducia a un flusso di parole che custodiscono significati nascosti, a immagini magiche, mitiche, nelle quali quasi tutto è un’altra cosa.

      Non per niente, Federico García Lorca scriveva che la poesia non cerca adepti, ma amanti.

      Come con ogni amante che si rispetti, il mio rapporto con la poesia non è mai stato semplice, né uguale a se stesso: ma l’intensità non è mai variata. Forse per questo sentire che così tanti lettori evitano la poesia come la peste bubbonica, spesso in base a cattive esperienze in età scolastica, mi rattrista enormemente. Nel tempo ho raccolto un po’ di pregiudizi tra i più comuni, che mi piacerebbe provare ad analizzare, e, ove possibile, a sfatare. Pronti? Via.

      1. La poesia è snob ed elitaria

      La poesia è accessibile a tutti, perché soddisfa un tipo di sete che altre forme di letteratura, o di arte in senso lato, non riescono ad estinguere. Tocca corde sensibili, sazia quel bisogno di conferme, quel sentirsi parte di qualcosa, un uno universale, ma non unico, bensì multiforme, poliedrico, dai molti splendori e sfaccettature. La poesia abbraccia un concetto di umanità secondo il quale nessun uomo è un’isola, e quando suona la campana suona per tutti, e un pezzo di questo unicum muore, per dirla con John Donne – visto che grande fetta del nostro immaginario collettivo, dei nostri modi di dire deriva dalla poesia e non dalla prosa? Un’ulteriore riprova del fatto che Calliope, Erato ed Euterpe  – muse della poesia epica, della poesia amorosa e della poesia lirica- non sono poi così distanti dai comuni mortali.

      La poesia aiuta a non sentirsi soli, a rendersi conto che qualcuno è già stato lì prima di noi, ha vissuto le stesse cose, si è sentito nello stesso modo. Stati d’animo ed esperienze non sono isolate, ma parte armonica di una trama che contribuisce a rendere il particolare universale.

      2. La poesia non vende

      Probabilmente è anche vero, ma non è un motivo per smettere di pubblicarla, no?

      Se acquistassimo tutti le stesse cose, leggessimo esattamente gli stessi libri (ah, le mode) e iniziassimo a pensarla allo stesso modo, su tutto, il mondo sarebbe un posto infinitamente meno interessante.

      3.La poesia è inutile

      Ne siete ancora convinti? Andate e rileggere il punto 1) e un vecchio post sull’utilità della poesia.

      La mia personalissima esperienza è che la poesia ha una funzione consolatoria, alla quale non sempre la prosa riesce ad assurgere. Nel periodo un po’ complicato che sto vivendo, che giustifica la mia latitanza dal blog e dai social media, mi rifugio spesso e volentieri tra i versi, e mi fa un gran bene

      4. La poesia è difficile

      Può esserlo anche la prosa. E, comunque, spesso le cose più belle sono le più difficili.

      Oltre la metrica, oltre lo stile, oltre le infrastrutture, oltre il suo “abito” più o meno pesante, più o meno intricato, la poesia si presenta nuda, semplice, schietta agli occhi del lettore, offrendogli verità individuali e universali.

      4. La poesia è per depressi

      Surreale ma vero, me lo sono sentito ripetere più e più volte. Rieccheggia nelle mie orecchie quel giocherellone di Gozzano ne La Signorina Felicita, ovvero la Felicità:

      Oh! questa vita sterile, di sogno!

      Meglio la vita ruvida concreta

      del buon mercante inteso alla moneta,

      meglio andare sferzati dal bisogno,

      ma vivere di vita! Io mi vergogno,

      sì, mi vergogno d’essere un poeta!

      E penso ai versi pieni di vita e di passione di Pablo Neruda, alle linee di luna e ai sentieri di mela, alla notte azzurra di Cuba e ai rampicanti di stelle tra i capelli.

      E mi vengono in mente alcune poesie di ee cummings, i suoi versi giocosi, i suoi elefanti, uccelli e alberi, le sue metafore ardite, la sua celebrazione della vita e di quel sì che è la chiave di un mondo di parole arricciate. E i gatti e i libri sempre aperti a metà di Wislawa Szymborska, i ragazzi che si amano di Jacques Prévert, la speranza piumata e i poeti che accendono lampade di Emily Dickinson.

      E resto in ammirata soggezione davanti all’incanto e alla meraviglia della poesia, antica come il mondo e sempre nuova, piena di significati cangiati, sempre diversi, che si adattano alla sensibilità e ai bisogni del lettore.

      E ammiro sempre di più il coraggio spavaldo dei poeti, le loro timide rivoluzioni.

      C’è bisogno di poesia, e c’è bisogno di silenzio.

      C’è bisogno di lentezza, e di tempo.

      C’è bisogno di aria, di luce naturale, di ricordarsi di respirare.

      C’è bisogno di un posto da chiamare proprio.

      Fortuna che c’è Wendell Berry coi suoi versi a ricordarcelo (potete leggere il testo originale qui).

      Come essere un poeta

      (un promemoria)

      Trova un posto dove sederti.

      Siediti. Osserva il silenzio.

      Affidati con fiducia

      agli affetti, alle letture, alle conoscenze

      alle capacità – più di quelle che possiedi –

      all’ispirazione, al lavoro, alla maturità, alla pazienza,

      perché la pazienza unisce tempo

      ed eternità. Metti in dubbio il giudizio

      dei lettori che amano le tue poesie.

       

      Respira incondizionatamente

      l’aria non condizionata.

      Evita l’elettricità.

      prenditi tempo per comunicare. Vivi

      una vita a tre dimensioni;

      rifuggi dagli schermi.

      Sta’ lontano da tutto quello

      che oscura il posto dove si trova.

      Non ci sono luoghi profani;

      ci sono solo luoghi sacri

      e luoghi sconsacrati.

      Accetta quello che arriva dal silenzio.

      Cerca di trarne il meglio.

      Di quelle semplici parole che provengono

      dal silenzio, come preghiere

      restituite a chi prega,

      fanne una poesia che non disturbi

      il silenzio da cui è arrivata.

      wbb

      Soundtrack: Pour toi mon amour, Thomas Fersen (dall’omonima poesia di Jacques Prévert)

      Posted in Frammenti di poesia | 7 Comments | Tagged Edward Estlin Cummings, ee cummings, Emily Dickinson, Federico García Lorca, Guido Gozzano, Jacques Prévert, Pablo Neruda, poesia, Poetry, Wendell Berry, Wislawa Szymborska
    • Walt Whitman, Wislawa Szymborska e due poesie che battono all’unisono

      Posted at 11:50 pm02 by ophelinhap, on February 3, 2014
      Walt Whitman (1819 – 1892)
       
      In un momento di serendipità, due poeti diversi, due poesie che battono con un unico cuore: A uno sconosciuto (To a stranger) e Amore a prima vista (Love at first sight).
      Lui è Walt Whitman, il celeberrimo poeta statunitense autore di Leaves of Grass e di Song of the open road; lei è la polacca Wislawa Szymborska, premio Nobel per la letteratura 1996.

      Entrambi si rivolgono allo sconosciuto, al passante, partendo da due punti di vista diversi: Whitman è il protagonista della poesia, colui che osserva lo sconosciuto, la passante, e si sente esplodere di una divina impazienza, perché la sua ricerca potrebbe essere finita: lui/lei potrebbero essere l’amore della sua vita, l’amico che cercava, qualcuno con cui in passato ha già condiviso momenti e sorrisi. Qualcuno che ha già toccato la sua vita e tornerà a toccarla, qualcuno con cui correre, qualcuno che diventa lo stesso Whitman: i confini tra le due diverse fisicità si perdono, e i due diventano stesso corpo, stesso sangue, due cuori che battono all’unisono fino a fondersi in uno solo.

      La Szymborska, invece, si diverte a fare la benevola osservatrice esterna di una coppia di passanti, convinti di essersi appena incontrati, di essere uno dei fortunatissimi (e fortuiti) casi di amore a prima vista. La poetessa ne immagina tutte i momenti, le situazioni in cui la loro vita deve essersi inconsapevolmente toccata: i segni, i segnali, i sogni. Perché non esistono lieti inizi, ma solo lieti seguiti, e non esistono lieti fini, perché il libro degli eventi è sempre aperto a metà.

      Entrambi i poeti accarezzano l’idea del passante come contenitore delle infinite possibilità della vita, una sorta di giardino dei sentieri che si biforcano alla Borges. I due sembrano rifarsi alla filosofia di John Donne: nessun uomo è un’isola, e quando suona la campana a morte una piccolissima parte di noi muore. Perché tutti noi siamo parte di un unico corpo, e quando un braccio o un dito o il collo fanno male, l’intero organismo si abbatte. Non esistono dunque sconosciuti, ma soltanto misteri, punti interrogativi, incroci, possibilità.
      E tutti in qualche modo riescono a toccare la nostra vita, seppur per un momento fugace.

       

       

      To a Stranger, Walt Whitman (Leaves of grass)

      PASSING stranger! you do not know how longingly I look upon you,
      You must be he I was seeking, or she I was seeking, (it comes to me, as of a dream,)
      I have somewhere surely lived a life of joy with you,
      All is recall’d as we flit by each other, fluid, affectionate, chaste, matured,
      You grew up with me, were a boy with me, or a girl with me, 5
      I ate with you, and slept with you—your body has become not yours only, nor left my body mine only,
      You give me the pleasure of your eyes, face, flesh, as we pass—you take of my beard, breast, hands, in return,
      I am not to speak to you—I am to think of you when I sit alone, or wake at night alone,
      I am to wait—I do not doubt I am to meet you again,
      I am to see to it that I do not lose you.

      Ad uno sconosciuto
       Sconosciuto che passi! tu non sai con che desiderio io ti guardo,
      tu devi essere colui che io cercavo, o colei che cercavo
      (mi arriva come un sogno),
      certamente ho vissuto in qualche luogo una vita di gioia,con te
      tutto è ricordato, mentre passiamo l’uno vicino all’altro
      fluido, amorevole, casto, maturo
      sei cresciuto con me, sei stato ragazzo o ragazza con me,
      io ho mangiato e dormito con te, il tuo corpo è diventato
      qualcosa che non appartiene soltanto a te, nè ha
      lasciato che il mio restasse mio soltanto,
      mi hai dato il piacere dei tuoi occhi, del tuo volto, della
      tua carne, mentre io passo tu ne prendi in cambio
      dalla mia barba, dal mio petto, dalle mie mani,
      non devo parlarti, devo pensarti a te quando seggo da solo o
      veglio la notte da solo
      devo aspettarti, non dubito che t’incontrerò ancora,
      e a questo devo badare, di non perderti.

      Wislawa Szymborska (1923 – 2012)

      Amore a prima vista

      Sono entrambi convinti
      che un sentimento improvviso li unì.
      E’ bella una tale certezza
      ma l’incertezza è più bella.

      Non conoscendosi prima, credono
      che non sia mai successo nulla fra loro.
      Ma che ne pensano le strade, le scale, i corridoi
      dove da tempo potevano incrociarsi?

      Vorrei chiedere loro
      se non ricordano –
      una volta un faccia a faccia
      forse in una porta girevole?
      uno “scusi” nella ressa?
      un “ha sbagliato numero” nella cornetta?
      – ma conosco la risposta.
      No, non ricordano.

      Li stupirebbe molto sapere
      che già da parecchio
      il caso stava giocando con loro.

      Non ancora del tutto pronto
      a mutarsi per loro in destino,
      li avvicinava, li allontanava,
      gli tagliava la strada
      e soffocando un risolino
      si scansava con un salto.

      Vi furono segni, segnali,
      che importa se indecifrabili.
      Forse tre anni fa
      o il martedì scorso
      una fogliolina volò via
      da una spalla all’altra?
      Qualcosa fu perduto e qualcosa raccolto.
      Chissà, era forse la palla
      tra i cespugli dell’infanzia?

      Vi furono maniglie e campanelli
      in cui anzitempo
      un tocco si posava sopra un tocco.
      Valigie accostate nel deposito bagagli.
      Una notte, forse, lo stesso sogno,
      subito confuso al risveglio.

      Ogni inizio infatti
      è solo un seguito
      e il libro degli eventi
      è sempre aperto a metà.

      Traduzione di Pietro Marchesani

      Love at first sight

      Both are convinced
      that a sudden surge of emotion bound them together.
      Beautiful is such a certainty,
      but uncertainty is more beautiful.

      Because they didn’t know each other earlier, they suppose that
      nothing was happening between them.
      What of the streets, stairways and corridors
      where they could have passed each other long ago?

      I’d like to ask them
      whether they remember– perhaps in a revolving door
      ever being face to face?
      an “excuse me” in a crowd
      or a voice “wrong number” in the receiver.
      But I know their answer:
      no, they don’t remember.

      They’d be greatly astonished
      to learn that for a long time
      chance had been playing with them.

      Not yet wholly ready
      to transform into fate for them
      it approached them, then backed off,
      stood in their way
      and, suppressing a giggle,
      jumped to the side.

      There were signs, signals:
      but what of it if they were illegible.
      Perhaps three years ago,
      or last Tuesday
      did a certain leaflet fly
      from shoulder to shoulder?
      There was something lost and picked up.
      Who knows but what it was a ball
      in the bushes of childhood.

      There were doorknobs and bells
      on which earlier
      touch piled on touch.
      Bags beside each other in the luggage room.
      Perhaps they had the same dream on a certain night,
      suddenly erased after waking.

      Every beginning
      is but a continuation,
      and the book of events
      is never more than half open.

      -translated by Walter Whipple

       


       

       
       
      Posted in Frammenti di poesia, Letteratura americana, Letteratura e dintorni, Ophelinha legge, Ophelinha scrive | 9 Comments | Tagged Poetry, Walt Whitman, Wislawa Szymborska
    • L’insostenibile inadeguatezza dell’essere

      Posted at 11:50 pm03 by ophelinhap, on March 21, 2012
      Reality vs Expectations (500 Days of Summer)

      …o meglio, dell’essere oggi. E con oggi non intendo soltanto questa giornata particolare, anche se in realtà c’entra parecchio; ma intendo ai giorni nostri. Dove il quoziente intellettivo viene valutato attraverso griglie di ragionamento logico/astratto/numerico/verbale.
      Dove tutta la nostra vita, piccola o grande che sia, deve rispettare la formattazione di un Europass.
      Dove gli hobby devono diventare ambizioni.
      Dove DEVI necessariamente saper parlare almeno 5 lingue, tra cui almeno una deve essere rara.
      Dove devi rispondere a canoni estetici restrittivi. Devi essere magra, non devi avere la cellulite, devi farti la manicure, devi assolutamente farti la messa in piega.
      Devi essere mamma ma devi anche essere donna ma devi anche essere donna in carriera ma devi anche essere una buona amica moglie fidanzata donna amante ma devi anche essere te stessa. Io mi sono persa sull’ultima battuta.

      Mi chiedo come si presenterebbe oggi Cenerentola ad un improbabile colloquio presso un’altrettanto improbabile agenzia interinale. “Salve, avevo un nome che ormai non mi ricordo nemmeno io ma doveva essere carino, comunque chiamatemi pure Cenerentola. Sono di nobile lignaggio ma faccio la donna delle pulizie di professione, e tra l’altro sono anche orfana e alla mia famiglia adottiva non piaccio granchè, che dire, siamo solo una normale famiglia disfunzionale contemporanea.
      Se ho intenzione di avere figli nel breve periodo? Beh, a dire il vero tra i miei hobby ci sarebbe cantare agli uccellini, parlare con i topolini ed altri animaletti più o meno domestici e fantasticare sul mio principe azzurro feticista – ho davvero dei piedini incantevoli, nonchè una fissa per le scarpette di cristallo! Allora, would you have any suitable position for my profile?” (e qui sfoggerebbe anche la sua conoscenza delle lingue straniere).

      Se non la mandassero via immediatamente come completamente tocca, al massimo le toccherebbe un altro posto da donna delle pulizie, magari anche in nero. Con la promessa di non cantare durante il lavoro. Mai. E magari le chiederebbero pure una cover letter.

      Cenerentola (con tanto di cover letter) – Reality

      Cenerentola -Expectations

      Eh cara Wislawa, ma d’altro canto tu hai sempre ragione.

      Scrivere un curriculum


      Cos’è necessario?
      E’ necessario scrivere una domanda,
      e alla domanda allegare il curriculum.


      A prescindere da quanto si è vissuto
      Il curriculum dovrebbe essere breve.


      E’ d’obbligo concisione e selezione dei fatti.
      Cambiare paesaggi in indirizzi
      E ricordi incerti in date fisse.


      Di tutti gli amori basta quello coniugale,
      e dei bambini solo quelli nati.


      Conta di più chi ti conosce di chi conosci tu.
      I viaggi solo se all’estero.
      L’appartenenza a un che, ma senza un perché.
      Onorificenze senza motivazione.


      Scrivi come se non parlassi mai con te stesso
      E ti evitassi.
      Sorvola su, cani gatti e uccelli,cianfrusaglie del passato, amici e sogni

      Meglio il prezzo che il valore

      E il titolo che il contenuto.
      Meglio il numero di scarpa,
      che non dove va
      colui per cui ti scambiano.


      Aggiungi una foto con l’orecchio scoperto.
      E’ la sua forma che conta, non ciò che sente.


      Cosa si sente?
      Il fragore delle macchine che triturano la carta.
      (Wislawa Szymborska) 

      Scappo a prendere l’ultimo treno per Dreamland/Neverland, prima di rimanere qui inchiodata a Greyville.

      PS: la presenza di Wislawa in questa pagina non è assolutamente casuale..e non solo perchè Wislawa è sempre Wislawa, ma anche e soprattutto perchè oggi è la Giornata Mondiale della Poesia. Ed anch’io vi saluto così, coi versi. Perchè, come canta il Cyrano di Guccini…

      ….perchè Rossana è bella

      siamo così diversi

      a parlarle non riesco

      le parlerò coi versi…

      ..dev’esserci lo sento

      in cielo o in terra un posto

      dove non soffriremo

      e tutto sarà giusto

      non ridere ti prego

      di queste mie parole

      io solo sono un’ombra

      e tu Rossana il sole

      Ma tu lo so non ridi

      dolcissima signora

      ed io non mi nascondo sotto la tua dimora

      perchè oramai lo sento, non ho sofferto invano

      se mi ami come sono, per sempre tuo per sempre tuo per sempre tuo

      Cyrano…

                (Cyrano, Francesco Guccini)

      Forse per questo soffro d’insonnia (@OphelinhaPequena)

      E’ la realtà quella che si crede?

      E’ la realtà quella che si vede?

      Sogno o son desta?

      Sognando, nel mio sogno ero sveglia

      e dormivo.

      Navigavo in una nube confusa

      feto tornato nel grembo materno

      ancora incompiuto

      ancora indeciso

      davanti alle infinite possibilità

      di essere – di non essere

      di quello che verrà.

      I miei sogni sono a colori.

      Sono un quadro di Jackson Pollock.

      I colori sono più vividi.

      Vedo di più,

      sento di più,

      nei miei sogni.

      Quale realtà?

      Nei miei sogni sono più vera,

      sono più viva, nei miei sogni,

      sono io – o chi voglio essere.

      Nei miei sogni sono bella

      talvolta.

      Nei miei sogni sono felice

      talvolta.

      Nei miei sogni sono a casa

      talvolta

      – a casa mia, quella che nessuno sa,

      lontana come dentro a uno specchio,

      cara come un ritorno.

      Nei miei sogni ci sei tu,

      talvolta

      – o forse non proprio tu,

      quello che nessuno sa.

      Vivo dormendo.

      Dormo vivendo.

      Sarà per questo che soffro d’insonnia.



      PS del PS: oltre ad essere la Giornata della Poesia, è il compleanno di una grandissima poetessa, Alda Merini. Che scriveva le sue migliori poesie con i ginocchi
      Auguri Alda, ovunque tu sia (e mi piace pensare sia un campo di girasoli). Parole come le tue sono le chiavi per liberarci dalle nostre gabbie.

      Le più belle poesie (Alda Merini)

      Le più belle poesie
      si scrivono sopra le pietre
      coi ginocchi piagati
      e le mani aguzzate dal mistero.
      Le più belle poesie si scrivono
      davanti a un altare vuoto,
      accerchiati da agenti
      della divina follia.
      Così, pazzo criminale qual sei
      tu detti versi all’umanità,
      i versi della riscossa
      e le bibliche profezie
      e sei fratello a Giona.
      Ma nella Terra Promessa
      dove germinano i pomi d’oro
      e l’albero della conoscenza
      Dio non è mai disceso nè ti ha mai maledetto.
      Ma tu sì, maledici
      ora per ora il tuo canto perchè
      sei sceso nel limbo,
      dove aspiri l’assenzio
      di una sopravvivenza negata.

      (da “Vuoto d’amore”)

      Posted in Ophelinha scrive | 6 Comments | Tagged Caos calmo, Confessions of a Dangerous Mind, Dreams, Greyville, Literature and Beyond, Me myself and I, Memorie di una precaria perbene, Poetry, Wislawa Szymborska
    • Un giorno di silenzio per Wislawa

      Posted at 11:50 pm02 by ophelinhap, on February 2, 2012

      Oggi niente lettere, niente racconti, niente parole: solo le sue. La grande poetessa polacca Wislawa Szymborska, premio Nobel per la Letteratura 1996, si è spenta ieri nella sua casa di Cracovia a causa di un cancro ai polmoni. Era una fumatrice accanita, e mi piace pensarla così, mentre fuma un’ultima sigaretta prima di chiudere gli occhi per sempre, piena di ironia nei confronti della morte come lo era stata nei confronti della vita.

      w7

       

       

      È triste perdere una poetessa e una donna del suo calibro, ed è triste perdere le sue parole, le sue parole leggere “Non avermene se prendo in prestito parole patetiche e poi fatico per farle sembrare leggere”.

       

      Non avresti mai potuto usare parole patetiche, cara Wislawa. Le tue parole penetravano come lame, erano luminose, erano tenere senza mai essere smielate.

       

      Il tuo epitaffio te l’eri già composto, perché non avevi paura della morte, avresti avuto invece paura di essere accompagnata nel tuo viaggio più lungo da parole pesanti, parole sgraziate, parole poco adeguate. Da un’agiografia in cui non ti saresti mai rispecchiata, perché, nonostante tu abbia scritto poesie per decenni, ne hai pubblicate solo quattrocento.

       

          “Qui giace come virgola antiquata

       

          l’autrice di qualche poesia. La terra l’ha degnata

       

          dell’eterno riposo, sebbene la defunta

       

          dai gruppi letterari stesse ben distante.

       

          E anche sulla tomba di meglio non c’è niente

       

          di queste poche rime, d’un gufo e la bardana.

       

          Estrai dalla borsa il tuo personal, passante,

       

          e sulla sorte di Szymborska medita un istante”.

       

          (Epitaffio, Sale, 1962)

      w3

       

      Stamattina, in un bellissimo articolo del Wall Street Journal, leggevo questo aneddoto, che voglio riportare:

       

      After arriving in Stockholm to receive her Nobel, reporters at the airport asked Szymborska about the first poem she ever wrote.

       

      She replied with modesty and humor familiar to her readers.

       

      “It is hard to say what the first one was about because I started very early to write poems. I was about 4 years old,” she said. “Of course they were clumsy and ridiculous. But when one poem was right, my father took it and gave me some money to buy chocolates.

       

      “So I can say I started living by my poetry when I was 4.”

       

      Voglio salutarti con le sole parole che ritengo appropriate: le tue.

       

      w2

       

          Il gatto in un appartamento vuoto

       

       

          Morire – questo a un gatto non si fa.

       

      Perché cosa può fare il gatto

       

      in un appartamento vuoto?

       

      Arrampicarsi sulle pareti.

       

      Strofinarsi tra i mobili.

       

      Qui niente sembra cambiato,

       

      eppure tutto è mutato.

       

      Niente sembra spostato,

       

      eppure tutto è fuori posto.

       

      E la sera la lampada non brilla più.

       

      Si sentono passi sulle scale,

       

      ma non sono quelli.

       

      Anche la mano che mette il pesce nel piattino

       

      non è quella di prima.

       

      Qualcosa qui non comincia

       

      alla sua solita ora.

       

      Qualcosa qui non accade

       

      come dovrebbe.

       

      Qui c’era qualcuno, c’era,

       

      e poi d’un tratto è scomparso,

       

      e si ostina a non esserci.

       

      In ogni armadio si è guardato.

       

      Sui ripiani è corso.

       

      Sotto il tappeto si è controllato.

       

      Si è perfino infranto il divieto

       

      di sparpagliare le carte.

       

      Cos’altro si può fare.

       

      Aspettare e dormire.

       

      Che provi solo a tornare,

       

      che si faccia vedere.

       

      Imparerà allora

       

      che con un gatto così non si fa.

       

      Gli si andrà incontro

       

      come se proprio non se ne avesse voglia,

       

      pian pianino,

       

      su zampe molto offese.

       

      E all’inizio niente salti né squittii.

      w

      Un amore felice

       

      Un amore felice. E’ normale?

      è serio? è utile?

      Che se ne fa il mondo di due esseri

      che non vedono il mondo?

       

      Innalzati l’uno verso l’altro senza alcun merito,

      i primi qualunque tra un milione, ma convinti

      che doveva andare così – in premio di che? Di nulla;

      la luce giunge da nessun luogo –

      perchè proprio su questi e non su altri?

      Ciò offende la giustizia? Sì.

      Ciò infrange i princìpi accumulati con cura?

      Butta giù la morale dal piedistallo? Sì, infrange e butta giù.

       

      Guardate i due felici:

      se almeno dissimulassero un po’,

      si fingessero depressi, confortando così gli amici!

      Sentite come ridono – è un insulto.

      In che lingua parlano –

      comprensibile all’apparenza.

       

      E tutte quelle loro cerimonie, smancerie,

      quei bizzarri doveri reciproci che si inventano –

      sembra un complotto contro l’umanità!

       

      E’ difficile immaginare dove si finerebbe

      se il loro esempio fosse imitabile.

      Su cosa potrebbero contare religioni, poesie,

      di che ci si ricorderebbe, a che si rinuncerebbe,

      chi vorrebbe restare più nel cerchio?

       

      Un amore felice. Ma è necessario?

      Il tatto e la ragione impongono di tacerne

      come d’uno scandalo nelle alte sfere della Vita.

      Magnifici pargoli nascono senza il suo aiuto.

      Mai e poi mai riuscirebbe a popolare la terra,

      capita, in fondo, di rado.

       

      Chi non conosce l’amore felice

      dica pure che in nessun luogo esiste l’amore felice.

       

      Con tale fede gli sarà più lieve vivere e morire.

      w9

       

       

        Amore a prima vista

        Sono entrambi convinti

        che un sentimento improvviso li unì.

          È bella una tale certezza

          ma l’incertezza è più bella.

       

          Non conoscendosi prima, credono

          che non sia mai successo nulla fra loro.

          Ma che ne pensano le strade, le scale, i corridoi

          dove da tempo potevano incrociarsi?

       

          Vorrei chiedere loro

          se non ricordano –

          una volta un faccia a faccia

          forse in una porta girevole?

          uno “scusi” nella ressa?

          un “ha sbagliato numero” nella cornetta?

          – ma conosco la risposta.

          No, non ricordano.

       

          Li stupirebbe molto sapere

          che già da parecchio

          il caso stava giocando con loro.

       

          Non ancora del tutto pronto

          a mutarsi per loro in destino,

          li avvicinava, li allontanava,

          gli tagliava la strada

          e soffocando un risolino

          si scansava con un salto.

       

          Vi furono segni, segnali,

          che importa se indecifrabili.

          Forse tre anni fa

          o il martedì scorso

          una fogliolina volò via

          da una spalla all’altra?

          Qualcosa fu perduto e qualcosa raccolto.

          Chissà, era forse la palla

          tra i cespugli dell’infanzia?

       

          Vi furono maniglie e campanelli

          in cui anzitempo

          un tocco si posava sopra un tocco.

          Valigie accostate nel deposito bagagli.

          Una notte, forse, lo stesso sogno,

          subito confuso al risveglio.

       

          Ogni inizio infatti

          è solo un seguito

          e il libro degli eventi

          

          è sempre aperto a metà.

       w6

       

       

       

          Il vecchio professore

       

      Gli ho chiesto di quei tempi,

          quando ancora eravamo così giovani,

          ingenui, impetuosi, sciocchi, sprovveduti.

       

          È rimasto qualcosa, tranne la giovinezza

          -mi ha risposto.

       

          Gli ho chiesto se sa ancora di sicuro

          cosa è bene e male per il genere umano.

       

          È la più mortifera di tutte le illusioni

          -mi ha risposto.

       

          Gli ho chiesto del futuro,

          se ancora lo vede luminoso.

       

          Ho letto troppi libri di storia

          -mi ha risposto.

       

          Gli ho chiesto della foto,

          quella in cornice sulla scrivania.

       

          Erano, sono stati. Fratello, cugino, cognata,

          moglie, figlioletta sulle sue ginocchia,

          gatto in braccio alla figlioletta,

          e il ciliegio in fiore, e sopra quel ciliegio

          un uccello non identificato in volo

          -mi ha risposto.

       

          Gli ho chiesto se gli capita di essere felice.

       

          Lavoro

          -mi ha risposto.

       

          Gli ho chiesto degli amici, se ne ha ancora.

       

          Alcuni miei ex assistenti,

          la signora Ludmilla, che governa la casa,

          qualcuno molto intimo, ma all’estero,

          due signore della biblioteca, entrambe sorridenti,

          il piccolo Jas che abita di fronte e Marco Aurelio

          -mi ha risposto.

       

          Gli ho chiesto della salute e del suo morale.

       

          Mi vietano caffè, vodka e sigarette,

          di portare oggetti e ricordi pesanti.

          Devo far finta di non aver sentito

          -mi ha risposto.

       

          Gli ho chiesto del giardino e della sua panchina.

       

          Quando la sera è tersa, osservo il cielo.

          Non finisco mai di stupirmi,

          tanti punti di vista ci sono lassù

          -mi ha risposto.

       

       w8

       

          Il primo amore

       

       

          Dicono

          che il primo amore sia il più importante.

          Ciò è molto romantico

          ma non è il mio caso.

          Qualcosa tra noi c’è stato e non c’è stato,

          è accaduto e si è perduto.

          Non mi tremano le mani

          quando mi imbatto in piccoli ricordi

          e in un rotolo di lettere legate con lo spago

          nemmeno con un nastrino.

          Il nostro unico incontro dopo anni,

          la conversazione di due sedie

          intorno a un freddo tavolino.

          Atri amori

          ancora respirano profondamente in me.

          A questo manca il fiato per sospirare.

          Eppure proprio così com’è,

          è capace di ciò di cui quelli

          non sono ancora capaci:

          non ricordato,

          neppure sognato,

          mi familiarizza con la morte.

      w5

       

       

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