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  • Tag: saghe familiari

    • Rileggendo i classici #3: la saga dei Forsyte

      Posted at 11:50 am01 by ophelinhap, on January 30, 2017

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      La saga dei Fosyte,  capolavoro del premio Nobel  John Galsworthy, abbraccia tre generazioni e una generosa fetta di storia inglese: l’epoca vittoriana, il suo achmé e il suo declino, foriero di un futuro sconosciuto e misterioso, fatto di Labourismo, ascesa della piccola borghesia e altre diavolerie moderne, che mettono a repentaglio uno stile di vita dai confini tracciati col righello, senza mai uscire dai margini.
      Quella dei Forsyte è una famiglia numerosa, i cui personaggi principali emergono però con caparbia determinazione: il vecchio Jolyon, orgoglioso e sentimentale; suo figlio, il giovane Jolyon, dalla natura artistica e dal passato sentimentale tormentato; sua nipote June, una ragazza minuta con un’aureola di capelli biondo rame, testarda come tutti i Forsyte.

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      Su tutti spicca Soames Forsyte, il possidente, “l’uomo di proprietà”, un personaggio facile da odiare, ma che ispira anche un’involontaria pietà. Soames incarna perfettamente lo spirito del tempo, quell’irresistibile necessità di trattenere il passato e il presente senza far spazio a un futuro confuso: un futuro che vede l’Impero a repentaglio,  tra le guerre anglo-boere e la morte dell’immensa regina Vittoria. Un futuro che vede l’alta borghesia dei Forsyte, priva di titoli nobiliari e ancorata nelle proprietà, minacciata dalla piccola borghesia e dalle sue pretese.

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      Quello dei Forsyte è un circolo chiuso, disturbato dagli estranei che entrano a far parte della famiglia senza condividerne l’essenza, lo spirito; fra tutti, la più estranea è la bellissima Irene, che ha sposato Soames per i suoi soldi e lo disprezza con tutto il cuore. Irene non parla mai per se stessa: arriva al lettore filtrata dalle descrizioni e percezioni altrui. Prima che come personaggio o come donna, arriva come zaffata di bellezza: quella stessa bellezza, eterna ed evanescente, che i Forsyte, nonostante le loro ricchezze, non riescono a comprendere, né a possedere, essendo la loro dimensione spirituale soffocata da quella materiale.
      La giovane donna dall’eleganza innata, il portamento eretto e orgoglioso, i capelli dorati e gli occhi di velluto, rimane un mistero per Soames; non lo guarda se non con freddezza e con disprezzo, non gli rivolge la parola se non per rispondere in sussurri forzati.

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      La sua algida indifferenza viene messa a dura prova da Bosinney, affascinante architetto fidanzato con June, cugina aquisita e amica più cara di Irene; I due diventano amanti, e la faccenda fa venire alla luce gli istinti più bassi di Soames, per il quale amare significa possedere.
      Soames non riesce a capire come sia possibile che la bellissima moglie, tutta pizzi e spalle bianche e capelli dorati, possa non appartenergli, di fatto come di diritto; passa notti insonni alla ricerca della chiave che gli permetta di aprire la porta della camera di Irene, sempre chiusa per lui; arriva a usarle violenza, a pretendere con la forza quello che dovrebbe essere suo, perché non c’è niente che un Forsyte non possa comprare.

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      Eppure, Soames è condannato a una vita di solitudine: Irene se ne va e si risposa col cugino, il ribelle Jolyon Jr; la sua seconda moglie, la giovane Annette, adempie al dovere di dargli un figlio e rimane distante e sfocata; perfino l’amatissima figlia, Fleur, finisce per innamorarsi del figlio di Irene e Jolyon, Jon, infilandosi nel cul de sac di una faida familiare che ha poco da invidiare a quello dei Montecchi e dei Capuleti.
      Il triangolo amoroso tra Irene, Soames e Jolyon riflette la vicenda autobiografica dell’autore: Galsworthy brucia infatti di passione amorosa per Ada, moglie di suo cugino Arthur. I due sono amanti per quasi dieci anni, fino alla morte del padre dello scrittore; dopo la sua dipartita, Ada chiede il divorzio e i due possono finalmente sposarsi, allontanandosi però da una società bigotta che guarda di mal grado ai matrimoni finiti.

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      Nonostante tutto, è difficile, nell’arco dei tre romanzi della saga – Il possidente (A man of property);  Nella ragnatela – In chancery, pubblicato anche col titolo Alla Sbarra da Mondadori nel 1939, nella traduzione di Elio Vittorini;  Affittasi (To let) – non provare pietà per Soames, erede dell’abbacinante filosofia dei Forsyte, secondo la quale essere è possedere, amare è possedere, e possedere equivale a non morire. I Forsyte si sentono immortali: provano shock e indignazione quando qualcuno di loro tira le cuoia, ma si consolano pensando al suo ricco testamento, sempre escogitato in modo che i beni siano vincolati ai Forsyte di sangue.

      Tra di loro, Soames si muove con una sorta di ottundimento: non è brutto, non è illetterato, non è zoppo, non è sfigurato, ma non riesce a farsi amare. È ricco, in salute, ha una ricca collezione di opere d’arte, ma non possiede quell’altruistica devozione capace di ammetterlo al cospetto della Bellezza. Perfino la sua devozione per Irene, per Fleur lo condanna alla solitudine: devozione che confonde l’amore col possesso, senza volerlo, senza esserne consapevole.

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      Il mondo solido, robusto, apparentemente intoccabile di Soames si sgretola poco alla volta: con la fuga di Irene e il successivo, lungamente ritardato divorzio; col matrimonio di Irene con Jolyon; con la morte dell’eterna regina Vittoria, il cui funerale segna il tramonto dell’epoca a lei intitolata, che ha sancito le libertà del possidente e ha canonizzato l’ipocrisia di un’intera società; col matrimonio della figlia Fleur, autocondannatasi ad un’unione senza amore dopo aver perso Jon, il figlio di Jolyon e Irene, per colpa di una faida che nessuno riesce a dimenticare.
      Se non sono riuscita a provare simpatia per Irene, arroccata nel suo odio per Soames – non totalmente giustificato – e nell’autocommiserazione, ne ho provata tanta per Soames, l’infelice prodotto di un’epoca ormai al tramonto, il rampollo di una società che ha occultato I suoi valori sotto un velo di ipocrisia e di cupidigia. La sua costante tensione verso l’amore, nell’incapacità di capirlo, e verso la bellezza, nell’impossibilità di avvicinarsi ad essa, lo assolvono dal suo ruolo di cattivo, rendendolo un personaggio straordinariamente vulnerabile ed umano;  a mio parere, uno dei personaggi più belli e meglio riusciti della storia della letteratura.

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      La saga dei Forsyte è completata da due racconti che Galsworthy definisce interludi: L’estate di San Martino, contenuto nella raccolta Cinque racconti (Five Tales) e Risveglio (Awakening), che però non ho letto.
      Ho letto i tre romanzi della saga in inglese; in italiano sono disponibili nella traduzione di Gian Daùli e in quella di Lucio Angelini per Newton Compton (che, a una prima ricerca, sembrerebbe fuori catalogo).
      Le immagini che ho usato per il post sono tratte dalla serie omonima della PBS.

      Soundtrack: Death of a ladies’ man, Leonard Cohen

      Posted in Rileggendo i classici | 7 Comments | Tagged Fleur Forsyte, Forsyte, Irene Forsyte, John Galsworthy, Jolyon Forsyte, June Forsyte, Letteratura inglese, saghe familiari, Soames Forsyte, un classico è per sempre
    • La saga dei Cazalet

      Posted at 11:50 am10 by ophelinhap, on October 28, 2016

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      Prima di scrivere questo post, ho preferito finire tutti i capitoli per avere un’idea più completa della saga familiare creata dalla penna (brillante e inglese to the core) di Elizabeth Jane Howard.

      In realtà, devo ammettere che, semplicemente, non sono riuscita a fermarmi. Non mi capitava da tempo (specie perché da mesi sono assorbita da preoccupazioni poco letterarie) di perdermi totalmente in una storia, divisa tra due desideri contrastanti: che il capitolo in lettura finisse presto, per passare al successivo e inseguire le sorti dei miei amati Cazalet, e che i capitoli della saga non finissero mai.

      Ho appena chiuso l’ultimo (All Change, per il momento disponibile solo in inglese – io ho quest’edizione) e non ho potuto fare a meno di versare qualche lacrimuccia, perché so che i Cazalet mi mancheranno, terribilmente. Con loro si chiude un’intera epoca della storia inglese: quella dominata dalla gentry, da uno stile di vita lento, armonico e raffinato, da ville in campagna per le vacanze e appartamenti a Londra per la season e i balli delle debuttanti, dalla – pressoché – totale incapacità di questa classe sociale di guardare al di fuori della sua propria bolla – e delle convinzioni Tory ereditate dai padri e dai nonni – e di rendersi conto dei problemi, delle sfide, della povertà del resto della nazione.

      Perdonatemi: presa dalla foga, sto iniziando dalla fine, il che non ha molto senso. Facciamo quindi un (bel) passo indietro.

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      Quella dei Cazalet è una saga familiare in cinque volumi, pubblicati tra il 1990 e il 2013 (l’anno prima della morte della Howard). Fazi ha avuto l’ottima idea di portare i Cazalet in Italia, pubblicando i primi tre volumi del ciclo nella traduzione di Manuela Francescon: Gli anni della leggerezza (The light years, 1990); Il tempo dell’attesa (Marking time, 1991); Confusione (Confusion, 1993). Seguono altri due volumi, che Fazi pubblicherà prossimamente: Casting off (1995) e All Change (2013).

      Le vicende narrate vanno dal 1937 al 1958: un ventennio che vede le generazioni di Cazalet succedersi, l’avvento di Hitler, un sanguinoso conflitto mondiale, la disfatta dei Tory e l’affermarsi dei labouristi e un’infinità di cambiamenti economici e, soprattutto, sociali che colpiscono in modo particolare i protagonisti, ricchi imprenditori dediti da decenni al commercio di legname raro e pregiato.

      Per evitare che vi perdiate nella trama familiare dei Cazalet, cercherò di presentarvi i personaggi principali:

      –           il Generale e la Duchessa, capostipiti della famiglia, eredi della rigida morale vittoriana, ostinatamente contrari a ogni tipo di cambiamento;

      –           Hugh, Edward, Rupert e Rachel, figli del Generale e della Duchessa, tutti molto diversi tra loro: Edward è affascinante, ama le belle donne, il buon vino, il buon cibo e la caccia; Hugh, rimasto duramente segnato dalla prima guerra mondiale, nel corso della quale ha perso una mano e a causa della quale soffre di feroci mal di testa, ha ereditato dal padre un rigido senso del dovere e un’inflessibile resistenza al cambiamento, attenuati dall’amore per sua moglie Sybil; Rupert, eternamente indeciso, dal temperamento artistico, ha perso la prima moglie Isobel, morta di parto, e si è risposato con la bellissima Zoë, frivola, vanesia e capricciosa, che fatica a mettersi nei panni di matrigna dei figli di Rupert, Clary e Neville; Rachel, tutta compresa dal suo ruolo di unica figlia femmina che deve prendersi cura dei genitori – un po’ di tutti, in realtà – che nasconde accuratamente il suo amore per l’amica Sid;

      –           Villy (la prima moglie di Edward); Diana, l’amante e poi (insopportabile) seconda moglie di Edward; Sybil, la prima moglie di Hugh, morta di cancro; Jemima, la (dolcissima e minuta) seconda moglie di Hugh; Isobel, la prima moglie di Rupert, morta nel dare alla luce Neville; Zoë, la seconda moglie di Rupert; Sid, l’amica, innamorata e poi amante di Rachel;

      –           Louise, Teddy, Lydia e Roly, i figli di Edward e Villy; Polly, Simon e Wills, i figli di Hugh e Sybil; Laura, la figlia di Hugh e Jemima; Clary e Neville, i figli di Rupert e Isobel; Juliet e Georgie, i figli di Rupert e Zoë.

      Vi risparmio i nomi dei Cazalet di quarta generazione (che trovate principalmente nel quinto e ultimo capitolo della saga) perché vi immagino già persi tra figli di primo e secondo letto; accludo però questo comodo albero genealogico, made in Fazi, per facilitarvi la navigazione.

      albero-genealogico

      Dopo questo (lunghissimo) preambolo, giungiamo al punto: perché leggere (e amare) la saga dei Cazalet? Perché, come spiegavo prima, non si può fare a meno di amarli. Perché la Howard ha una penna magica, capace di far perdere al lettore la cognizione dello spazio e del tempo. Perché offre un affresco storico interessantissimo: la calma prima della tempesta, la vita tranquilla e ordinata prima dello scoppio della guerra, fatta di weekend in campagna, battute di caccia, ricami e acquarelli, piccole e grandi rivalità familiari, amori contrastati, tè del pomeriggio (a proposito, questo libro è una vera e propria miniera di spunti in materia di ricette letterarie); lo scoppio della guerra, la vita con gli uomini al fronte, l’ansia per i propri cari lontani, la paziente disperazione di chi aspetta un padre, un marito disperso, i coupon per il cibo e per i vestiti; crescere durante la guerra, diventare adolescenti e poi donne quando nessuno ha tempo di spiegare la difficile transizione, vivere isolati in campagna, annoiarsi e sognare le mille luci di Londra; innamorarsi per la prima volta, sperimentare sulla pelle (come un taglio profondo, come un’ustione) l’incommensurabile dolore del rifiuto; essere donna in un mondo di uomini, poi di uomini al fronte, in una società che consegna ancora il destino delle ragazze al matrimonio e alla maternità, e trovare il coraggio di inseguire le proprie ambizioni artistiche e letterarie, di sposarsi solo per amore, di divorziare, di seguire il proprio cuore.

      Nel corso dei cinque capitoli ho sviluppato le (inevitabili) simpatie e antipatie per i vari personaggi: se non ho sopportato Edward e Diana, ho amato Polly, Clary, Zoë e Archie, paziente amico di famiglia dell’intero clan (almeno fino all’ultimo libro, quand’è successo qualcosa che ha distrutto un po’ l’immagine di cavaliere senza macchia e senza paura che avevo di lui e l’ha relegato – parzialmente – nella categoria degli #uominichenonsapevanoamare).

      Polly è bellissima, ma non ha una grande considerazione di sé: è afflitta dall’ansia di non avere una vocazione precisa, di non reputarsi particolarmente intelligente o brillante, di non sapere cosa fare della sua vita. Un grande amore non corrisposto – il primo, il più devastante – la allontana da Clary, sua compagna di avventure da sempre, e, se la fa chiudere un po’ in se’, non le fa perdere quella dolcezza e quell’ottimismo che le garantiranno il suo lieto fine, se pur molto diverso da quello che si aspettava.

      Zoë, all’inizio del primo libro della saga, è un personaggio francamente insopportabile: innamorata di se stessa, sgarbata con la madre, petulante col marito Rupert, di cui vuole l’attenzione continua ed esclusiva, insofferente nei confronti di Clary e Neville, ai quali non riesce assolutamente a fare da matrigna. Tuttavia, nel corso della saga, è uno dei personaggi che cresce, cambia e matura di più: attraverso la perdita, il dolore, un grande amore terminato in tragedia, un tradimento dalle conseguenze devastanti, la maternità portata avanti da sola, con Rupert disperso in Francia, Zoë impara l’arte della pazienza, dell’empatia e della comprensione. Smette di guardarsi continuamente allo specchio e inizia invece a guardare (e a vedere) gli altri. Accetta finalmente di essere diventata una Cazalet e si integra perfettamente nel tessuto sociale della famiglia, sviluppando un’inaspettata amicizia con la Duchessa. Cosa più importante di tutte, Zoë impara ad amare; impara anche ad essere umile, a contare solo su se stessa, ad affrontare gli ostacoli, a domare l’arte di perdere. È questo che la rende davvero bella.

      Clary è il mio personaggio preferito in assoluto: è una ragazzina solitaria, che ha perso la madre da piccolissima e poi è costretta ad affrontare anni di angoscia per l’assenza del padre Rupert, disperso in Francia. Non è particolarmente bella, è sempre spettinata, piena di macchie e di cicatrici: ma ha un cuore d’oro, un’anima bella e generosa, un’indole creativa e una fede incrollabile. Aspetta il padre per anni, quando tutti lo credono ormai morto; scrive per anni un diario da consegnargli al suo ritorno e si consola inventando storie fantasiose sulle sue vicissitudini in Francia. Clary non conosce le mezze misure: ama o odia, e si butta a capofitto nelle cose. Si butta a capofitto anche nel primo amore, uscendone ammaccata e depressa; tuttavia, grazie all’aiuto di Archie, che le sta vicino tutta la vita, si rifiuta di farsi sopraffare dal cinismo e si dedica invece al suo primo romanzo. La sua vita non sarà mai perfetta: caotica, disordinata, squattrinata, ma sempre piena d’amore, di generosità e di fiducia nell’altro, anche nei momenti più cupi della sua esistenza.

      I Cazalet mi hanno fatto innamorare, sorridere e piangere insieme a loro, e mi mancano già terribilmente, tanto che il mio fine settimana, tra una zucca e l’altra (sì, adoro Halloween), sarà quasi interamente dedicato alla miniserie che la BBC ha fortunatamente dedicato alla saga familiare (fan di Downton Abbey, c’è anche Hugh Bonneville, nei panni di Hugh Cazalet).

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      Soundtrack: Leaving the table, dall’ultimo (bellissimo) disco del mio amato Leonard Cohen, You Want It Darker)

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      caza

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      Casting Off: Cazalet Chronicles Book 4 by Jane Howard, Elizabeth (2013) Paperback

      All Change (The Cazalet Chronicle)

      Posted in Uncategorized | 27 Comments | Tagged All Change, Casting off, Cazalet, Confusion, Confusione, Downton Abbey, Elizabeth Jane Howard, Gli anni della leggerezza, Il tempo dell'attesa, Leonard Cohen, Letteratura inglese, Marking time, saghe familiari, The Light Years, You want it darker
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