Impressions chosen from another time

Frammenti di letteratura, poesia, impressioni
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    • Un’ora con…Ophelinha

      Posted at 11:50 am05 by ophelinhap, on May 27, 2016

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      Questa puntata di Un’ora con è un po’ fuori dalle righe e diversa dalle altre, perché a rispondere alle domande…sarò io 😉

      È da tempo infatti che volevo fare un po’ il punto della situazione: parlare di com’è nato il blog, come si è evoluto nel corso degli anni, come vorrei che continuasse a cambiare. Avrei voluto farlo a novembre, in occasione del quarto compleanno del blog, ma eravamo in fase di preparazione del calendario dell’Avvento letterario, un’esperienza molto divertente che spero di ripetere anche quest’anno (voi della ciurma, ci sarete tutti, vero?)

      Approfitto dell’occasione anche per parlare un po’ di me: sono schiva, riservata e mi viene sempre più facile nascondermi dietro Ophelinha che far venire fuori Manuela. Voglio provare comunque a mettermi, per una volta, dall’altra parte e provare a raccontarmi. Pronti?

       

      1) Impressions chosen from another time: come e perché?

      Il mio blog nasce in un brumoso pomeriggio del lontano novembre 2011. Avevo già scritto su altri blog e testate (tipo qui o qui), occupandomi prevalentemente di politica europea; quando poi questa passione è diventata anche un po’ (all’incirca pressappoco) il mio lavoro, ma non nei termini o nelle misure che speravo (quasi per niente), ho sentito la necessità di dare sfogo ad altre passioni che mi rappresentassero maggiormente: la lettura, la letteratura, la scrittura, il cinema, il teatro.

      Avevo un numero imprecisato di quaderni pieni di appunti, poesie, racconti, e ho pensato – anche per smettere di perderli – di iniziare a ricopiarli in questa sorta di finestrella virtuale che mi era creata su blogger. Vorrei poter dire che la ragione per cui ho iniziato a scrivere sul blog è qualcosa di eroico, nobile ed elevato, ma non è così: era un pomeriggio di novembre, mi ero ri-trasferita da circa un annetto (dopo aver vissuto a Roma, Londra, di nuovo Roma, di nuovo Londra, di nuovo Roma e una prima volta a Bruxelles), c’era un sacco di nebbia e faceva freddissimo. L’inverno 2011 è stato il secondo inverno più freddo di quelli che ho trascorso in Belgio: ha nevicato fino ad aprile e per me è stata dura abituarmi sia al freddo che a un contesto professionale molto diverso.

      Nel primo post ho copiato semplicemente una poesia che avevo scritto a Londra nel 2008, Un altro finale, perché era quello che mi auguravo: di trovare il mio lieto fine, un posto in cui stare bene, un lavoro che mi appagasse, un contesto socio-professionale (e climatico) che mi si confacesse di più. Non l’ho ancora trovato (segno che dovrei ritirarmi nella campagna inglese e fare l’eremita) e mi auguro ancora esattamente le stesse cose, ma da un annetto a questa parte ho iniziato a provarci sul serio, e spero di trovare presto quello che sto cercando.

      Il titolo del blog è tratto da una canzone di Brian Eno, By this river, colonna sonora de la stanza del figlio di Nanni Moretti. Amo le canzoni malinconiche (sono un’allegrona), e il testo di By this river è davvero bellissimo, oltre a riflettere lo stato d’animo in cui mi trovavo nel periodo in cui ho aperto il blog (e in cui mi ritrovo a momenti alterni): così confusa e lontana dalle cose importanti per me da sentirmi con la testa sott’acqua, cercando di carpire l’eco di parole troppo lontane per risultare intellegibili (suona drammatico, lo so, ma non lo è: abbiate pazienza, sono una drama queen) .

       

      2) Chi c’è dietro Impressions chosen from another time?

      Ci sono io, Manuela. C’è Ophelinha, che è nata come una crasi tra l’ineffabile Ofelia shakesperiana, scritta all’inglese (Ophelia) e la malinconica Ofélia Queiroz, eterna fidanzata e mai moglie di Fernando Pessoa. L’incomprensibile grafia vuole essere metà anglofona, metà lusofona: finora quasi nessuno è riuscito a scriverla correttamente, ma non riesco a liberarmene, per ragioni che ora cerco di spiegarvi. Abbiate pazienza, e sopportatemi!

      L’eteronimia mi ha sempre affascinato: ho iniziato a studiare il portoghese al secondo anno di università e mi sono innamorata di Pessoa. Ophelinha (Pequena, scritto come nella versione portoghese, perché Pessoa, tra altri nomignoli e vezzeggiativi, chiamava la fidanzata “la sua piccola Ofelia”) è diventata per me un posto felice, un repositorio di cose belle nel quale rifugiarmi e dietro al quale nascondere la mia timidezza (Lucio Battisti usava i suoi ricci, io uso Ophelinha, anche un po’ i ricci, a dire il vero). Ophelinha è un po’ la regina di quelle storie d’amore infelici e contrastate di cui ho sempre voluto farmi paladina, ed è rétro e antiquata quanto basta per piacermi.

      Dietro Ophelinha c’è Manuela, timida, disordinata, idealista, donchisciottesca, nevrotica, insonne, perennemente alla ricerca di qualcosa.

      Amo leggere, scrivere quando ne ho voglia, viaggiare (specie se si tratta di andare a Londra, il mio posto preferito in assoluto, o se si tratta di andare da qualche parte dove c’è il mare e possibilmente il sole). Amo il teatro (ho fatto parte di un gruppo anglofono fino a due anni fa e mi manca un sacco), la campagna inglese, i frullati di frutta, un buon vino bianco (aziende vinicole, vero che volete farvi sponsorizzare da me?), la focaccia, la musica di Leonard Cohen e di Joni Mitchell (non ascolto solo musica deprimente, lo giuro).

      Mi interessano la politica internazionale e il mondo della comunicazione e dei new media, che sto cercando di approfondire, essendo da qualche mese tornata a studiare.

      Non amo le polemiche (specie quelle sui social media – a cui comunque sono troppo pigra per rispondere), i posti troppo affollati, la mancanza di gentilezza, l’opportunismo, l’arroganza, il freddo e la neve. Sto cercando di trovare il giusto equilibrio tra l’eccesso di condivisione e l’essere diventata una privacy freak: le cose più belle e personali, però, me le tengo per me, ben strette.

       

      3) Il tuo scaffale d’oro

      Nel mio scaffale d’oro metterei in primis i libri che mi hanno insegnato ad amare la lettura: Piccole donne di Louisa May Alcott, Cime tempestose di Emily Brontë, tutta Jane Austen. Ci sarebbe tanta poesia: Antonio Machado, Juan Ramón Jiménez, Federico García Lorca, Eugenio Montale, Jacques Prévert, TS Eliot, Sylvia Plath, Emily Dickinson, ee cummings, Wislawa Szymborska, Leonard Cohen, Pablo Neruda, solo per citarne alcuni. Ci sarebbero le lettere di Pessoa alla fidanzata e quelle di Sylvia Plath alla madre. Ci sarebbero i racconti di Alice Munro e l’Ernest Hemingway di Addio alle armi, Per chi suona la campana e Fiesta. Ci sarebbe l’incredibile Gabo con le meraviglie di Macondo e l’idilliaca Port William di Wendell Berry. Non potrebbe mancare una rappresentanza russa, Anna Karenina e Lolita in cima al mucchietto. Ci sarebbe un libro che ho amato in un momento particolare della mia vita, L’eleganza del riccio di Muriel Barbery, qualche biografia e qualche bella saga familiare, tipo I viceré di De Roberto. Non potrebbe mancare qualche testo teatrale – l’Amleto shakespeariano, Casa di bambola di Ibsen, La Locandiera di Goldoni per un amarcord di tutto rispetto. Ci sarebbe Il grande Gatsby, col suo finale che mi fa rabbrividire ogni volta che lo leggo, e L’insostenibile leggerezza dell’essere di Kundera. Ci sarebbero vecchi amici – La coscienza di Zeno di Svevo, il Coe de La banda dei brocchi e La casa del sonno, Via col Vento della Mitchell, Sostiene Pereira di Tabucchi, nuovi amori – Jonathan Franzen, nuove scoperte – Miriam Toews e Elizabeth Strout.

      E ci sarebbe un bel po’ di spazio per i libri che verranno.

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      4) Un personaggio in cui ti immedesimi particolarmente

      Sono un po’ Ofelia, un po’ Rossella O’Hara di Via col Vento: testarda, ostinata, sono bravissima a fare pessime scelte e a rimpiangerle per molto, moltissimo tempo. La mattina del mio ventiquattresimo compleanno ho trovato sulla porta della mia stanza (abitavo in uno studentato) un post-it con l’aggettivo quixotic, e non a torto: ho in comune con Don Chisciotte la tendenza a battermi per le cause perse  e a essere romanticamente idealista (e a sentirmi fuori posto abbastanza spesso).

      5) Se il tuo blog fosse una canzone…

      …sarebbe la canzone che gli ha dato il titolo (vedi risposta uno), con un tocco di Famous blue raincoat di Leonard Cohen e di Both sides now di Joni Mitchell (cantata a squarciagola sotto la doccia).

       

      6) Il tuo rapporto con la scrittura/con la lettura

      Con la lettura è sempre andata abbastanza bene, anche se il trucco nel mio caso è trovare il libro che funzioni a seconda delle situazioni, ispirazioni, stati d’animo, livelli di stress e stanchezza.

      Con la scrittura è molto più altalenante: non scrivo quando non ne ho voglia, non scrivo quando non ho effettivamente qualcosa da dire. La scrittura – specie quella personale, che non va a finire necessariamente nel blog, almeno per ora – va spesso per me di pari passo con stati d’animo riflessivi e malinconici: per dirla con Luigi Tenco (o Bruno Lauzi, dato che non ci si mette d’accordo sulla paternità di questa citazione), quando sono felice esco.

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      7) Progetti in cantiere

      Mi piacerebbe tornare a dare al blog un taglio più personale: parlare di letteratura e raccontare storie mettendoci anche pezzi di me. La realtà è che, al momento, scrivo prevalentemente lettere di motivazione da affiancare al curriculum, e, per quanto inizi seriamente a pensare che alla redazione di cv e affini andrebbe dedicato un intero genre, non credo che il mondo sia ancora pronto a canonizzarlo. In definitiva, mi tocca mettermi a ricercare la mia voce eccetera, sperando che il processo non sia troppo lungo o doloroso e che non includa meditazione o affini (ho provato a meditare una volta e sono andata in spin: devo pensare a un posto felice – non mi viene in mente un posto felice – ma ho attaccato la lavatrice stamattina? – ma che ansia.)

      Vorrei anche ripetere a dicembre il calendario dell’Avvento letterario e continuare a organizzare iniziative insieme a gente che mi piace.

       

      Sono prolissa, lo so. Se siete arrivati fino a qui sotto meritate un premio 😉

       

      Posted in Guestpost e interviste | 7 Comments | Tagged #AvventoLetterario, Addio alle armi, Antonio Tabucchi, Both sides now, Brian Eno, Casa di bambola, Cime tempestose, Don Chisciotte, Elizabeth Strout, Emily Brontë, Emily Dickinson, Ernest Hemingway, Eteronimi, famous blue raincoat, Federico García Lorca, Fernando Pessoa, Francis Scott Fitzgerald, Ibsen, Il Calendario dell'Avvento Letterario, Jane Austen, Janeite, Jonathan Coe, Jonathan Franzen, Joni Mitchell, Juan Ramón Jiménez, L'eleganza del riccio, l'insostenibile leggerezza dell'essere, La banda dei brocchi, la coscienza di zeno, Leonard Cohen, Me myself and I, Milan Kundera, Miriam Toews, Muriel Barbey, Ofélia Queiroz, Ophelia, Pablo Neruda, per chi suona la campana, Piccole donne, Rossella O'Hara, Shakespeare, Sostiene Pereira, Sylvia Plath, The Great Gatsby, ts eliot, Via col vento, Margaret Mitchell, Wendell Berry, Wislawa Szymborska
    • The fault, dear Brutus, is not in our stars.

      Posted at 11:50 pm07 by ophelinhap, on July 16, 2015

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      The fault, dear Brutus, is not in our stars,
      But in ourselves, that we are underlings.

      (William Shakespeare, Julius Caesar, Act 1 – Scene 2)

      (La colpa, caro Bruto, non è delle stelle, ma nostra, che ne siamo dei subalterni.- trad. Goffredo Raponi)

      No, John Green non c’entra niente. C’entra invece il concetto di responsabilità individuale, il nesso hubris-ate, colpa-responsabilità, che troppo    spesso ignoro.

      È da un (bel) po’ di tempo che non scrivo un post personale. Non lo faccio perché ho sempre più paura di essere giudicata, per il mio stile, che spesso  sfocia nel retorico; per le mie insicurezze; per la mia confusione, in un mondo in cui tutti sembrano così sicuri di sé che fa quasi male.

      Ma la paura è stata la forza che ha prepotentemente guidato questi ultimi mesi. La paura dell’eterno ritorno dell’identico. La paura della routine, che niente possa mai cambiare, che ogni giorno diventi uguale agli altri, in un caleidoscopio liquido in cui il tempo diventa mera alternanza di ore, giorno e notte, stagioni. Mesi. Anni.

      La paura -spasmodica -di cambiare. La fortissima tensione che mi spinge a corteggiare il cambiamento, a inseguire il cambiamento, a sospirare per esso, come se io avessi di nuovo quindici anni e lui fosse quel ragazzo troppo grande e troppo bello che non mi ha mai degnato di uno sguardo.

      La stessa paura che mi ha fatto programmare un trasferimento internazionale e poi me l’ha fatto cancellare. La stessa paura che mi ha fatto arrivare quasi dove volevo – così vicino – potevo quasi toccare quella nuova me, in quel nuovo Paese, quella nuova città, quel nuovo ufficio, quella nuova casa, quella nuova vita. Ho detto no, e quella nuova me non esisterà mai.

      E potrei elencare tutte le ragioni per cui non esisterà – tempismo, congiuntura economica, geografie e congiunzioni astrali – che obiettivamente esistono, e sussistono. Tuttavia, se mi guardassi davvero allo specchio, dovrei ammettere che la vera ragione per la quale non sono scesa da quel treno – letterale e metaforico – e sono rimasta ad osservare il paesaggio senza avere il coraggio di scendere, col naso schiacciato contro il finestrino sporco, sono io.

      Nella tragedia che Shakespeare ha dedicato a Giulio Cesare, Bruto lamenta il suo destino di uomo comune, che preferirebbe la morte a un destino invisibile, costretto a vivere nell’ombra immensa di Cesare, un gigante, un Colosso, un dio, colui che tutto può.

      Cassio gli ricorda che, se vivono da codardi, se si comportano da schiavi, se si condannano a un destino da inetti, la colpa non è degli astri o del fato o delle circostanze o di Cesare: la colpa è loro. Bruto e Cassio sono artefici e responsabili del proprio destino: potrebbero essere Cesare, ma non lo sono.

      Sono giorni, mesi che inseguo giustificazioni: le cose non vanno mai come dovrebbero andare, la tempistica è quasi sempre sfortunata, la vita da  expat raddoppia problemi e responsabilità, tutto nella mia vita è successo d’un colpo, troppo di fretta, quando non ero ancora pronta. Ma è successo, e per quanto possa essere così arrabbiata con me stessa e con il mondo, il risultato finale non cambia: è successo. Deal with it.

      E tutti i passi falsi, tutte le decisioni sbagliate, tutta la fiducia accordata a persone che probabilmente non se la meritavano, tutti gli errori di valutazione, tutta l’infelicità degli ultimi mesi, tutta quella ribellione che mi porto dietro da una vita si riassume nei versi immortali del Bardo: volevo essere Cesare, sono Bruto e Cassio.

      Sono qualcuno che pensavo di conoscere, ma che, semplicemente, non conosco più.

      Soundtrack: Somebody That I Used To Know, Gotye

      Posted in Ophelinha scrive | 8 Comments | Tagged Bruto, Cassio, Confessions of a Dangerous Mind, Giulio Cesare, Julius Caesar, Lettere a me stessa, letters to myself, Memorie di una precaria perbene, Shakespeare
    • Cocktail letterari, tra libri e bollicine

      Posted at 11:50 am07 by ophelinhap, on July 14, 2015

       

      tequila

      Avvertenza: un numero considerevole di cocktail è stato consumato per scrivere questo post. Quali sacrifici non si fanno in nome della ricerca…

      Image courtesy of http://bit.ly/1LIAEzc

      Image courtesy of http://bit.ly/1LIAEzc

      Siete tutti in vacanza? Siete tutti al mare, come sembrerebbe dal flusso di foto vacanziere su Instagram? Su, ditemi di no, per favore.

      Da queste parti, purtroppo, le tanto agognate vacanze quest’anno non sembrano altro che un sogno lontano, difficilmente destinato a concretizzarsi. E per me estate è sinonimo di temperature tropicali, sale sulla pelle, capelli spettinati, quella sabbia bianchissima e ostinata che sembra resistere a ogni tentativo di lavaggio, acque verdazzurre, e un Mojito al tramonto.

      In assenza di tutti  – o quasi – gli elementi citati, mi consolo con un paio di cocktail.. letterari. Ma andiamo con ordine.

      La parola “cocktail” sembra aver fatto la sua comparsa per la prima volta nel 1798 nell’edizione del 20 marzo di un giornale satirico, l’ormai defunto The Morning Post and Gazetteer, nell’ambito di una curiosa vicenda: il proprietario della taverna Axe & Gate, tra Downing e Whitehall, vince la lotteria e, estatico, cancella tutti i debiti dei santi bevitori frequentatori della sua bettola. Quattro giorni dopo, il giornale rilascia un elenco di tutti i bevitori i cui debiti erano stati cancellati dalla fortuita vincita alla lotteria, e, sorpresa sorpresa, molti erano noti uomini politici, tra cui William Pitt, il più giovane primo ministro britannico, che avrebbe dovuto pagare due bicchierini di un bibitone chiamato “l’huile de Venus”, uno di “perfeit amour” e tre quarti del (molto meno francese) “cock-tail, volgarmente chiamato ginger”.

      L’origine del “cock-tail” è in effetti molto poco romantica: il termine veniva usato per indicare quei cavalli la cui coda mozzata indicava che non erano purosangue, ma di razza mista. Un rimedio molto comune nei manuali di veterinaria dell’epoca era curare le coliche dei cavalli con un mix di acqua, avena, gin e zenzero; quindi, la prossima volta che la gastrite vi fa piegare in due, o la colite non vi lascia tregua, dimenticatevi Malox, Gaviscon&co: un G&T e passa la paura.

      Il termine “cocktail” viene battezzato con la pubblicazione della prima guida per bartender, nel 1862, ad opera di Jerry Thomas, principal bar tender al Metropolitan Hotel di New York, che nell’introduzione si vanta di fornire chiare indicazioni su come preparare drink mischiando tutte le bevande conosciute negli Stati Uniti, insieme a quelle britanniche, francesi, tedesche, italiane, russe e spagnole, dal punch al julep (giulebbe), creando combinazioni infinite. Ambizioso, il nostro Mr Thomas! Se siete curiosi, trovate la sua guida integrale qui.

      Agli inizi del XX secolo, i cocktail smettono di avere il ruolo di mere comparse e assurgono a protagonisti, anche grazie alla diffusione dei cocktail party negli anni immediatamente successivi alla prima guerra mondiale: c’è bisogno di dimenticare gli orrori della guerra, di leggerezza, di ricominciare a ridere e a celebrare la vita. Quindi via libera alle spalle scoperte, ai tagli di capelli à la gamine delle flapper, alla musica degli anni ruggenti, all’alcool che scorre a fiumi sfidando il Volstead Act, che introduce il proibizionismo negli States (dal 1919 al 1933).

      Lentamente, ma inesorabilmente, i cocktail fanno la loro comparsa anche sulla scena letteraria, dominata in precedenza dal nettare di Bacco e qualche altro liquore. Negli scrittori russi – Tolstoy e Checkov in testa – i personaggi indulgono spesso e volentieri nei piaceri dell’alcool, bevendo vino – e vodka, da – come se non ci fosse un domani.

      Gli scrittori americani si distinguono nella promozione di bollicine&co.: è difficile non associare Fitzgerald al gin, che sosteneva di preferire agli altri alcolici perché non faceva puzzare l’alito (Zelda avrà ringraziato). A Fitzgerald spetta anche l’invenzione del verbo “to cocktail”, coniugato per la prima volta in una lettera a Blanche Knopf, moglie dell’editore Alfred A. Knopf. E chi altri avrebbe potuto creare un tale neologismo, introducendo nel linguaggio un assaggio degli eccessi dei Roarin’Twenties, se non lo scrittore che ne è la perfetta incarnazione, dandy, playboy, brillante, ammirato e sregolato?

      Present: I cocktail, thou cocktail, we cocktail, you cocktail, they cocktail.

      Imperfect: I was cocktailing.

      Perfect or past definite: I cocktailed.

      Past perfect: I have cocktailed.

      Conditional: I might have cocktailed.

      Pluperfect: I had cocktailed.

      Subjunctive: I would have cocktailed.

      Voluntary subjunctive: I should have cocktailed.

      Preterit: I did cocktail.

      (Fonte: Open Culture)

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      Faulkner, da uomo del Sud tutto d’un pezzo, aveva una marcata preferenza per il mint julep (menta, ghiaccio, zucchero e bourbon).

      Il cocktail preferito di Hemingway era invece il mojito (anche il mio, Ernest, anche il mio. Vedi che sarei stata una perfetta quinta moglie?), un mix di zucchero di canna, rum e menta, che preferiva consumare a La Bodeguita del Medio, ormai iconico ristorante tipico cubano, arrivando da una lunga giornata di pesca al marlin, il bestione protagonista de Il vecchio e il mare. Ernest non disprezzava nemmeno il daiquiri (lime, rum bianco, sciroppo di zucchero, ghiaccio tritato); sulla parete de La Bodeguita campeggia una famosa frase di Hemingway, Mi mojito en la Bodeguita, mi daiquiri en La Floridita (storico ristorante di pesce e cocktail bar dell’Avana vecchia). Pare che il vecchio Ernest si cimentasse anche nella creazione di nuovi bibitoni, come il Papa doble (un daiquiri fatto col rum, succo di lime, maraschino e succo di pompelmo) e Morte nel pomeriggio (nome più che azzeccato per un mix letale di champagne e assenzio). Tuttavia, le abitudini alcoliche di Hemingway sono così leggendarie che è difficile delimitare dove finisca la realtà e inizi la mitologia: altre fonti sostengono che, essendo diabetico, lo scrittore preferisse drink senza zucchero e non disdegnasse un martini dry.

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      Il Martini è uno dei protagonisti assoluti della scena letteraria, dalla sua comparsa in Casino Royale di Ian Fleming nel 1953: James Bond lo preferisce molto forte, e la sua ricetta personale prevede tre unità di Gordon’s, una di vodka, mezza di Kina Lillet, una scorzetta di limone, da consumare in un bicchiere da champagne ampio e profondo a sufficienza.

      Tornando a Hemingway, i protagonisti della sua (alcolica) Fiesta consumano (in grande abbondanza) Martini, vino, grappa, assenzio, birra, brandy, Anis del Mono, Izzarra – un liquore basco – e il Jack Rose (applejack – un brandy invecchiato nel legno – granitina e succo di lime), che Jack Barnes ordina mentre aspetta l’affascinante e crudele Brett, ammiratrice di toreri e indossatrice di titoli nobiliari. Bung-o! (Ndrm: è il prosit utilizzato da Brett nelle sue libagioni).

      All’irrequieta Dorothy Parker sono stati attribuiti questi celeberrimi versi

       I like to have a martini, Two at the very most. After three I’m under the table, After four I’m under my host.

      (Apprezzo un martini/ due al massimo/ al terzo sono sotto il tavolo/ al quarto sotto il mio ospite).

      L’ironica poesiola è quasi certamente spuria, nata a seguito di una sua dichiarazione dopo un cocktail party particolarmente riuscito:

      Enjoyed it? One more drink and I’d have been under the host!

      (Se mi è piaciuto? Un altro drink e sarei finita sotto il mio ospite!)

      Il mito del martini di Miss Parker ha portato addirittura alla creazione di un bicchiere da martini che porta il suo nome; in realtà, si vocifera che Dottie preferisse lo scotch.

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      Il martini fa la sua comparsa anche ne Il giovane Holden: Carl Luce, amico del protagonista, lo consuma molto secco e senza olive, mentre Holden preferisce dissetare le scapigliate nottate newyorkesi con scotch&soda.

      L’indimenticabile Holly Golightly di Colazione da Tiffany ama il martini, i Manhattan, che consuma col suo “Fred baby”, i cocktail di champagne e il White Angel (vodka, gin, vermouth). E come dimenticare le orge alcoliche delle feste decadenti di Jay Gatsby? Tra tanti, il gin rickey, un mix di gin, succo di lime e acqua gassata), mentre la frivola Daisy Buchanan condivide con Faulkner la passione per il mint julep.

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      Vi è venuta sete, di cocktail e di libri? Poco male: Tim Federle, attore, scrittore e giornalista, ha compilato una deliziosa guida alle gozzoviglie letterarie, Tequila Mockingbird: cocktails with a literary twist, in cui gioca con gli ingredienti dei cocktail, adattandoli a romanzi e ribatezzandoli. Tequila Mockingbird contiene anche una guida di base per i bartender in erba, drinking games letterari, abbinamenti drink-gruppi di lettura e una miniguida a spuntini da hangover, ovviamente letterari: ad esempio, Alice’s Adventures in Wonder Bread (pane bianco con formaggio svizzero e patè di funghi) o The Deviled Egg Wears Prada ( una variante un po’ esotica delle uova ripiene, con humus, paprika e limone).

      Vi lascio con un paio di cocktail letterari suggeriti da Federle: consumate con moderazione!

      Cocktail d’autore n.1: Rye and Prejudice (da Pride and Prejudice, Orgoglio e Pregiudizio, Jane Austen)

      • tre once* di succo di pompelmo
      • 1/3 di oncia di rye whiskey (whisky di segale)

      Versate gli ingredienti su un bicchiere riempito a metà di ghiaccio, mescolando come se aveste a che fare con un cuore innamorato, pieno di complicazioni.

      Cocktail d’autore n.2: Love in the time of Kahlua (da Love in the time of Cholera, L’amore ai tempi del colera, Gabriel Garcìa Marquez)

      • 1 oncia di rum
      • ½ oncia di liquore al caffè (tipo il Kalhua)
      • 2 once di panna
      • cannella o noce moscata a piacimento

      Mescolate rum, liquore al caffè e ghiaccio, aggiungendo poi la panna e spezie a volontà, per un drink pieno di passioni non corrisposte ed esplosive.

      Cocktail d’autore n.3: Romeo and Julep (da Romeo e Giulietta, William Shakespeare)

      • 6 rametti di menta fresco
      • un cucchiaino da tè di zucchero di canna
      • ½ oncia di schnapps alla pesca
      • ½ oncia di bourbon
      • una lattina di bevanda gassata al limone o al lime

      Mescolate il tutto on the rocks finché lo zucchero si sarà sciolto, poi aggiungete la bevanda al limone/lime e preparatevi ad innamorarvi, velocemente, inesorabilmente.

      Cocktail d’autore n.4: Huckleberry Sin (da Le avventure di Huckleberry Finn, Mark Twain)

      • 5 mirtilli, lavati
      • 2 once di vodka ai frutti di bosco
      • una lattina di gassosa

      Pestate i mirtilli in un barattolo di vetro. Aggiungete ghiaccio a piacimento, la vodka e la gassosa. Sedetevi sui gradini del portico, e godetevi il tramonto (facendo attenzione alle zattere di banditi scalzi che risalgono il fiume).

      Cocktail d’autore n.5: Infinite zest (da Infinite jest, David Foster Wallace)

      • 2 once di vodka
      • un’oncia di limoncello
      • ½ oncia di succo di limone

      Shakerate per bene gli ingredienti e versateli in un bicchiere da cocktail, aggiungendo ghiaccio a piacimento, per un drink giallo come un pallina da tennis.

      Cocktail d’autore n.6: Gone with the wine (da Gone with the Wind, Via col Vento, Margaret Mitchell)

      Dosi per 6 drink (ideale per un gruppo di lettura, o quello che volete voi):

      • una bottiglia di vino rosso
      • 2 once di brandy alla pesca
      • 2 cucchiai di zucchero
      • una pesca, tagliata a pezzettini
      • un’arancia a spicchi
      • 2 bicchieri e mezzo di ginger ale (soft drink a base di estratto della radice di zenzero, bella fredda

      Versate il vino e il brandy in una caraffa, insieme allo zucchero e ai pezzi di frutta. Lasciate a macerare in frigorifero per almeno un’ora. Quando qualcuno degli ospiti si riferirà ad Ashley come una ragazza (non avendo chiaramente letto il libro né – sacrilegio! – visto il film), togliete la caraffa dal frigo, aggiungete la ginger ale e fate sbollentare gli ardenti spiriti, ché domani è un altro giorno

      Cocktail d’autore n.7: The Rye in the Catcher (da Catcher in the Rye, Il giovane Holden, JD Salinger)

      Dosi per 6 drink (ideale per un gruppo di lettura, o quello che volete voi):

      • ½ bottiglia di rye whiskey (whisky di segale)
      • 4 once di succo d’ananas
      • 2 once di succo di limone
      • un litro di ginger beer (letteralmente birra allo zenzero, una bevanda composta da zenzero, zucchero, acqua, succo di limone e lievito)

      Mescolate whisky e succhi di frutta, aggiungendo ghiaccio in abbondanza. Aggiungete gradualmente la ginger beer, shakerate e chiamate a raccolta i vostri amici: è tempo di scacciare quei fastidiosissimi mean reds, e andare avanti.

      Cocktail d’autore n.8: The Portrait of a pink lady (da The Portrait of a Lady, Ritratto di signora, Henry James)

      Dosi per 12 drink (ideale per un gruppo di lettura, o quello che volete voi):

      • un litro di gin
      • 3 tazze di limonata rosa (per il colore, si posso aggiungere alla limonata tradizionale fragole o succo di mirtillo q.b.)
      • 6 once di granitina (succo di melograno più zucchero granulato)
      • un litro di gassosa

      Mescolate tutti gli ingredienti, tranne la gassosa, in una zuppiera da punch. Aggiungete giaccio a piacimento e la gassosa come tocco finale per un rimedio ideale per le pene d’amore, per il rimorso di aver scelto l’uomo sbagliato, di non aver capito se alla fine l’erba era più verde oltre l’Atlantico, o meno.

      *Un’oncia equivale a circa 2,96 cl

      Ancora assetati di cocktail e di libri? Poco male: The Reading Room offre una lista di quindici abbinamenti drink/romanzi (per citarne uno, Il grande Gatsby e il French 75, un mix di gin, champagne, sciroppo, limone e ghiaccio.) Nunc est bibendum!

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      Soundtrack: A little party never killed nobody, Fergie (The Great Gatsby soundtrack)

      Posted in Letteratura e dintorni | 5 Comments | Tagged Carl Luce, Casino Royale, Charlotte Brontë, cocktail, cocktail letterari, Colazione da Tiffany, Daisy Buchanan, David Foster Wallace, DFW, Dorothy Parker, Ernest Hemingway, Faulkner, Fiesta, Francis Scott Fitzgerald, Gabriel García Márquez, Henry James, Holden Caulfield, Holly Golightly, Huckleberry Finn, Ian Fleming, Il giovane Holden, Il grande Gatsby, Infinite Jest, James Bond, Jane Austen, Jane Eyre, JD Salinger, L'amore ai tempi del colera, Margaret Mitchell, Mark Twain, martini, mint julep, mojito, orgoglio e pregiudizio, pride and prejudice, Ritratto di Signora, Romeo e Giulietta, Shakespeare, The Reading Room, Truman Capote, Via col Vento, Zelda Fitzgerald
    • The rules of (literary) dating – un elenco semiserio di frequentazioni letterarie

      Posted at 11:50 am04 by ophelinhap, on April 22, 2015

      indexUn’educazione bovaristica e un’esposizione precoce a certi tipi di letture hanno l’indubbio svantaggio di generare aspettative che non potranno mai essere soddisfatte. Tuttavia, perché guardare il bicchiere mezzo vuoto? Se Jane Austen & company ci hanno insegnato qualcosa, è anche – e soprattutto – l’arte di percepire determinati segnali che, come campanelli d’allarme, gettano una nuova luce sul protagonista di una storia, rendendolo un eroe degno delle attenzioni della protagonista, un perfido cialtrone, un’insignificante macchietta.

      Perché allora non utilizzare questo “superpotere” anche nella vita di tutti i giorni? In fondo, la letteratura è imitazione della vita, no?

      Quindi vi propongo un inventario semiserio (che mi sono divertita un sacco a compilare) di tipologie di eroi/vili marrani in cui ogni lettrice che si rispetti è incappata, prima o poi, tanto tra le pagine di un libro che nella vita vera.

      In quale tipologia vi rispecchiate maggiormente? In ogni caso, niente panico: come scriveva Jane Austen alla nipote Fanny Knight

      Non andare di fretta; abbi fiducia, l’Uomo giusto alla fine arriverà; nel corso dei prossimi due o tre anni, incontrerai qualcuno più unanimemente ineccepibile di chiunque tu abbia già conosciuto, che ti amerà con un ardore che Lui non ha mai avuto, e che ti affascinerà in modo così totale, da farti sembrare di non aver mai veramente amato prima.

      fictional men

      darcy

      Tipologia A – Il Mr Darcy (Orgoglio e Pregiudizio, Jane Austen)

      Non è sicuramente il tipo adatto a fare il +1 ad un matrimonio, un compleanno, una cena di lavoro, nè il partner ideale per il corso di tango, dal momento che si rifiuta di ballare. A pensarci bene, non è solo il ballo il problema: la sua vita sociale è fortemente limitata dalla sua scarsa disponibilità a mescolarsi con la gente che non conosce, da quella sua tendenza a fare un po’ l’orso della situazione e a starsene in disparte, con un’espressione tra il serio e l’annoiato, studiando attentamente i titoli della libreria del padrone di casa di turno (probabilmente per criticarne segretamente gusti e scelte).

      Non ha un grandissimo senso dell’umorismo, è riservato e ha bisogno di (tanto) tempo per aprirsi, e accordare la sua fiducia: tempo che passerete cercando di capire cosa gli passi veramente per la testa. In fondo è un po’ come un riccio, irto e irsuto fuori, sorprendentemente dolce e gentile dentro. Onesto, leale, generoso, è sempre pronto a dare una mano, specie se si tratta di tirare fuori dai guai la fanciulla che occupa gran parte dei suoi (criptici) pensieri, magari a sua insaputa. Dire che ha un brutto carattere è un eufemismo: è spesso burbero e cupo, tremendamente orgoglioso (potremmo dire pieno di sé..): una volta persa, la sua stima è persa per sempre. Testardo fino all’esasperazione, non darà soddisfazione alle insicure in cerca di conferme: ma le sue (rarissime) dichiarazioni, lungamente represse, sono sincere e impetuose, e non ci si dimentica facilmente della sua ardente stima e ammirazione.

      Il Mr Darcy scrive inoltre bellissime lettere, ma le amanti del genere epistolare non dovrebbero nutrire illusioni: le sue missive sono infatti volte a riparare qualche suo errore di giudizio tremendamente stupido, che avrà diminuito infinitamente il suo valore agli occhi della Lizzie di turno, incline, a sua volta, a cadere vittima dei suoi pregiudizi. Ma, in fondo, il bel tenebroso piace anche per questo, no? Lunghe passeggiate all’aria aperta possono rivelarsi il metodo migliore per superare le (innumerevoli) controversie, perché, ammettiamolo, quando ci innamoriamo perdiamo tutti la ragione (vero, zia Jane?)

      heathcliff

      Tipologia B – L’ Heatchcliff (Cime tempestose, Emily Brontë)

      Ammettetelo: vi piacciono i bad boy, i tipi cupi, tormentati, misteriosi, irrequieti, inquieti, sempre fuori posto e fuori tempo. Se è cosi, Heathcliff, il selvatico e appassionato protagonista maschile di Cime tempestose, la cui complicata personalità, a cavallo tra bene e male, incarna quelle lande selvagge e desolate dello Yorkshire che fanno da sfondo alla sua storia d’amore con la capricciosa Cathy, fa al caso vostro.

      Non potreste mai invitarlo a mangiare la lasagna a casa di vostra madre la domenica, anche perché, diciamocela tutta, molto probabilmente non si presenterebbe (senza nemmeno avvisarvi): ma riuscirebbe comunque a farsi perdonare il bidone, perché il ragazzo sa farci con le parole, quando vuole.

      Non è di certo una persona convenzionale o ortodossa: gli piace distinguersi e fare l’alternativo, e poco gli importa dell’opinione altrui.

      Nessuno potrebbe mai capire il vostro amore: ma, anche se il mondo intero fosse contro di voi, non v’importerebbe, perché le vostre anime sono fatte esattamente della stessa sostanza. Il vostro amore non cambierà come le foglie d’autunno: piuttosto, somiglia alle rocce eterne che stanno sotto quegli alberi stessi, una fonte di piacere ben poco visibile, ma necessaria.

      Il problema è che, a volte, il suo comportamento fin troppo eccentrico e sprezzante potrebbe portarvi a vergognarvi di lui, e ad allontanarvi. In questo caso, l’Heatchliff sarebbe portato a farvi vedere la sua parte peggiore di sé: sprezzante, possessiva, gelosa, poco incline a perdonare e a dimenticare.

      rhett2

      Tipologia C – Il Rhett Butler (Via col vento, Margaret Mitchell)

      (Vedi anche alla voce: potrei ma non voglio, vorrei ma non posso)

      Che strazio i se e i forse! Se non aveste sprecato tempo prezioso sospirando drammaticamente per qualcuno che, in fondo, non sarebbe mai stato quello giusto, forse vi sareste accorte prima di quel Rhett che vi stava accanto, aspettando solo di essere notato da voi.

      Il Rhett non corrisponde allo stereotipo di gentiluomo americano del Sud – anzi. Beve come una spugna, bestemmia come un camionista, non si sottrae mai a una rissa, e, francamente, se ne infischia dell’opinione altrui.

      Non si sdilinquisce in complimenti, dice sempre quello che pensa, è egoista ma generoso al momento opportuno, protettivo dei più deboli (Bella Waitling vi dice qualcosa?), e, udite! udite! Ama i bambini!

      La sua pazienza sconfina nella testardaggine: tuttavia, dopo aver superato un certo limite, francamente se ne infischia. Poco male: domani è un altro giorno, vero?

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      Tipologia D – Il Florentino Ariza (L’amore ai tempi del colera, Gabriel García Márquez)

      Il Florentino non è un tipo che si fa notare: è quasi insignificante, nascosto sotto un mantello dell’invisibilità di potteriana memoria. Eppure, ha un suo perché: scrive incantevoli lettere d’amore, e si distingue per la sua incredibile tenacia, che lo rende capace di attendere 51 anni, nove mesi e quattro giorni (beh, forse non così tanto: ma ho reso l’idea, no?), sfidando l’odore penetrante delle mandorle amare armato delle sua silenziosa pertinacia.

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      Tipologia E – Il Willoughby (Ragione e sentimento, Jane Austen)

      Fanciulle, fate attenzione: il Willoughby vi mentirà spudoratamente, negando davanti alla più palese evidenza; vi farà aspettare ore e ore (con conseguenti gastriti e insonnie) una sua chiamata (che non arriverà mai, ovviamente); vi farà credere di essere l’unica (ingenua, che crede che le “telefonate di lavoro” possano arrivare anche dopo mezzanotte). Arriverà perfino a chiedervi un ricciolo da tenere sempre con sé, e a farvi visitare (di nascosto, s’intende) la magione di sua zia che spera di ereditare, un giorno.

      Diciamocela tutta: è insopportabilmente affascinante, ha (o finge di avere) i vostri stessi gusti musicali e letterari, è sempre pronto a farvi da complice quando avete voglia di ridere di voi stesse e degli altri – specie di quel qualcuno timido e un po’ imbranato che cerca di ronzare dalle vostre parti (povero colonnello Brandon).

      Poi non dite che zia Jane non vi aveva messo in guardia: lettrice avvisata, mezza salvata.

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      Tipologia F – Il Rochester (Jane Eyre, Charlotte Brontë)

      Date retta a Charlotte Brontë: non uscite col vostro capo (o collega). Se proprio non riuscite a farne a meno (ah, l’ammmmore), cercate almeno di capire se avete a che fare con Il Rochester.

      Se fa finta di flirtare con fanciulle dal nome pretenzioso (Blanche, dico a te) e il suo comportamento oscilla schizofrenicamente tra il possessivo e il distaccato, è molto probabile che nasconda in soffitta qualche scheletro (o una moglie pazza).

      Tuttavia, se riuscite a fare breccia nel suo cuore di pietra, dirimere i nodi del suo oscuro e tormentato passato e raggiungere con lui un rapporto assolutamente paritario (senza aspettare che, per esempio, perda parzialmente la vista in un incendio per riconoscere che ha bisogno di voi, perché, per dirla tutta, è anche un po’ misogino) allora, lettrici, potreste anche arrivare a sposarvelo.

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      Tipologia G – L’Amleto (Amleto, William Shakespeare)

      V’ama, non v’ama, v’ama, non v’ama. Vi trova fin troppo belle, così belle che l’unico modo per preservare la vostra purezza e onestà è chiudervi in un convento. Ha problemi a casa (e che problemi, tra complesso di Edipo, di Medea, ecc.), il momento non è quello giusto, probabilmente frequenta compagnie (fantasmi) sbagliate (defunte).

      In ogni caso, i suoi problemi esistenziali sono decisamente più grandi di voi due messi insieme. Se passa troppo tempo a parlare da solo con un teschio in mano, non aspettate di fare la fine della dolce e bellissima Ofelia: scappate.

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      Tipologia H – L’Otello (Otello, William Shakespeare)

      Attenti alla gelosia, quel mostro dagli occhi verdi che dileggia il cibo di cui si nutre!

      Tutto va bene tra voi; eppure, per qualche oscuro, recondito motivo, L’Otello avverte l’insana necessità di controllare costantemente il vostro telefono (appena vi girate dall’altra parte), giocare al piccolo hacker col vostro account Facebook, chiedere a un amico di sorvegliarvi.

      L’Otello sembra forte, ma ha una personalità molto debole: è facile manipolarlo e convincerlo del fatto che due più due faccia cinque, a scapito della vostra relazione (e della vostra salute mentale).

      Ricordatemi se queste cose finiscono bene, ché ho un’amnesia temporanea.

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      Tipologia I – L’Humbert Humbert (Lolita, Vladimir Nabokov)

      Magari è amore a prima vista, ultima vista, eterna vista, ma lui vi sembra forse lievemente ossessionato dal suo primo amore pre-adolescenziale e non riesce proprio a smettere di parlarne?

      Scappate.

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      Tipologia J : Il Vronskij (Anna Karenina, Leo Tolstoj)

      Il Vronskij non è tipo da tirarsi indietro davanti a una sfida: quando si prefigge un obiettivo, niente può fermarlo. Quando vuole qualcosa, deve averla. Più è difficile ottenerla, più la vuole. Niente e nessuno (che sia un noioso marito burocrate, o una madre desiderosa di farlo sposare per soldi) possono distoglierlo dalla meta prefissa.

      Il fatto che sia estremamente affascinante è innegabile: tuttavia, la sua esteriorità patinata spesso nasconde una personalità narcisistica e superficiale, interessante e profonda quanto i discorsi motivazionali delle candidate a Miss Italia.

      Siete sicure di aver veramente trovato l’anima gemella, e di voler sacrificare tutto per lui?

      Potete leggere questo post in Inglese qui.

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      Versus

      Posted in Frammenti di un discorso amoroso, Letteratura e dintorni | 17 Comments | Tagged Amleto, Anna Karenina, aunt jane, Cathy Earnshaw, Charlotte Brontë, Cime tempestose, Emily Brontë, Fanny Knight, Florentino Ariza, Gabo, Gabriel García Márquez, Gone with the Wind, Hamlet, heathcliff, Humbert Humbert, Jane Austen, Jane Eyre, Janeite, L'amore ai tempi del colera, Lev Tolstoj, Lizzie Bennet, Lolita, Margaret Mitchell, Mr Darcy, Ofelia, Otello, Ragione e Sentimento, Rhett Butler, Rochester, Rossella O'Hara, Scarlett O'Hara, Sense and Sensibility, Shakespeare, Via col Vento, Vladimir Nabokov, Vronskij, Willoughby, Wuthering Heights
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