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Frammenti di letteratura, poesia, impressioni
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    • The rules of (literary) dating#2 – un elenco semiserio di frequentazioni letterarie

      Posted at 11:50 am10 by ophelinhap, on October 14, 2015

      Fictional-Characters6

      Pensavate di esservi liberati dei miei bestiari letterari, vero?

      Invece no, perché, se la letteratura è infinita, infiniti sono i personaggi, infiniti i caratteri, infinite le tipologie da imparare a riconoscere e, eventualmente, a evitare.

      Purtroppo, la mia capacità di lettura è finita, delimitata dal tempo, dagli impegni, dalle coincidenze e dalle prenotazioni, dalle trappole e dagli scorni di chi crede che la realtà sia quella che si vede, per dirla con Montale. Tuttavia, le mie liste di frequentazioni letterarie mi divertono tantissimo, e, dato che uno dei miei (finora fallimentari) buoni propositi PRTDV (post rientro traumatico dalle vacanze) è cercare di concentrarmi di più sulle cose belle, che mi fanno stare bene, tenterò (malgrado la mia patologica avversione alla pianificazione) di aggiornarle di quando in quando, magari stilando anche una lista di personaggi femminili. Va da sé che tutti i vostri suggerimenti sono più che benvenuti, anzi, caldamente incoraggiati, nei commenti al post, sulla pagina Facebook del blog, su Twitter, per email, per piccione viaggiatore, cablogramma o civetta di Hogwarts. Cominciamo?

      I'm_Sorry_The_Fictional_Characters_In_My_Head_Recently_Have_Been_More_Important_Than_You_To_me

      (Riassunto delle puntate precedenti: Il Mr Darcy (Orgoglio e pregiudizio, Jane Austen); L’ Heatchcliff (Cime tempestose, Emily Brontë ; Il Rhett Butler (Via col vento, Margaret Mitchell); Il Florentino Ariza (L’amore ai tempi del colera, Gabriel García Márquez); Il Willoughby (Ragione e sentimento, Jane Austen); Il Rochester (Jane Eyre, Charlotte Brontë); L’Amleto (Amleto, William Shakespeare) – L’Otello (Otello, William Shakespeare); L’Humbert Humbert (Lolita, Vladimir Nabokov) – Il Vronskij (Anna Karenina, Leo Tolstoj).

      Matthias Schoenaerts as

      Matthias Schoenaerts as “Gabriel” in FAR FROM THE MADDING CROWD. Photos by ALex Bailey.  © 2014 Twentieth Century Fox Film Corporation
      All Rights Reserved

      Tipologia K: Il Gabriel Oak (Via dalla pazza folla, Thomas Hardy)

      Durante l’estate ho letto per la prima volta Via dalla pazza folla, invaghendomi della capacità di Hardy di delineare e dar vita sulle pagine ai suoi personaggi, specie al trittico di protagonisti maschili innamorati della bella e (apparentemente) indomabile Bathsheba Everdene.

      Il fattore Oak è quel tipo di uomo che tutte le donne vorrebbero incontrare prima o poi: onesto, leale, con la testa sulle spalle, capace di amare in modo assoluto, genuino, duraturo. Il tipo Oak è inoltre caratterizzato da una silenziosa ostinazione, da una pazienza pertinace che gli consente di aspettare anni (tra un marito deceduto per finta e un quasi fidanzato stalker) prima di ottenere il cuore della sua bella. Il tipo Oak è inoltre generoso e altruista, capace di proteggere e aiutare l’oggetto dei suoi desideri in silenzio, assicurandosi che cada sempre in piedi, senza troppa fanfara, senza aspettarsi qualcosa in cambio.

      L’unico neo del tipo Oak è quel filino di prevedibilità e quell’eccessiva disponibilità che a volte lo rende un tantinello noioso, incapace di sorprendere. D’altro canto, nessuno è perfetto, no?

      boldwood

      Tipologia L: Il Mr Boldwood (Via dalla pazza folla, Thomas Hardy)

      Sarei curiosa di sapere a quante di voi (spero poche) sia capitato di avere un ammiratore un po’ troppo insistente e persistente. Alla povera Bathsheba purtroppo è successo: a seguito di uno stupido scherzo di San Valentino, si ritrova a ricevere le costanti attenzioni e l’indesiderata ammirazione del suo vicino di casa, Mr Boldwod. Timido, ritroso, cupo, scapolo incallito, Boldwood scopre per la prima volta l’amore senza volerlo né cercarlo. Il tipo Boldwood è un solitario, abituato a pensare solo a se stesso e per se stesso, incurante dei sentimenti e del gentil sesso. A maggior ragione, quando Cupido scocca la sua freccia avvelenata, l’oggetto dei desideri diventa per il tipo Boldwood una vera e propria ossessione, capace di fargli promettere di aspettare sette anni di vedovanza prima di dichiararsi per l’ennesima volta e addirittura uccidere l’odiato rivale.

      Un consiglio disinteressato, lettrici che, per qualche misteriosa ragione, trovate un attaccamento del genere commovente o addirittura meritevole di comprensione/compassione: davanti a un Boldwood, scappate a gambe levate.

      troy

      Tipologia M: Il Francis Troy (Via dalla pazza folla, Thomas Hardy)

      Il Troy chiude la trilogia di spasimanti letterari di Bathsheba Everdene. È l’unico che riesce a conquistarla, per una ragione molto semplice: di lei non gliene importa un fico secco. Certo, la trova attraente, ma gli piacciono di più i suoi soldi, che consuma in fretta. Il Troy fa parte di una delle tipologie peggiori di uomini, fittizi e non: è narcisista, innamorato di se stesso, egoista, egocentrico, del tutto incurante dei sentimenti altrui e del dolore che infligge, interessato alle persone solo se gli sono strumentali per raggiungere lo scopo che si è prefisso.

      Il Troy è convinto di essere assurdamente romantico; ma le sue pretese di romanticismo sono, letteralmente, assurde. In ogni caso, non illudetevi di riuscire a catalizzare le sue attenzioni su di voi per più di un paio di giorni: il Troy si annoia in fretta.

      (Tanto per restare in argomento, fate questo test per scoprire quali delle tre tipologie vi attrae maggiormente. Secondo il mio risultato, sarei attratta da Boldwood: devo iniziare a preoccuparmi?)

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      Tipologia N: Il Nathaniel Piven (Amori e disamori di Nathaniel P., Adelle Waldman)

      Il Nathaniel P. non sa cosa vuole, ma cerca lo stesso di ottenerlo, incurante delle conseguenze e dei sentimenti altrui. In amore è un vero disastro: ha bisogno di convincersi che una donna sia perfetta per uscire con lei, e quella donna perfetta deve ottenere il sigillo d’approvazione dei suoi amici. È un insicuro, troppo superficiale e concentrato su se stesso e sulla sua vita per potersi realmente innamorare. Il Nathaniel P. è un ragazzo intelligente e privilegiato che si limita a fare un sacco di navel-gazing: letteralmente a guardarsi l’ombelico, metaforicamente ad essere così ossessivamente concentrato su se stesso e sulle sue idiosincrasie da dimenticarsi di osservare il mondo che lo circonda. È inoltre misogino, insofferente delle donne per il semplice fatto di essere donne, con i pregi e i difetti che questo comporta: il bisogno di definire i confini di una relazione, il desiderio ossessivo di parlare della relazione stessa, la spinta ad analizzare ogni stato d’animo e rivivere ogni litigio, l’emotività, la prevedibilità, l’ostinazione, la sottile preferenza accordata alle situazioni e alle cose difficili. Il Nathaniel P. ama invece le cose facili, già pronte, come i pasti precotti, già scartati, riscaldati al microonde e messi in tavola senza che lui debba fare nessuno sforzo.

      Dal canto mio, lo piazzo nel mio bestiario come il tipo da evitare a tutti i costi: astenersi fanciulle in cerca del principe azzurro o quantomeno di una frequentazione seria, benvenute perditempo, masochiste ad oltranza, donne col complesso da infermiera e da io-ti-salverò. Un po’ un Wickam dei nostri tempi, insomma, con l’aggiunta di pose e pretese da intellettualoide, o meglio ancora un Willoughby di Ragione e sentimento: per me, le somiglianza tra Adelle Waldman e Jane Austen (alla quale alcuni incauti ed iper-entusiasti blurb l’hanno paragonata) si esauriscono qui.

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      Tipologia N: L’Alfred Lambert (Le correzioni, Jonathan Franzen)

      La prima tappa (quasi obbligata) della mia #franzethon (una maratona di lettura dell’opera omnia di Franzen in attesa di incontrarlo qui il 18 ottobre) mi ha fatto incontrare uno dei personaggi maschili (secondo me) più sgradevoli: Alfred Lambert, incarnazione della più assoluta incapacità di amare e capire le persone che gli stanno intorno. Misogino, individualista, l’Alfred Lambert arriva addirittura ad essere disgustato dal mero contatto fisico (ne Le correzioni, la moglie Enid deve far finta di essere addormentata perché lui possa avvicinarsi a lei). Incorreggibile solipsista, preferisce vivere da solo, quindi toglietevi dalla testa qualsiasi progetto di coabitazione: la sua casa è chiusa, come il suo cuore. Lettrici avvisate, mezzo salvate.

      fictional characters 4

      thanks+for+being+my+friend+despite+my+obesession+with+fictional+characters

      Soundtrack: Tous les garçons et les filles , Françoise Hardy

      Posted in Letteratura e dintorni | 0 Comments | Tagged #franzethon, Alfred Lambert, Amleto, Anna Karenina, Charlotte Brontë, Cime tempestose, Emily Brontë, Florentino Ariza, Françoise Hardy, Franzie, Gabriel García Márquez, Gabriel Oak, heathcliff, Jane Austen, Jane Eyre, Janeite, Jonathan Franzen, L'amore ai tempi del colera, L’Humbert Humbert, Le correzioni, Leo Tolstoj, Lolita, Margaret Mitchell, Mr Darcy, orgoglio e pregiudizio, Ragione e Sentimento, Rhett Butler, Rochester, Thomas Hardy, Via col Vento, Via dalla pazza folla, Vladimir Nabokov, Vronskij, William Shakespeare, Willoughby
    • Go Set a Watchman: Scout Finch non abita più a Maycomb

      Posted at 11:50 am07 by ophelinhap, on July 27, 2015

      gsaw

      Vi ricordate la prima volta che vi hanno spezzato il cuore? Metafora trita e ritrita, lo so: ma come spiegare la sensazione che qualcosa si sia spezzato per sempre dentro di sé, e che non ci sia colla che possa rimetterlo a posto, e farlo tornare come prima?

      Io me lo ricordo come se fosse ieri: avevo quindici anni e frequentavo la quinta ginnasio. Sono andata in bagno e ho fumato una sigaretta perché le mie compagne di classe mi avevano assicurato che mi avrebbe aiutato a dimenticare. Speravo di sentirmi grande e sofisticata, ma ho provato solo nausea. E ho letto per la prima Anna Karenina: mi sembrava il momento più appropriato per una lettura così tragica, così romantica, così solenne.

      Jean Louise Finch, conosciuta come Scout da tutti coloro che hanno letto e amato Il buio oltre la siepe, è in un certo senso fortunata: non conosce questa devastante malattia del corpo e dell’anima, questo terremoto fino all’età di ventisei anni.

      Miss Jean Louise non è più Scout, monella di strada perennemente scalza e in salopette, allergica ai vestiti e alle maniere da signorina per bene del Sud: ora è una ragazza di ventisei anni indipendente e decisa, trasferitasi a New York, dove svolge un lavoro non meglio definito. Quasi nessuno si ricorda più del suo nomignolo di bambina; nomignolo che viene estirpato per sempre da un’estate torrida e polverosa, che marca il battesimo definitivo di Jean Louise, il suo ingresso nell’età adulta.

      Prima di procedere oltre, ripetete insieme a me: Go set a Watchman (per gli amici GSAW) non è Il buio oltre la siepe . Non c’è più nemmeno la siepe, perché la vecchia casa dei Finch è stata venduta ed è diventata una gelateria. Dall’altra parte dello steccato non c’è più Dill, l’alter ego letterario di Truman Capote, andato a combattere in Europa e rimastovi, per onorare la sua natura inquieta e vagabonda.

      Non c’è più nemmeno Jem, il fratello maggiore di Scout che ha rischiato la morte ed è stato salvato dall’intervento tempestivo di Boo Radley: è venuto a mancare prematuramente, stroncato da un infarto per le strade della sua Maycomb.

      Jean Louise torna a Maycomb da New York per le sue vacanze estive, riscoprendosi innamorata come non mai della sonnolenta cittadina meridionale scrigno dei suoi ricordi di bambina e di adolescente:

      When you live in New York, you often have the feeling that New York’s not the world. I mean this: every time I come home, I feel like I’m coming back to the world, and when I leave Maycomb it’s like leaving the world. It’s silly. I can’t explain it, and what makes it sillier is that I’d go stark raving living in Maycomb.

      (Quando vivi a New York, hai spesso la sensazione che New York non sia il mondo. Quello che voglio dire è che, ogni volta che torno a casa, mi sembra di tornare al mondo, e quando lascio Maycomb mi sembra di andarmene dal mondo. È stupido, e non riesco a spiegarlo bene; la cosa più ridicola è che vivere a Maycomb mi farebbe uscire di senno.)

      Torna anche per fare i conti con i sentimenti che nutre nei confronti di Henry (Hank) Clinton, suo amico d’infanzia che vuole seguire le orme del padre, Atticus Finch, e studia per diventare avvocato, facendogli da assistente. Lui vorrebbe sposarla, lei esita: è innamorata della sua indipendenza, terrorizzata delle possibili conseguenze di scegliere il marito sbagliato. Ma Hank non vuole mollare:

      He began dating her on her annual two-weeks visits home, and although she still moved like a thirteen-year-old boy and abjured most feminine adornments, he found something so intensely feminine about her that he fell in love. She was easy to look at and easy to be with most of the time, but she was in no sense of the word an easy person. She was afflicted with a restlessness of spirit he could not guess at, but he knew she was the one for him. He would protect her; he would marry her.

      (Hank) Aveva iniziato a uscire con lei nelle due settimane che trascorreva a casa ogni anno, e, nonostante lei si muovesse ancora come un ragazzino tredicenne e disprezzasse la maggior parte degli orpelli femminili, aveva trovato in lei qualcosa di così profondamente femminile che se n’era innamorato. Guardarla era naturale, passare del tempo con lei era semplice, nella maggior parte dei casi, ma non era di certo una persona facile. Soffriva di un’irrequietezza d’animo che lui non riusciva a penetrare; ma sapeva che lei era l’unica per lui. L’avrebbe protetta; l’avrebbe sposata.

      Il metro di paragone di Jean Louise per ogni uomo che voglia davvero far parte della sua vita è la persona più importante per lei, il suo compasso morale, colui nel quale ripone la più cieca fiducia e ammirazione: il padre Atticus, colui che fa sempre ciò che è giusto, infischiandosene anche dell’opinione pubblica e delle ripercussioni sulla sua famiglia. Per Jean Louise, tornare a casa significa tornare da lui, e constatare ancora una volta che, benché Atticus abbia ormai settantadue anni e soffra di artrosi, il mondo idealizzato e perfetto delle sua infanzia è ancora lì, immoto ed immutabile, presidiato da Atticus, divinità benigna che dal suo piedistallo elargisce saggezza e buon senso.

      Il mondo di Jean Louise viene improvvisamente sovvertito dalla scoperta che il suo Atticus, colui che non può sbagliare, presiede il Maycomb County Citizens’ council, del quale fa parte anche Hank, una fosca organizzazione che sostiene che le persone di colore non siano ancora pronte e diventare cittadini americani al 100%: non hanno la maturità necessaria per votare, non hanno il diritto di andare nelle stesse scuole dei bianchi, né di essere difesi da avvocati della NAACP (National Association for the Advancement of Colored People, Associazione Nazionale per la promozione delle persone di colore, una delle prime e più influenti associazioni per i diritti civili negli Stati Uniti, fondata nel 1909 con sede principale a Baltimora, Maryland).

      E qui le si spezza il cuore: inizia a stare fisicamente male, a non riuscire a mangiare  e a non voler vedere nessuno (specie Hank), tormentata da una domanda: di chi potrà fidarsi, adesso che Atticus, il suo mentore, la sua fonte d’ispirazione, l’ha tradita in modo così bieco e meschino, rivelandosi un omuncolo indegno della fama che lo precede?

      The one human being she had ever fully and wholeheartedly trusted had failed her; the only man she had ever known to whom she could point and say with expert knowledge, “He is a gentleman, in his heart he is a gentleman,” had betrayed her, publicly, grossly, and shamelessly.

      (L’unico essere umano in cui avesse mai riposto la più piena e complete fiducia l’aveva delusa; l’unico uomo del quale avesse potuto dire con sicurezza “è un gentiluomo; ha il cuore da gentiluomo” l’aveva tradita in maniera grossolana, in pubblico, senza vergogna).

      Il giorno prima della terribile scoperta di Jean Louise, il pastore Stone legge il sesto verso dal ventunesimo capitolo di Isaia:

      Go, set a watchman, let him declare what he seeth

      Va’, metti una sentinella, che annunzi ciò che vede

      Jean Louise, ferita, confusa, persa, ripensa alle parole del pastore, e anela a un faro nel buio, a una guida in quel labirinto intricato che è improvvisamente diventato la sua vita:

      Blind, that’s what I am. I never opened my eyes. I never thought to look into people’s hearts, I looked only in their faces. Stone blind . . . Mr. Stone. Mr. Stone set a watchman in church yesterday . He should have provided me with one. I need a watchman to lead me around and declare what he seeth every hour on the hour. I need a watchman to tell me this is what a man says but this is what he means, to draw a line down the middle and say here is this justice and there is that justice and make me understand the difference. I need a watchman to go forth and proclaim to them all that twenty-six years is too long to play a joke on anybody, no matter how funny it is.

      (Sono cieca. Non ho mai aperto gli occhi. Non ho mai pensato di esaminare il cuore delle persone: ho guardato solo i loro visi. Cieca come una pietra..Mr Stone*. Mr Stone ha messo una sentinella in chiesa ieri. Ne avrebbe dovuto dare una anche a me. Ho bisogno di “una sentinella che mi guidi e mi annunci ciò che vede ogni ora. Ho bisogno di una sentinella che mi spieghi la differenza tra ciò che un uomo dice e ciò che vorrebbe dire veramente, che tiri una linea nel mezzo e mi spieghi la differenza tra i diversi tipi di giustizia. Ho bisogno di una sentinella che mi faccia da emissario e proclami che ventisei anni sono troppi per prendere in giro qualcuno, per quanto possa essere divertente).

      *Ndrm (nota della redazione mia): stone blind in inglese significa”totalmente cieca”. Ho cercato di mantenere il gioco di parole per associarlo al pastore, Mr Stone, il cui nome significa appunto pietra.

      Jean Louise, da degna figlia di Atticus, lo confronta. Gli lancia addosso accuse pesanti come massi. Lo insulta. Dichiara di odiarlo, e che non tornerà mai più a Maycomb.

      In realtà, la lotta tra Jean Louise e Atticus altro non è che lo scontro di due generazioni che vivono un momento molto particolare nella storia del Sud degli Stati Uniti. Nel 1954, Brown vs Board of Education aveva eliminato la segregazione razziale nelle scuole statunitensi, ma al tempo stesso creato un acceso, infervorato dibattito tra i costituzionalisti: la costituzione dev’essere interpretata alla lettera, e lo stato di diritto deve venire prima di tutto, o la costituzione stessa dev’essere adattata alla esigenze socio-politico-economiche dell’epoca?

      Non sono certo un’esperta in diritto costituzionale statunitense, e il fatto che la mia edizione di GSAW (Harper Collins, in ebook) non avesse uno straccio di nota a piè di pagina mi ha procurato non pochi grattacapi con l’interpretazione del decimo emendamento (una preghiera al mondo dell’editoria italiana: quando sarà il momento, per favore inserite qualche nota a piè di pagina, o almeno una prefazione: non siamo tutti costituzionalisti! E, vi prego, non intitolate il romanzo Va’, metti una sentinella…). In sostanza, il X emendamento stabilisce che ogni potere che non rientri nelle competenze del governo federale spetta di diritto ai cittadini o agli stati. Secondo Atticus, il X emendamento sarebbe stato aggirato per rispondere ai bisogni e alle necessità di una fascia ristretta della popolazione americana: ciononostante, le decisioni prese finiscono per avere un impatto molto significativo su tutta la popolazione stessa.

      Atticus rappresenta il passato: per lui, il rispetto pedissequo della costituzione deve venire prima di ogni altra cosa. Jean Louise rappresenta il presente e il futuro: la legge dev’essere adattata per garantire giustizia e uguaglianza per tutti.

      Atticus ha paura del cambiamento e di quello che potrebbe significare per la tranquilla, regolare esistenza dei cittadini di Maycomb: si sente minacciato dagli avvocati del NCAACP e dal neonato elettorato di colore. Ma non è solo di questo che Atticus ha paura: teme la nascita del sistema assistenziale, la fine del concetto di proprietà; in sostanza, la fine del mondo che ha conosciuto – e difeso strenuamente – tutta la sua vita.

      Avete presente il discorso che Ashley Wilkes fa all’innamorata – e annoiata  – Rossella O’Hara sullo stile di vita del Sud che gli Yankees stanno distruggendo? Ashley indulge malinconicamente nella descrizione delle sieste nelle magioni delle famiglie meridionali, i canti dei neri nei campi di cotone, il ritmo di vita lento, l’apprezzamento della bellezza nel senso più classico del termine. Questo è un po’ quello che succede a Atticus in GSAW:il suo mondo sta cambiando, e così il significato e l’uso della legge. Jean Louise, la vera eroina di GSAW, incarna il modo di pensare della sua generazione di Americani: la Costituzione è stata pensata dai padri fondatori per dare a tutti gli stessi diritti e le stesse opportunità. Il treno che riporta Jean Louise a Maycomb porta con sé idee nuove, rivoluzionarie: quelle stesse idee che sarebbero diventate cuore pulsante del movimento per i diritti civili.

      Non è un caso che lo zio di Jean Louise, l’eccentrico Dr Finch – che gioca un ruolo strumentale nel crepuscolo degli dei della piccola Scout, facendo scendere Atticus dal suo piedistallo una volta per tutte, e incoraggiandola a formarsi da sola idee e opinioni – le chieda di tornare a casa: Maycomb ha bisogno di gente come lei, ha bisogno del suo idealismo e della sua energia.

      Se ne Il buio oltre la siepe la difesa dei diritti civili e la lotta contro la segregazione razziale era affidata ad Atticus, eroe perfetto e solitario, in GSAW la stessa lotta è affidata alla costituzione americana, e alla nuova generazione di giovani americani, di cui Jean Louise, lasciandosi dietro di sé Scout e la sua infanzia, è chiamata a fare parte attiva.

      Soundtrack: Theme from “To Kill a Mockingbird” (Elmer Bernstein)

      monro

      Monroeville, Alabama, da cui Harper Lee ha creato Maycomb

      Monroeville, Alabama (credits http://net.archbold.k12.oh.us/ahs/web_class/Spring_13/TokillaMockingbird_Adoga/Background.html)

      Monroeville, Alabama (credits http://bit.ly/1Ksok6Z)

      Monroeville, Alabama (credits http://bit.ly/1Ksok6Z)

      Monroeville, Alabama (credits http://bit.ly/1Ksok6Z)

      Monroeville, Alabama (credits http://bit.ly/1Ksok6Z)

      Monroeville, Alabama (credits http://bit.ly/1Ksok6Z)

      Posted in Letteratura americana, Ophelinha legge | 3 Comments | Tagged American literature, ashley wilkes, Atticus Finch, Brown vs Board of Education, diritti civili, Go set a Watchman, Gone with the Wind, Harper Collins, Harper Lee, Margaret Mitchell, Rossella O'Hara, Scout Finch, Truman Capote, Via col Vento, X emendamento
    • Cocktail letterari, tra libri e bollicine

      Posted at 11:50 am07 by ophelinhap, on July 14, 2015

       

      tequila

      Avvertenza: un numero considerevole di cocktail è stato consumato per scrivere questo post. Quali sacrifici non si fanno in nome della ricerca…

      Image courtesy of http://bit.ly/1LIAEzc

      Image courtesy of http://bit.ly/1LIAEzc

      Siete tutti in vacanza? Siete tutti al mare, come sembrerebbe dal flusso di foto vacanziere su Instagram? Su, ditemi di no, per favore.

      Da queste parti, purtroppo, le tanto agognate vacanze quest’anno non sembrano altro che un sogno lontano, difficilmente destinato a concretizzarsi. E per me estate è sinonimo di temperature tropicali, sale sulla pelle, capelli spettinati, quella sabbia bianchissima e ostinata che sembra resistere a ogni tentativo di lavaggio, acque verdazzurre, e un Mojito al tramonto.

      In assenza di tutti  – o quasi – gli elementi citati, mi consolo con un paio di cocktail.. letterari. Ma andiamo con ordine.

      La parola “cocktail” sembra aver fatto la sua comparsa per la prima volta nel 1798 nell’edizione del 20 marzo di un giornale satirico, l’ormai defunto The Morning Post and Gazetteer, nell’ambito di una curiosa vicenda: il proprietario della taverna Axe & Gate, tra Downing e Whitehall, vince la lotteria e, estatico, cancella tutti i debiti dei santi bevitori frequentatori della sua bettola. Quattro giorni dopo, il giornale rilascia un elenco di tutti i bevitori i cui debiti erano stati cancellati dalla fortuita vincita alla lotteria, e, sorpresa sorpresa, molti erano noti uomini politici, tra cui William Pitt, il più giovane primo ministro britannico, che avrebbe dovuto pagare due bicchierini di un bibitone chiamato “l’huile de Venus”, uno di “perfeit amour” e tre quarti del (molto meno francese) “cock-tail, volgarmente chiamato ginger”.

      L’origine del “cock-tail” è in effetti molto poco romantica: il termine veniva usato per indicare quei cavalli la cui coda mozzata indicava che non erano purosangue, ma di razza mista. Un rimedio molto comune nei manuali di veterinaria dell’epoca era curare le coliche dei cavalli con un mix di acqua, avena, gin e zenzero; quindi, la prossima volta che la gastrite vi fa piegare in due, o la colite non vi lascia tregua, dimenticatevi Malox, Gaviscon&co: un G&T e passa la paura.

      Il termine “cocktail” viene battezzato con la pubblicazione della prima guida per bartender, nel 1862, ad opera di Jerry Thomas, principal bar tender al Metropolitan Hotel di New York, che nell’introduzione si vanta di fornire chiare indicazioni su come preparare drink mischiando tutte le bevande conosciute negli Stati Uniti, insieme a quelle britanniche, francesi, tedesche, italiane, russe e spagnole, dal punch al julep (giulebbe), creando combinazioni infinite. Ambizioso, il nostro Mr Thomas! Se siete curiosi, trovate la sua guida integrale qui.

      Agli inizi del XX secolo, i cocktail smettono di avere il ruolo di mere comparse e assurgono a protagonisti, anche grazie alla diffusione dei cocktail party negli anni immediatamente successivi alla prima guerra mondiale: c’è bisogno di dimenticare gli orrori della guerra, di leggerezza, di ricominciare a ridere e a celebrare la vita. Quindi via libera alle spalle scoperte, ai tagli di capelli à la gamine delle flapper, alla musica degli anni ruggenti, all’alcool che scorre a fiumi sfidando il Volstead Act, che introduce il proibizionismo negli States (dal 1919 al 1933).

      Lentamente, ma inesorabilmente, i cocktail fanno la loro comparsa anche sulla scena letteraria, dominata in precedenza dal nettare di Bacco e qualche altro liquore. Negli scrittori russi – Tolstoy e Checkov in testa – i personaggi indulgono spesso e volentieri nei piaceri dell’alcool, bevendo vino – e vodka, da – come se non ci fosse un domani.

      Gli scrittori americani si distinguono nella promozione di bollicine&co.: è difficile non associare Fitzgerald al gin, che sosteneva di preferire agli altri alcolici perché non faceva puzzare l’alito (Zelda avrà ringraziato). A Fitzgerald spetta anche l’invenzione del verbo “to cocktail”, coniugato per la prima volta in una lettera a Blanche Knopf, moglie dell’editore Alfred A. Knopf. E chi altri avrebbe potuto creare un tale neologismo, introducendo nel linguaggio un assaggio degli eccessi dei Roarin’Twenties, se non lo scrittore che ne è la perfetta incarnazione, dandy, playboy, brillante, ammirato e sregolato?

      Present: I cocktail, thou cocktail, we cocktail, you cocktail, they cocktail.

      Imperfect: I was cocktailing.

      Perfect or past definite: I cocktailed.

      Past perfect: I have cocktailed.

      Conditional: I might have cocktailed.

      Pluperfect: I had cocktailed.

      Subjunctive: I would have cocktailed.

      Voluntary subjunctive: I should have cocktailed.

      Preterit: I did cocktail.

      (Fonte: Open Culture)

      fitzgerald-conguates-cocktail

      Faulkner, da uomo del Sud tutto d’un pezzo, aveva una marcata preferenza per il mint julep (menta, ghiaccio, zucchero e bourbon).

      Il cocktail preferito di Hemingway era invece il mojito (anche il mio, Ernest, anche il mio. Vedi che sarei stata una perfetta quinta moglie?), un mix di zucchero di canna, rum e menta, che preferiva consumare a La Bodeguita del Medio, ormai iconico ristorante tipico cubano, arrivando da una lunga giornata di pesca al marlin, il bestione protagonista de Il vecchio e il mare. Ernest non disprezzava nemmeno il daiquiri (lime, rum bianco, sciroppo di zucchero, ghiaccio tritato); sulla parete de La Bodeguita campeggia una famosa frase di Hemingway, Mi mojito en la Bodeguita, mi daiquiri en La Floridita (storico ristorante di pesce e cocktail bar dell’Avana vecchia). Pare che il vecchio Ernest si cimentasse anche nella creazione di nuovi bibitoni, come il Papa doble (un daiquiri fatto col rum, succo di lime, maraschino e succo di pompelmo) e Morte nel pomeriggio (nome più che azzeccato per un mix letale di champagne e assenzio). Tuttavia, le abitudini alcoliche di Hemingway sono così leggendarie che è difficile delimitare dove finisca la realtà e inizi la mitologia: altre fonti sostengono che, essendo diabetico, lo scrittore preferisse drink senza zucchero e non disdegnasse un martini dry.

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      Il Martini è uno dei protagonisti assoluti della scena letteraria, dalla sua comparsa in Casino Royale di Ian Fleming nel 1953: James Bond lo preferisce molto forte, e la sua ricetta personale prevede tre unità di Gordon’s, una di vodka, mezza di Kina Lillet, una scorzetta di limone, da consumare in un bicchiere da champagne ampio e profondo a sufficienza.

      Tornando a Hemingway, i protagonisti della sua (alcolica) Fiesta consumano (in grande abbondanza) Martini, vino, grappa, assenzio, birra, brandy, Anis del Mono, Izzarra – un liquore basco – e il Jack Rose (applejack – un brandy invecchiato nel legno – granitina e succo di lime), che Jack Barnes ordina mentre aspetta l’affascinante e crudele Brett, ammiratrice di toreri e indossatrice di titoli nobiliari. Bung-o! (Ndrm: è il prosit utilizzato da Brett nelle sue libagioni).

      All’irrequieta Dorothy Parker sono stati attribuiti questi celeberrimi versi

       I like to have a martini, Two at the very most. After three I’m under the table, After four I’m under my host.

      (Apprezzo un martini/ due al massimo/ al terzo sono sotto il tavolo/ al quarto sotto il mio ospite).

      L’ironica poesiola è quasi certamente spuria, nata a seguito di una sua dichiarazione dopo un cocktail party particolarmente riuscito:

      Enjoyed it? One more drink and I’d have been under the host!

      (Se mi è piaciuto? Un altro drink e sarei finita sotto il mio ospite!)

      Il mito del martini di Miss Parker ha portato addirittura alla creazione di un bicchiere da martini che porta il suo nome; in realtà, si vocifera che Dottie preferisse lo scotch.

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      Il martini fa la sua comparsa anche ne Il giovane Holden: Carl Luce, amico del protagonista, lo consuma molto secco e senza olive, mentre Holden preferisce dissetare le scapigliate nottate newyorkesi con scotch&soda.

      L’indimenticabile Holly Golightly di Colazione da Tiffany ama il martini, i Manhattan, che consuma col suo “Fred baby”, i cocktail di champagne e il White Angel (vodka, gin, vermouth). E come dimenticare le orge alcoliche delle feste decadenti di Jay Gatsby? Tra tanti, il gin rickey, un mix di gin, succo di lime e acqua gassata), mentre la frivola Daisy Buchanan condivide con Faulkner la passione per il mint julep.

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      Vi è venuta sete, di cocktail e di libri? Poco male: Tim Federle, attore, scrittore e giornalista, ha compilato una deliziosa guida alle gozzoviglie letterarie, Tequila Mockingbird: cocktails with a literary twist, in cui gioca con gli ingredienti dei cocktail, adattandoli a romanzi e ribatezzandoli. Tequila Mockingbird contiene anche una guida di base per i bartender in erba, drinking games letterari, abbinamenti drink-gruppi di lettura e una miniguida a spuntini da hangover, ovviamente letterari: ad esempio, Alice’s Adventures in Wonder Bread (pane bianco con formaggio svizzero e patè di funghi) o The Deviled Egg Wears Prada ( una variante un po’ esotica delle uova ripiene, con humus, paprika e limone).

      Vi lascio con un paio di cocktail letterari suggeriti da Federle: consumate con moderazione!

      Cocktail d’autore n.1: Rye and Prejudice (da Pride and Prejudice, Orgoglio e Pregiudizio, Jane Austen)

      • tre once* di succo di pompelmo
      • 1/3 di oncia di rye whiskey (whisky di segale)

      Versate gli ingredienti su un bicchiere riempito a metà di ghiaccio, mescolando come se aveste a che fare con un cuore innamorato, pieno di complicazioni.

      Cocktail d’autore n.2: Love in the time of Kahlua (da Love in the time of Cholera, L’amore ai tempi del colera, Gabriel Garcìa Marquez)

      • 1 oncia di rum
      • ½ oncia di liquore al caffè (tipo il Kalhua)
      • 2 once di panna
      • cannella o noce moscata a piacimento

      Mescolate rum, liquore al caffè e ghiaccio, aggiungendo poi la panna e spezie a volontà, per un drink pieno di passioni non corrisposte ed esplosive.

      Cocktail d’autore n.3: Romeo and Julep (da Romeo e Giulietta, William Shakespeare)

      • 6 rametti di menta fresco
      • un cucchiaino da tè di zucchero di canna
      • ½ oncia di schnapps alla pesca
      • ½ oncia di bourbon
      • una lattina di bevanda gassata al limone o al lime

      Mescolate il tutto on the rocks finché lo zucchero si sarà sciolto, poi aggiungete la bevanda al limone/lime e preparatevi ad innamorarvi, velocemente, inesorabilmente.

      Cocktail d’autore n.4: Huckleberry Sin (da Le avventure di Huckleberry Finn, Mark Twain)

      • 5 mirtilli, lavati
      • 2 once di vodka ai frutti di bosco
      • una lattina di gassosa

      Pestate i mirtilli in un barattolo di vetro. Aggiungete ghiaccio a piacimento, la vodka e la gassosa. Sedetevi sui gradini del portico, e godetevi il tramonto (facendo attenzione alle zattere di banditi scalzi che risalgono il fiume).

      Cocktail d’autore n.5: Infinite zest (da Infinite jest, David Foster Wallace)

      • 2 once di vodka
      • un’oncia di limoncello
      • ½ oncia di succo di limone

      Shakerate per bene gli ingredienti e versateli in un bicchiere da cocktail, aggiungendo ghiaccio a piacimento, per un drink giallo come un pallina da tennis.

      Cocktail d’autore n.6: Gone with the wine (da Gone with the Wind, Via col Vento, Margaret Mitchell)

      Dosi per 6 drink (ideale per un gruppo di lettura, o quello che volete voi):

      • una bottiglia di vino rosso
      • 2 once di brandy alla pesca
      • 2 cucchiai di zucchero
      • una pesca, tagliata a pezzettini
      • un’arancia a spicchi
      • 2 bicchieri e mezzo di ginger ale (soft drink a base di estratto della radice di zenzero, bella fredda

      Versate il vino e il brandy in una caraffa, insieme allo zucchero e ai pezzi di frutta. Lasciate a macerare in frigorifero per almeno un’ora. Quando qualcuno degli ospiti si riferirà ad Ashley come una ragazza (non avendo chiaramente letto il libro né – sacrilegio! – visto il film), togliete la caraffa dal frigo, aggiungete la ginger ale e fate sbollentare gli ardenti spiriti, ché domani è un altro giorno

      Cocktail d’autore n.7: The Rye in the Catcher (da Catcher in the Rye, Il giovane Holden, JD Salinger)

      Dosi per 6 drink (ideale per un gruppo di lettura, o quello che volete voi):

      • ½ bottiglia di rye whiskey (whisky di segale)
      • 4 once di succo d’ananas
      • 2 once di succo di limone
      • un litro di ginger beer (letteralmente birra allo zenzero, una bevanda composta da zenzero, zucchero, acqua, succo di limone e lievito)

      Mescolate whisky e succhi di frutta, aggiungendo ghiaccio in abbondanza. Aggiungete gradualmente la ginger beer, shakerate e chiamate a raccolta i vostri amici: è tempo di scacciare quei fastidiosissimi mean reds, e andare avanti.

      Cocktail d’autore n.8: The Portrait of a pink lady (da The Portrait of a Lady, Ritratto di signora, Henry James)

      Dosi per 12 drink (ideale per un gruppo di lettura, o quello che volete voi):

      • un litro di gin
      • 3 tazze di limonata rosa (per il colore, si posso aggiungere alla limonata tradizionale fragole o succo di mirtillo q.b.)
      • 6 once di granitina (succo di melograno più zucchero granulato)
      • un litro di gassosa

      Mescolate tutti gli ingredienti, tranne la gassosa, in una zuppiera da punch. Aggiungete giaccio a piacimento e la gassosa come tocco finale per un rimedio ideale per le pene d’amore, per il rimorso di aver scelto l’uomo sbagliato, di non aver capito se alla fine l’erba era più verde oltre l’Atlantico, o meno.

      *Un’oncia equivale a circa 2,96 cl

      Ancora assetati di cocktail e di libri? Poco male: The Reading Room offre una lista di quindici abbinamenti drink/romanzi (per citarne uno, Il grande Gatsby e il French 75, un mix di gin, champagne, sciroppo, limone e ghiaccio.) Nunc est bibendum!

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      Soundtrack: A little party never killed nobody, Fergie (The Great Gatsby soundtrack)

      Posted in Letteratura e dintorni | 5 Comments | Tagged Carl Luce, Casino Royale, Charlotte Brontë, cocktail, cocktail letterari, Colazione da Tiffany, Daisy Buchanan, David Foster Wallace, DFW, Dorothy Parker, Ernest Hemingway, Faulkner, Fiesta, Francis Scott Fitzgerald, Gabriel García Márquez, Henry James, Holden Caulfield, Holly Golightly, Huckleberry Finn, Ian Fleming, Il giovane Holden, Il grande Gatsby, Infinite Jest, James Bond, Jane Austen, Jane Eyre, JD Salinger, L'amore ai tempi del colera, Margaret Mitchell, Mark Twain, martini, mint julep, mojito, orgoglio e pregiudizio, pride and prejudice, Ritratto di Signora, Romeo e Giulietta, Shakespeare, The Reading Room, Truman Capote, Via col Vento, Zelda Fitzgerald
    • The rules of (literary) dating – un elenco semiserio di frequentazioni letterarie

      Posted at 11:50 am04 by ophelinhap, on April 22, 2015

      indexUn’educazione bovaristica e un’esposizione precoce a certi tipi di letture hanno l’indubbio svantaggio di generare aspettative che non potranno mai essere soddisfatte. Tuttavia, perché guardare il bicchiere mezzo vuoto? Se Jane Austen & company ci hanno insegnato qualcosa, è anche – e soprattutto – l’arte di percepire determinati segnali che, come campanelli d’allarme, gettano una nuova luce sul protagonista di una storia, rendendolo un eroe degno delle attenzioni della protagonista, un perfido cialtrone, un’insignificante macchietta.

      Perché allora non utilizzare questo “superpotere” anche nella vita di tutti i giorni? In fondo, la letteratura è imitazione della vita, no?

      Quindi vi propongo un inventario semiserio (che mi sono divertita un sacco a compilare) di tipologie di eroi/vili marrani in cui ogni lettrice che si rispetti è incappata, prima o poi, tanto tra le pagine di un libro che nella vita vera.

      In quale tipologia vi rispecchiate maggiormente? In ogni caso, niente panico: come scriveva Jane Austen alla nipote Fanny Knight

      Non andare di fretta; abbi fiducia, l’Uomo giusto alla fine arriverà; nel corso dei prossimi due o tre anni, incontrerai qualcuno più unanimemente ineccepibile di chiunque tu abbia già conosciuto, che ti amerà con un ardore che Lui non ha mai avuto, e che ti affascinerà in modo così totale, da farti sembrare di non aver mai veramente amato prima.

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      Tipologia A – Il Mr Darcy (Orgoglio e Pregiudizio, Jane Austen)

      Non è sicuramente il tipo adatto a fare il +1 ad un matrimonio, un compleanno, una cena di lavoro, nè il partner ideale per il corso di tango, dal momento che si rifiuta di ballare. A pensarci bene, non è solo il ballo il problema: la sua vita sociale è fortemente limitata dalla sua scarsa disponibilità a mescolarsi con la gente che non conosce, da quella sua tendenza a fare un po’ l’orso della situazione e a starsene in disparte, con un’espressione tra il serio e l’annoiato, studiando attentamente i titoli della libreria del padrone di casa di turno (probabilmente per criticarne segretamente gusti e scelte).

      Non ha un grandissimo senso dell’umorismo, è riservato e ha bisogno di (tanto) tempo per aprirsi, e accordare la sua fiducia: tempo che passerete cercando di capire cosa gli passi veramente per la testa. In fondo è un po’ come un riccio, irto e irsuto fuori, sorprendentemente dolce e gentile dentro. Onesto, leale, generoso, è sempre pronto a dare una mano, specie se si tratta di tirare fuori dai guai la fanciulla che occupa gran parte dei suoi (criptici) pensieri, magari a sua insaputa. Dire che ha un brutto carattere è un eufemismo: è spesso burbero e cupo, tremendamente orgoglioso (potremmo dire pieno di sé..): una volta persa, la sua stima è persa per sempre. Testardo fino all’esasperazione, non darà soddisfazione alle insicure in cerca di conferme: ma le sue (rarissime) dichiarazioni, lungamente represse, sono sincere e impetuose, e non ci si dimentica facilmente della sua ardente stima e ammirazione.

      Il Mr Darcy scrive inoltre bellissime lettere, ma le amanti del genere epistolare non dovrebbero nutrire illusioni: le sue missive sono infatti volte a riparare qualche suo errore di giudizio tremendamente stupido, che avrà diminuito infinitamente il suo valore agli occhi della Lizzie di turno, incline, a sua volta, a cadere vittima dei suoi pregiudizi. Ma, in fondo, il bel tenebroso piace anche per questo, no? Lunghe passeggiate all’aria aperta possono rivelarsi il metodo migliore per superare le (innumerevoli) controversie, perché, ammettiamolo, quando ci innamoriamo perdiamo tutti la ragione (vero, zia Jane?)

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      Tipologia B – L’ Heatchcliff (Cime tempestose, Emily Brontë)

      Ammettetelo: vi piacciono i bad boy, i tipi cupi, tormentati, misteriosi, irrequieti, inquieti, sempre fuori posto e fuori tempo. Se è cosi, Heathcliff, il selvatico e appassionato protagonista maschile di Cime tempestose, la cui complicata personalità, a cavallo tra bene e male, incarna quelle lande selvagge e desolate dello Yorkshire che fanno da sfondo alla sua storia d’amore con la capricciosa Cathy, fa al caso vostro.

      Non potreste mai invitarlo a mangiare la lasagna a casa di vostra madre la domenica, anche perché, diciamocela tutta, molto probabilmente non si presenterebbe (senza nemmeno avvisarvi): ma riuscirebbe comunque a farsi perdonare il bidone, perché il ragazzo sa farci con le parole, quando vuole.

      Non è di certo una persona convenzionale o ortodossa: gli piace distinguersi e fare l’alternativo, e poco gli importa dell’opinione altrui.

      Nessuno potrebbe mai capire il vostro amore: ma, anche se il mondo intero fosse contro di voi, non v’importerebbe, perché le vostre anime sono fatte esattamente della stessa sostanza. Il vostro amore non cambierà come le foglie d’autunno: piuttosto, somiglia alle rocce eterne che stanno sotto quegli alberi stessi, una fonte di piacere ben poco visibile, ma necessaria.

      Il problema è che, a volte, il suo comportamento fin troppo eccentrico e sprezzante potrebbe portarvi a vergognarvi di lui, e ad allontanarvi. In questo caso, l’Heatchliff sarebbe portato a farvi vedere la sua parte peggiore di sé: sprezzante, possessiva, gelosa, poco incline a perdonare e a dimenticare.

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      Tipologia C – Il Rhett Butler (Via col vento, Margaret Mitchell)

      (Vedi anche alla voce: potrei ma non voglio, vorrei ma non posso)

      Che strazio i se e i forse! Se non aveste sprecato tempo prezioso sospirando drammaticamente per qualcuno che, in fondo, non sarebbe mai stato quello giusto, forse vi sareste accorte prima di quel Rhett che vi stava accanto, aspettando solo di essere notato da voi.

      Il Rhett non corrisponde allo stereotipo di gentiluomo americano del Sud – anzi. Beve come una spugna, bestemmia come un camionista, non si sottrae mai a una rissa, e, francamente, se ne infischia dell’opinione altrui.

      Non si sdilinquisce in complimenti, dice sempre quello che pensa, è egoista ma generoso al momento opportuno, protettivo dei più deboli (Bella Waitling vi dice qualcosa?), e, udite! udite! Ama i bambini!

      La sua pazienza sconfina nella testardaggine: tuttavia, dopo aver superato un certo limite, francamente se ne infischia. Poco male: domani è un altro giorno, vero?

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      Tipologia D – Il Florentino Ariza (L’amore ai tempi del colera, Gabriel García Márquez)

      Il Florentino non è un tipo che si fa notare: è quasi insignificante, nascosto sotto un mantello dell’invisibilità di potteriana memoria. Eppure, ha un suo perché: scrive incantevoli lettere d’amore, e si distingue per la sua incredibile tenacia, che lo rende capace di attendere 51 anni, nove mesi e quattro giorni (beh, forse non così tanto: ma ho reso l’idea, no?), sfidando l’odore penetrante delle mandorle amare armato delle sua silenziosa pertinacia.

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      Tipologia E – Il Willoughby (Ragione e sentimento, Jane Austen)

      Fanciulle, fate attenzione: il Willoughby vi mentirà spudoratamente, negando davanti alla più palese evidenza; vi farà aspettare ore e ore (con conseguenti gastriti e insonnie) una sua chiamata (che non arriverà mai, ovviamente); vi farà credere di essere l’unica (ingenua, che crede che le “telefonate di lavoro” possano arrivare anche dopo mezzanotte). Arriverà perfino a chiedervi un ricciolo da tenere sempre con sé, e a farvi visitare (di nascosto, s’intende) la magione di sua zia che spera di ereditare, un giorno.

      Diciamocela tutta: è insopportabilmente affascinante, ha (o finge di avere) i vostri stessi gusti musicali e letterari, è sempre pronto a farvi da complice quando avete voglia di ridere di voi stesse e degli altri – specie di quel qualcuno timido e un po’ imbranato che cerca di ronzare dalle vostre parti (povero colonnello Brandon).

      Poi non dite che zia Jane non vi aveva messo in guardia: lettrice avvisata, mezza salvata.

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      Tipologia F – Il Rochester (Jane Eyre, Charlotte Brontë)

      Date retta a Charlotte Brontë: non uscite col vostro capo (o collega). Se proprio non riuscite a farne a meno (ah, l’ammmmore), cercate almeno di capire se avete a che fare con Il Rochester.

      Se fa finta di flirtare con fanciulle dal nome pretenzioso (Blanche, dico a te) e il suo comportamento oscilla schizofrenicamente tra il possessivo e il distaccato, è molto probabile che nasconda in soffitta qualche scheletro (o una moglie pazza).

      Tuttavia, se riuscite a fare breccia nel suo cuore di pietra, dirimere i nodi del suo oscuro e tormentato passato e raggiungere con lui un rapporto assolutamente paritario (senza aspettare che, per esempio, perda parzialmente la vista in un incendio per riconoscere che ha bisogno di voi, perché, per dirla tutta, è anche un po’ misogino) allora, lettrici, potreste anche arrivare a sposarvelo.

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      Tipologia G – L’Amleto (Amleto, William Shakespeare)

      V’ama, non v’ama, v’ama, non v’ama. Vi trova fin troppo belle, così belle che l’unico modo per preservare la vostra purezza e onestà è chiudervi in un convento. Ha problemi a casa (e che problemi, tra complesso di Edipo, di Medea, ecc.), il momento non è quello giusto, probabilmente frequenta compagnie (fantasmi) sbagliate (defunte).

      In ogni caso, i suoi problemi esistenziali sono decisamente più grandi di voi due messi insieme. Se passa troppo tempo a parlare da solo con un teschio in mano, non aspettate di fare la fine della dolce e bellissima Ofelia: scappate.

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      Tipologia H – L’Otello (Otello, William Shakespeare)

      Attenti alla gelosia, quel mostro dagli occhi verdi che dileggia il cibo di cui si nutre!

      Tutto va bene tra voi; eppure, per qualche oscuro, recondito motivo, L’Otello avverte l’insana necessità di controllare costantemente il vostro telefono (appena vi girate dall’altra parte), giocare al piccolo hacker col vostro account Facebook, chiedere a un amico di sorvegliarvi.

      L’Otello sembra forte, ma ha una personalità molto debole: è facile manipolarlo e convincerlo del fatto che due più due faccia cinque, a scapito della vostra relazione (e della vostra salute mentale).

      Ricordatemi se queste cose finiscono bene, ché ho un’amnesia temporanea.

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      Tipologia I – L’Humbert Humbert (Lolita, Vladimir Nabokov)

      Magari è amore a prima vista, ultima vista, eterna vista, ma lui vi sembra forse lievemente ossessionato dal suo primo amore pre-adolescenziale e non riesce proprio a smettere di parlarne?

      Scappate.

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      Tipologia J : Il Vronskij (Anna Karenina, Leo Tolstoj)

      Il Vronskij non è tipo da tirarsi indietro davanti a una sfida: quando si prefigge un obiettivo, niente può fermarlo. Quando vuole qualcosa, deve averla. Più è difficile ottenerla, più la vuole. Niente e nessuno (che sia un noioso marito burocrate, o una madre desiderosa di farlo sposare per soldi) possono distoglierlo dalla meta prefissa.

      Il fatto che sia estremamente affascinante è innegabile: tuttavia, la sua esteriorità patinata spesso nasconde una personalità narcisistica e superficiale, interessante e profonda quanto i discorsi motivazionali delle candidate a Miss Italia.

      Siete sicure di aver veramente trovato l’anima gemella, e di voler sacrificare tutto per lui?

      Potete leggere questo post in Inglese qui.

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      Versus

      Posted in Frammenti di un discorso amoroso, Letteratura e dintorni | 17 Comments | Tagged Amleto, Anna Karenina, aunt jane, Cathy Earnshaw, Charlotte Brontë, Cime tempestose, Emily Brontë, Fanny Knight, Florentino Ariza, Gabo, Gabriel García Márquez, Gone with the Wind, Hamlet, heathcliff, Humbert Humbert, Jane Austen, Jane Eyre, Janeite, L'amore ai tempi del colera, Lev Tolstoj, Lizzie Bennet, Lolita, Margaret Mitchell, Mr Darcy, Ofelia, Otello, Ragione e Sentimento, Rhett Butler, Rochester, Rossella O'Hara, Scarlett O'Hara, Sense and Sensibility, Shakespeare, Via col Vento, Vladimir Nabokov, Vronskij, Willoughby, Wuthering Heights
    • The Ophelinha Gazette#5 – articoli, segnalazioni, aneddoti e curiosità letterarie

      Posted at 11:50 am02 by ophelinhap, on February 27, 2015

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      Edizione straordinariamente….rapida, dato che la redazione si prepara a (letteralmente) scappare nell’amatissima  Albione, alla volta di afternoon tea e decadenti librerie dell’usato (tipo questa a Charing Cross).
      Buona lettura, e buon weekend a tutti!

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      1) Raccontarsi l’amore. L’amore quotidiano, quello che lotta per resistere alla noia e alle incurie del tempo, in un bellissimo articolo di Silvia Avallone. E, dato che siamo in vena di amore&altri disastri, scoprite con questo test di The Reading Room qual è la perfetta lettura per quando siete in the mood for love (la mia sembra essere Via col Vento di Margaret Mitchell, e domani è un altro giorno. A patto che mi ricordi di andare a riprendermi Rhett…)

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      2) Quale libro si adatta di più alla vostra personalità di lettore? Scopritelo con questo test su Book Browser.

      3) Dato che un po’ ovunque si parla di 50 sfumature di grigio, voi invece beccatevi le stranezze sessuali dei nostri amici scrittori. Mr Joyce will see you know (con un paio di mutandine da bambola in tasca, magari).

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      4) La lettera d’amore più bella (secondo un opinabile articolo del Telegraph) sarebbe stata scritta da Johnny Cash a June Carter (per rinfrescarvi la memoria, guardate Walk the Line).
      Io rimango perplessa, voi fatemi sapere.

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      5) Ecco a voi la fanciulla che disegna pasti luculliani anziché fotografarli e pubblicarli su Instagram (si, dalla regia mi dicono che persone simili esistono ancora, anche se sono purtroppo una specie in via d’estinzione).

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      6) Le lettere di Abelardo ad Eloisa raccontate da Vittoria Baruffaldi, la blogger innamorata di filosofia.

      7) Pubblicità libridinose.

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       8) Ieri Victor Hugo avrebbe compiuto 213 anni. Dopo avergli cantato tutti in coro joyeux anniversaire, andate a scoprire come gli piaceva scrivere quando gli mancava l’ispirazione (spoiler alert: in costume adamitico.)

      Ma dico, ce lo vedete? Io no. (Per dirla tutta, in questa foto mi fa un po’ paura.)

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      Posted in Uncategorized | 4 Comments | Tagged Bookworms, In the mood for love, James Joyce, Johnny Cash, Letteratura francese, Lettere d'amore, Librerie bellissime, Margaret Mitchell, Via col Vento, Victor Hugo
    • How To Be A Heroine: Or, what I’ve learned from reading too much

      Posted at 11:50 am02 by ophelinhap, on February 25, 2015

      ellisQualche settimana fa mi sono imbattuta in quello che sarebbe il mio salotto ideale.
      (Tra l’altro, io il salotto nemmeno ce l’ho. Una stanza qualsiasi, insomma).
      Una stanza popolata di tutte quelle eroine che hanno invaso, in ordine sparso, la ma infanzia, la mia adolescenza, la  mia età attuale (senza denominazione, che è meglio), seminandovi colori e confusione, distribuendo scie di profumo e risate chiassose, mischiando lacrime a sorrisi. Le sorelle March e Esther Greenwood, Cathy Earnshaw e Rossella O’Hara, Jane Eyre e le sorelle Bennet, Lucy Honeychurch e Sarah Crewe.
      Donne che non potrebbero essere più diverse tra di loro si ritrovano, da una sponda all’altra dell’Atlantico, da un secolo all’altro, nel salotto di Samantha Ellis, o meglio nel suo delizioso, brioso memoir How to be a Heroine: Or, What I’ve learned from reading too much (purtroppo non ancora disponibile in traduzione italiana).
      Samantha Ellis scrive per il teatro, vive a Londra, ha origini ebraico-irachene e nutre fin da piccola una vera e propria ossessione per le eroine letterarie che racconta in un Bildungsroman autobiografico. La Ellis descrive come le  protagoniste delle sue letture abbiamo  contribuito allo sviluppo del suo carattere, alle sue scelte, alla delicata transizione da ragazza a donna, tra le mille aspettative, pretese e limitazioni imposte dalla piccola, ristretta comunità ebraico – irachena londinese.
      L’interesse di Samantha per queste appassionate, carismatiche, contraddittorie figure femminili parte dall’affascinante, avventurosa storia di sua madre.
      Gli ebrei di Baghdad non hanno certo avuto una vita facile: protetti durante la dominazione ottomana, hanno iniziato a essere preda di discriminazioni e persecuzioni tra le due guerre mondiali, fino ad arrivare al farhud  (pogrom, genocidio) del 1941, quando la popolazione ebrea è stata derubata, seviziata, uccisa.
      La famiglia di sua madre, decisa a rimanere in Iraq a tutti i costi, cerca di scappare. Qualcosa va storto, e tutti i componenti vengono arrestati e rilasciati dopo tre settimane, riuscendo a scappare a Londra, dove sua madre, appena ventiduenne, si innamora e si sposa dopo pochissimo tempo con un altro ebreo iracheno. La piccola Samantha ambisce a una vita eroica, ricca di avventure, e con un lieto fine.
      Una delle sue prime eroine è Ariel, l’infelice sirenetta protagonista della favola di Andersen. Da bambina, la Ellis si immedesima in lei perché, come Ariel è sospesa in una sorta di terra di nessuno, tra i fondali marini e la superficie, lei è divisa in due, tra il suo desiderio di visitare Baghdad e di appartenere alla comunità ebraico-irachena e la sua vita londinese, con la sua insofferenza nei confronti delle tradizioni troppo rigide della comunità stessa. Ormai adulta, la Ellis rilegge Ariel come una sorta di “campanello d’allarme” per tutte le donne: non rinunciate mai alla vostra voce! Non fate sacrifici per uomini che non se lo meritano! Non sacrificatevi, ma usatelo, quel coltello (la presenza e il sostegno di altre donne; nella fiaba di Andersen, la sirenetta può sopravvivere solo pugnalando il principe nel cuore, e bagnando le gambe nel suo sangue ancora caldo; sceglie invece di morire, dissolvendosi in migliaia di bollicine d’acqua, nonostante le sorelle avessero sacrificato i loro bellissimi capelli marini per procurarle il pugnale stregato), simbolo di affrancamento personale dalla gabbia delle convenzioni di genere.

      Uno dei capitoli più interessanti è quello dedicato alla rilettura di Cime tempestose di Emily Brontë e Jane Eyre di Charlotte Brontë. Durante una gita ad Haworth, sulle tracce delle sorelle Brontë , l’autrice discute con la sua migliore amica, compagna da sempre di letture e di merende,  che preferisce la Jane di Charlotte, pacata e apparentemente scialba, ma solida e decisa, all’impetuosa Catherine che vive un amore assoluto, ma è capricciosa, viziata e snob.
      Rileggendo i due romanzi, la Ellis, che nutre da sempre una predilezione per la selvaggia Cathy, rivaluta Jane Eyre, apprezzandone il coraggio e la determinazione,  i valori (quando scopre che Rochester, il suo datore di lavoro che le ha chiesto di sposarlo, ha già una moglie, Bertha, chiusa in soffitta per i suoi problemi mentali, si rifiuta di rimanere e diventare la sua amante e scappa via la notte stessa, col cuore spezzato), la generosità, il suo desiderio di instaurare con Rochester un rapporto paritario.

      Tuttavia, leggendo la vicenda di Jane in chiave più critica e femminista, l’autrice sostiene che Jane e Rochester non arrivano mai a un rapporto paritario: si sposano solo quando lui, avendo perso un occhio e una mano durante un incendio causato da Bertha, ha bisogno di lei più che mai. C’è davvero bisogno che un uomo sia parzialmente disabile perché possa instaurare con la sua donna un rapporto equo?
      E comunque, un’eroina perfetta che non compie mai errori (Jane Eyre) non riesce a riscuotere le simpatie indiscusse della Ellis.
      Cathy è tutta un’altra storia. È una creatura selvaggia, che appartiene alle brughiere e alle lande desolate dello Yorkshire, alle foglie, al vento, alla nebbia. È viziata, capricciosa, conosce il suo cuore ma non è capace di seguirlo: nutre un amore sterminato, illimitato per Heathcliff, trovatello di oscure origini con cui è cresciuta, ma sposa codardamente Linton, il giovane più ricco della contea, sostenendo che Heathcliff la degraderebbe. Ma Cathy è Heathcliff: le loro anime sono fatte della stessa sostanza, le loro sofferenze sono condivise, la loro sensibilità è affine, come lo è il loro egoismo, il loro essere noi-due-contro-il- mondo.
      Sono divisi però da divisioni sociali e valichi incolmabili; scrive la Ellis;

      Cathy and Heathcliff’s love is too raw and rarefied to exist in the real world, and they know it; they can only be together as restless ghosts. (…) Their love is just not realistic. It is the kind of love, in fact, that could only be written by someone who had never been in love…and also mean that Wuthering Heights is a terrible template for actually conducting a love affair. (…) I can’t help thinking that a heroine should be able to love without being erased.
      (L’amore di Cathy e Heathcliff è troppo crudo e rarefatto per esistere nel mondo reale, e loro lo  sanno; possono solo essere insieme quando diventano inquieti fantasmi. (…) Il loro amore non è realistico. È un amore che poteva essere descritto solo da qualcuno che non è mai stato innamorato…ciò rende Cime tempestose un pessimo modello di storia d’amore. (….) Non posso fare  a meno di pensare che un’eroina dovrebbe essere in grado di amare senza essere annullata dall’amore).

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      Da Rossella O’Hara la Ellis impara che non è necessario diventare una lady: basta avere il coraggio di diventare una donna, ed essere fedele all’idea di se stessa. Grazie a lei e al timido, passivo Ashley, la scrittrice riesce a superare la sua attrazione fatale per gli amori impossibili:

      I thought impossible love was the best kind. But I hope I’m braver about love now, and I’m tempted to make a rule that any heroine who spends a whole novel in love with someone who can’t or won’t love her back is not truly a heroine. Because unrequited love is delusional, thankless and boring. It’s also a misuse of imagination…
      (Pensavo che l’amore impossibile fosse quello vero. Ora spero di essere diventata più coraggiosa in amore, e mi stuzzica l’idea di stabilire la seguente regola: ogni eroina che passi un intero romanzo innamorata di qualcuno che non può amarla o non l’amerà mai non si merita il titolo di eroina. L’amore non corrisposto è una delirante, ingrata, noiosa illusione, nonché uno spreco di immaginazione…)

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      Impara dalla Franny salingeriana a trovare significato e risposte al di fuori della religione, e ad apprezzare il potere curativo e mistico del brodo di pollo; da Ester Greenwood, l’eroina autobiografica di Sylvia Plath, a convivere con l’idea che essere donna equivalga a soffrire, a sopravvivere al dolore e allo senso di smarrimento che derivano dagli attacchi di cui la Ellis diventa vittima durante gli anni universitari (derivano probabilmente da forti emicranie, causate da pulsazioni dell’arteria basilare). Questi attacchi le fanno perdere orientamento ed equilibrio, rendendola incapace di continuare a vivere come prima: da Sylvia Plath impara l’eroismo di chi lotta ogni giorno con fantasmi più grandi di lei, cercando di dare a se stessa – e ai suoi lettori  – la possibilità di rinascere dalle ceneri.

      Da Lucy Honeychurch, la poco convenzionale protagonista di Camera con vista di Edward Morgan Forster, eredita il desiderio di essere coraggiosa quando scrive e nella vita, facendo sua la massima di Mr Beebe, uomo di chiesa che dice di Lucy:

      If Miss Honeychurch ever takes to live as she plays, It will be very exciting both for us and for her.
      (Se Miss Honeychurch iniziasse a vivere come suona, si aprirebbero nuove ed eccitanti prospettive sia per lei che per noi).

      Valley of the Dolls di Jacqueline Susann le insegna a fidarsi del suo talento, e a investire tutta se stessa nel desiderio di scrivere per il teatro, facendo sua la lezione di Neely, una delle controverse protagoniste:

      Guys will leave you, your looks will go, your kids will grow up and leave you, and everything you thought was great will go sour; all you can really count on is yourself and your talent.
      (Gli uomini ti lasceranno, la tua bellezza svanirà, i tuoi figli cresceranno e se ne andranno, le tue cose preferite ti lasceranno l’amaro in bocca; puoi solo contare su te stessa e sul tuo talento).

      L’ultima eroina del libro, Sherazade, le insegna la lezione più importante: solo appropriandoci delle nostre eroine diventiamo eroine noi stesse. Il coraggio dell’intrepida protagonista de Le mille e una notte non si trova nelle storie che racconta, ma nelle storie che vive, che salvano lei stessa, le altre vergini destinate a diventare vittime, il re.

      La frustrazione della scrittrice, che ambisce ad essere un’eroina in carne ed ossa, non tarda a farsi sentire, insieme ad un paio di rivelazioni:

      I felt let down when I could see a writer too much at work on a character because it reminded me forcefully that of course I didn’t have a writer working on my story, guiding me to safety, bending the laws of reality for me, bringing in a hero  to rescue me or transporting me to a happier life by the stroke of her pen. No writer is writing me a better journey.
      And then I realise I am the writer. I don’t mean because I write. I mean because we all write our own lives
      (Mi sentivo tradita quando mi rendevo conto che uno scrittore lavorava troppo su un personaggio, perché mi metteva di fronte al fatto che io non avevo uno scrittore a lavorare sulla mia storia, a portarmi al sicuro, a sfidare la realtà per me, facendo intervenire un eroe a salvarmi o trasportandomi a colpi di penna verso il mio lieto fine.
      Poi mi sono resa conto che lo scrittore sono io, e non perché scrivo. Tutti scriviamo la nostra vita).

      Il segreto delle vere eroine, sostiene la Ellis, è l’improvvisazione: affidandosi ad essa, ogni incidente di percorso diventa un’avventura, ogni errore un invito a cambiare direzione, ogni caduta una revisione delle regole del gioco. Il principio dell’improvvisazione è semplice, come a teatro: uno degli attori formula un’offerta, l’altro la accetta mettendoci qualcosa di suo, per non bloccare lo sviluppo della situazione. E si va avanti, a tentativi, a braccio.
      Dire sì diventa allora il segreto non solo dell’improvvisazione, ma della vita stessa, la formula che permette di scegliere, trasformarsi, andare avanti.
      Perché non ci sono lieti fini, solo lieti inizi.

      How to be a Heroine: Or, what I’ve learned from reading too much, Samantha Ellis, Chatto & Vindus

      se

      Posted in Letteratura e dintorni, Ophelinha legge | 8 Comments | Tagged American literature, Camera con vista, Cathy Earnshaw, Charlotte Brontë, Edward Morgan Forster, Elizabeth Bennet, Emily Brontë, Franny&Zooey, How To Be A Heroine: Or, Jane Austen, Jane Eyre, Janeite, JD Salinger, La campana di vetro, Letteratura inglese, Lucy Honeychurch, Margaret Mitchell, orgoglio e pregiudizio, pride and prejudice, Rossella O'Hara, Samantha Ellis, Sylvia Plath, The Bell Jar, Valley of The Dolls, Via col Vento, what I’ve learned from reading too much
    • LibriInValigia#2: Once again to Zelda , Wagman-Geller

      Posted at 11:50 pm09 by ophelinhap, on September 4, 2012

      Once again to Zelda: The Stories Behind Literature’s Most Intriguing Dedications di Marlene Wagman-Geller

      Questo libro da solo meriterebbe un post a parte, anzi una serie di post. Non credo che esista un’edizione italiana, ma vi consiglio caldamente di leggerlo, perché è davvero un piccolo gioiello, uno scrigno di “storie dietro la storia”, un regalo scovato in una piccola libreria indipendente di Islington, a Londra.
      Si tratta di cinquanta storie “dietro le quinte”, in cui l’autrice ricerca motivazioni e retroscena delle dediche di cinquanta tra i libri più belli e più letti di tutti i tempi, da Pasternak a F.S. Fitzgerald, da Sylvia Plath a Mary Shelley.
      Vi ricordate il dibattito tra le due Lare che si contendono il titolo di musa ipiratrice della bellissima ed immortale eroina di Pasternak, sua moglie Zinaida e la sua amante Olga Ivinskaya?
      Secondo la Gellers, Lara è Olga. Perché questa è la dedica de Il Dottor Zivago: 

      To Olga Ivanskaya
      “You guided my hand and stood behind me,
      and all of it I owe to you”.

      Inoltre, la bella Olga condivide la stessa sorte dell’infelice Lara, come constateremo a breve.
      La Ivinskaya conosce Pasternak mentre lavora come editrice presso il giornale Novy Mir. L’amicizia tra la fervente e appassionata Olga, amante della poesia di Pasternak, e lo stesso Boris nasce sui versi e sulle discussioni incentrate su Il Dottor Zivago, allora in corso di redazione, e presto diventa qualcosa di più. In una lettera del 1947, Pasternak le dichiara amore eterno ed imperituro, definendola my love..my angel. Ciononostante, non è disposto a lasciare la sua famiglia, alla quale si dichiara legato dal dovere e dal senso della responsabilità.  La sua storia con Olga forma parte integrante della trama de Il Dottor Zivago, traducendosi nella relazione tra Jurij e Lara.
      Come Lara, Olga scopre di aspettare un bambino da Boris, ma durante la sua prigionia in un campo di lavoro, durante la quale viene sottoposta a violenze fisiche e psicologiche: ad esempio, le viene mostrata una bara e viene invitata ad aprirla per convincerla che Boris fosse morto e forzarla a svelare quanti più dettagli possibili sull’impegno anticomunista di Pasternak. Ma il prezzo da pagare per Olga non si riduce alla prigionia, non si riduce all’inevitabile destino di “altra donna”, di amante: dopo la morte di Pasternak nel 1960, viene processata e condannata ad otto anni in un gulag, come Lara, uscita un giorno di casa per non farvi più ritorno, prigioniera, morta o sparita da qualche parte, una delle centinaia di desaparecidas rese ancora più invisibili dal fatto di essere donne.
      Le torture, le sofferenze e le privazioni patite da Olga durante questi anni sono state da lei rese pubbliche nelle sue memorie, Prigioniero del tempo. La mia vita con Boris.
      Non soprenderà il fatto che il memoir sia dedicato al suo amato Pasternak:

      La maggior parte della mia vita è stata dedicata a te – e quello che ne resta lo sarà altrettanto.

      Margaret Mitchell dedica il suo celeberrimo Gone With The Wind (Via col vento) ad un certo J.R.M.
      Questa dedica così criptica racchiude la storia della stessa Mitchell e del suo romanzo.
      Margaret, affettuosamente chiamata Peggy, è una vera figlia del Sud. Dopo che sua nonna, l’influente Annie F. Stevens, colonna portante dell’Atlanta bene, la fa ammettere nel prestigioso club della debuttanti, Peggy se ne fa rapidamente espellere, presentandosi ad un ballo come l’antitesi della dama del Sud, vestita in maniera provocante, con calze nere e rossetto carminio, e danzando in maniera così disinibita da scandalizzare gli astanti.
      Nel 1922, la Mitchell incontra il suo Rhett, Berrien Red Upshaw, del quale si innamora follemente, nonostante lui la prenda in giro per le sue gambe corte e sua nonna disapprovi di tutto cuore l’affascinante bad boy  che ha stregato la nipote. Nello stesso periodo, Margaret conosce il suo compagno di stanza, John Robert Marsh, tutt’altro che bello, ma folle di amore per lei.
      Margaret sceglie l’affascinate Red e lo sposa nel corso dello stesso anno, mentre John, che fa loro da testimone, è costretto a nascondere il suo cuore spezzato.
      Il matrimonio della Mitchell ha comunque breve durata, a causa del carattere violento e dell’alcolismo di Red. Quando arriva il momento del divorzio, Peggy si rivolge a John per amicizia, sostegno e affetto. I due si sposano poco tempo dopo il divorzio di Margaret da Red.
      Quando una malattia la costringe a letto per diverso tempo, per farla distrarre John porta alla moglie alcuni libri di storia dalla biblioteca pubblica. Quando l’interesse della moglie per la storia americana diventa sempre più incalzante, John le suggerisce di scrivere un libro. Di qui nasce Via Col Vento, e di qui la dedica della Mitchell al marito, all’amico, a colui che l’ha esortata e spronata a scrivere. A colui che ha creduto in lei.

      Potrei continuare a scrivere per ore su questo libro. Per ora vi lascio con un’ultima storia, un’ultima dedica. Sylvia Plath, la bella poetessa americana sposata con Ted Hughes, sorprendenemente non dedica The Bell Jar all’amatissimo marito, ma ad “Elizabeth e David”.
      Per capire perchè, bisogna fare un salto indietro. Sylvia incontra Ted a Cambridge, durante il suo soggiorno in Gran Bretagna grazie ad una borsa Fulbright. È amore a prima vista: lui si fa avanti tra la folla e si mette a recitarle i suoi versi; lei è talmente attratta da lui e confusa che, mentre bevono e ballano, gli morde l’interno della bocca tanto da farlo sanguinare. Ted le confisca la fascia per capelli per essere sicuro di rivederla. Si sposano quattro mesi dopo, e si trasferiscono a Court Green nel Devon, dove fanno amicizia con i loro nuovi vicini di casa, David ed Elizabeth Sigmund (i David e Elizabeth della dedica).
      Dopo la nascita dei loro due figli, un serpente si introduce nella loro serenità coniugale sotto le mentite spoglie di Assia, la bellissima moglie del poeta londinese che aveva affittato loro il cottage dove abitavano. Ted ne diviene l’amante; Sylvia lo caccia di casa e precipita in una profonda depressione, trovando aiuto e amicizia presso i suoi vicini di casa, ai quali dichiara “Ted lies to me all the time.He has become a little man…I have given my heart away and I can’t take it back – it is like living without a heart”.
      Quando Sylvia decide di andare a vivere a Londra con i suoi due bambini per voltare pagina, Elizabeth e David cercano di farle cambiare idea, preoccupati a causa della sua fragilità e della sua depressione. Le loro previsioni si rivelano, purtroppo, lungimiranti: a soli trent’anni, Sylvia constata con disperazione che il suo appartamento londinese e la sua vita stessa sono diventati una campana di vetro dentro la quale si sente soffocare. Prepara latte e pane sul comodino dei bambini, sigilla la porta della cucina con degli asciugamani, e sceglie di morire, di soffocare velocemente, con la testa dentro il forno, anzichè lasciarsi soffocare lentamente dentro la sua campana di vetro.
      Sei anni dopo la morte di Sylvia, Assia, in una macabra emulazione della morte di quella rivale di cui non si era mai riuscita davvero a liberare, si sarebbe lasciata morire allo stesso modo con la figlioletta Shura, dopo aver inghiottito dei sonniferi.
      Hughes, stravolto dalla triplice tragedia, avrebbe dichiarato ad Elizabeth: “My creativity presented me with a demon. If I get close to people, I destroy them”.
      Nell’ambito di queste tragiche vicende, appare evidente il desiderio di Sylvia di esprimere la sua riconoscenza ai coniugi Sigmund dedicando loro il suo unico romanzo.

      Posted in Letteratura americana, Letteratura e dintorni, Ophelinha legge | 5 Comments | Tagged American literature, Bookworms, Boris Pasternak, Dottor Zivago, Francis Scott Fitzgerald, Gone with the Wind, Greyville, Lara, Letteratura russa, libriinvaligia, Literature and Beyond, Margaret Mitchell, Olga Ivinskaya, Once again to Zelda, Si legge e si racconta di libri, Storie dietro la storia, Sylvia Plath, Ted Hughes, Via col Vento, Zelda Fitzgerald
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