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  • Tag: Natale in letteratura

    • Il Calendario dell’Avvento letterario #23: un Natale da babbani

      Posted at 11:50 am12 by ophelinhap, on December 23, 2018

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      Questa magica casella è scritta e aperta da me medesima

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      Parafrasando Tolstoj: ogni Natale è magico a modo suo, ma qualcuno ci mette un po’ di magia in più. Questo Natale per me sarà diverso dai precedenti perché non lo trascorrerò in Italia, ma in Lussemburgo, mentre, per la fine dell’anno, volerò a festeggiare in Florida al Wizarding World of Harry Potter. Non vedo l’ora di accogliere l’anno nuovo non da babbana, ma circondata dalla magia di Hogwarts. Ma quali sono le differenze fondamentali tra un Natale babbano e un Natale da mago/strega?

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      La cena di Natale

      Una cena a Hogwarts non sarebbe poi così diversa da una cena di Natale babbana in Inghilterra. A Hogwarts si pasteggia a suon di tacchini e pudding flambé: nemmeno il mago più potente riesce a resistere alla bontà delle leccornie, o ad evitare di addormentarsi sul tavolo dopo il lauto pasto. Il tocco magico che manca decisamente nelle tavole babbane? Ogni volta che sono vuoti, i piatti si riempiono magicamente da soli (anche se in realtà anche molte nonne e mamme meridionali sembrano avere questo superpotere…il potere del desiderio di condividere e stare insieme supera in questo caso le bacchette magiche). Volete provare l’emozione di cenare a Hogwarts? È possibile presso gli Harry Potter Studios a Londra, che organizzano cene a tema sia per Halloween che a Natale. Se visitate Oxford, la mensa del college di Christ Church sembra uscita direttamente dalle pagine della Rowling. Se invece volete provare a portare un po’della magia di Hogwarts a casa vostra, armatevi di grembiule e di The unofficial Harry Potter cookbook. Wooden spoons at the ready!

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      I regali

      Alcuni dei regali ricevuti dal povero Harry finiscono dritti nella lista dei peggiori regali della storia (tipo gli stuzzicadenti e le monete da 50 centesimi omaggiate dai Dursley). Personalmente, non mi dispiacerebbe invece ricevere uno dei maglioni fatti a mano dalla signora Weasley (riproposti da Primark a prezzi molto accessibili, ma senza l’elemento casalingo e artigianale, purtroppo).

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      Temo invece che altri regali siano purtroppo un pelino più difficili da ricevere, tipo il mantello dell’invisibilità o una Firebolt. Si può invece rimediare a colpi di Cioccorane, caramelle di Bertie Bott o bottiglie di Burrobirra (ormai reperibili in diversi negozi specializzati o su Amazon).

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      Tradizioni natalizie

      Per alcuni versi, il Natale a Hogwarts ricorda quello babbano: eggnog, baci sotto il vischio (vi ricordate il primo bacio di Harry e Cho nella stanza delle necessità?) e canti di Natale – con la differenza che a cantarli spesso non sono carolers col cappello di Babbo Natale, ma giganti mezzi ubriachi, fantasmi quasi senza testa o il coro di Hogwarts, sotto la direzione del professor Vitious. La signora Weasley ama ascoltare le canzoni di Natale della sua cantante preferita, Celestina Warbeck; niente tombola per Harry e Ron, che preferiscono giocare agli scacchi dei maghi.

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      Non possiamo dimenticare le elitarie ed aristocratiche feste di Natale del professor Lumacorno (non che noi umili babbani saremmo mai stati invitati), o le magiche decorazioni di Natale della Sala Grande di Hogwarts, che farebbero impallidire anche i fanatici del Natale più entusiasti ed estremi: una dozzina di alberi decorati e illuminati da candeline accese, agrifoglio e gufi dorati, ghiaccioli e luci incantate che in realtà sono fatine, neve magica che cade dal soffitto.

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      Hogwarts raggiunge il suo massimo splendore in occasione dello Yule ball, diventando una Winter wonderland, un paesaggio incantato di neve e ghiaccio: una celebrazione della luce prima che Hogwarts precipiti nel caos e nell’oscurità.

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      Lo spirito del Natale

      Per dirla tutta, Natale non è sempre un periodo felice per Harry Potter. Non lo è quando vive della carità forzata dei Dursley, interrogandosi sulla sua identità e sentendo la mancanza dei genitori come non mai; non lo è durante il suo primo Natale a Hogwarts, durante le ore spese a guardare lo specchio delle brame, coltivando l’illusione di poter magicamente congiurare James e Lily  accanto a sé: non lo è quando, nell’ultimo capitolo della serie, Harry visita per la prima volta la tomba dei suoi genitori a Godric Hollow, dando una valenza quasi fisica a quella voragine che è la loro perdita.

      Ma il nostro mago preferito è magico anche e soprattutto perché non ha paura di confrontarsi con il dolore, con la perdita, con il male, con l’oscurità che alberga dentro di lui, con la confusione, con la rabbia. Nel bene e nel male, Hogwarts gli regala una casa, una famiglia di amici, un posto nel mondo: anche quando la pace e la serenità di questo posto vengono messe in discussione dalle forze del male, Hogwarts rimane sempre la casa di Harry e di tutti noi che amiamo rifugiarci tra le pagine della Rowling.

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      A Hogwarts Harry riceve i suoi primi regali di Natale: il mantello dell’invisibilità, il maglione fatto a mano dalla mamma di Ron, il flauto di legno fatto da Hagrid, le cioccorane di Ermione. In realtà, tra quei pacchetti più o meno magici sono nascosti i veri regali che Harry riceve: il senso di appartenenza, una maggiore consapevolezza e accettazione della sua identità e del suo passato, una famiglia di amici che rimarrà accanto a lui per tutta la vita, in modi e forme diverse.

      Che sia un Natale magico per tutti, anche per noi babbani.

      Soundtrack: Carol of the Bells

      Posted in Il Calendario dell'Avvento Letterario | 8 Comments | Tagged #AvventoLetterario, Harry Potter, Il Calendario dell'Avvento Letterario, JK Rowling, Molly Weasley, Natale in letteratura, Natale inglese, Potterhead, Ron Weasley
    • Il Calendario dell’Avvento letterario #19: i figli di Babbo Natale, l’ultima profezia di Marcovaldo

      Posted at 11:50 am12 by ophelinhap, on December 19, 2018

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      Questa casella è scritta e aperta da Cristina di Athenae Noctua 

      I figli di Babbo Natale

      Quando le città iniziano a punteggiarsi di lucine e lucette, quando nelle vetrine appaiono alberelli, festoni, angioletti e stelline, quando nel calore della casa si diffonde l’aroma del cioccolato, della cannella e del burro, anche nell’animo cambia qualcosa: che si avverta o meno il significato religioso del Natale, per la gran parte delle persone i giorni delle feste rappresentano un momento di tranquillità, l’affacciarsi di un sentimento che rompe la consuetudine. C’è però anche una grande insidia in questa atmosfera affascinante: è facile confondere l’opportunità di serenità e condivisione che essa offre con una sfrenata corsa al consumismo, con gli sprechi alimentari, con i regali di facciata, con le chincaglierie che offrono solo l’ennesimo apparato esteriore.

      Siamo ormai assuefatti al delirio dell’acquisto natalizio (che, poi, non si limita a questo periodo dell’anno), ma è singolare e anche un tantino inquietante notare che esso era già stato profetizzato nella nostra letteratura: è del 1990 il racconto Ce n’è troppo di Natale di Dino Buzzati, incluso nella raccolta Lo strano Natale di Mr. Scrooge e altri racconti, ma già nel 1963 Italo Calvino raccontava, nella singolare antologia Marcovaldo ovvero le stagioni in città, di inverni dominati dalla corsa agli acquisti.

      Dalla frenesia commerciale delle feste scaturisce l’ultimo racconto, I figli di Babbo Natale, nel quale l’autore, attraverso il suo tipico registro umoristico, mette a nudo le contraddizioni insite nelle feste, occasione per le aziende di farsi pubblicità e di innescare nella gente il desiderio di elargire buoni sentimenti e contanti. Contanti, soprattutto. Lo si capisce fin dalla sintetica affermazione iniziale:

      Non c’è epoca dell’anno più gentile e buona, per il mondo dell’industria e del commercio, che il Natale e le settimane precedenti.

      Le aziende della città fanno a gara nel distribuire doni e gadget, comprando le une i prodotti delle altre e selezionando ciascuna il proprio Babbo Natale, da spedire nelle case dei clienti e dei partner e nei negozi a consegnare le strenne. Naturalmente alla S.B.A.V. il compito spetta a Marcovaldo, l’unico che presenta i requisiti adeguati, ché non ci sarebbe gusto a scegliere un dipendente anziano, perdendosi il piacere di agghindarlo per bene.

      Fu comprata un’acconciatura da Babbo Natale completa: barba bianca, berretto e pastrano rossi bordati di pelliccia, stivaloni. Si cominciò a provare a quale dei fattorini andava meglio, ma uno era troppo basso di statura e la barba gli toccava per terra, uno era troppo robusto e non gli entrava il cappotto, un altro troppo giovane, un altro invece troppo vecchio e non valeva la pena di truccarlo.

      Marcovaldo si assume volentieri l’incarico, pregustando l’avvicinarsi del pagamento dello stipendio, della tredicesima mensilità e dello straordinario.

      Con quei soldi, avrebbe potuto correre anche lui per i negozi, a comprare comprare comprare per regalare regalare regalare, come imponevano i più sinceri sentimenti suoi e gli interessi generali dell’industria e del commercio.

      Entusiasta del compito ricevuto, Marcovaldo decide di passare da casa prima di iniziare il suo giro di distribuzione dei regali aziendali, pregustando la reazione stupita dei suoi bambini. Questi, però, smontano subito la sua euforia: lo hanno riconosciuto, proprio come hanno fatto con tutti gli altri Babbo Natale, molti dei quali truccati anche meglio di lui. Il primo passo verso il crollo delle fantasie natalizie è compiuto: l’illusione dei fanciulli è stata sovraccaricata e soppiantata da una deludente realtà iperpopolata di vecchi barbuti vestiti di rosso.

      Era capitato che agli Uffici Relazioni Pubbliche di molte ditte era venuta contemporaneamente la stessa idea; e avevano reclutato una gran quantità di persone, per lo più disoccupati, pensionati, ambulanti, per vestirli col pastrano rosso e la barba di bambagia. I bambini dopo essersi divertiti le prime volte a riconoscere sotto quella mascheratura conoscenti e persone del quartiere, dopo un po’ ci avevano fatto l’abitudine e non ci badavano più.

      Deluso a sua volta, Marcovaldo si interessa di ciò che sta catturando l’attenzione dei suoi figli, che hanno individuato sul libro di lettura una missione importante da compiere in occasione del Natale, quella di fare un regalo ad un bambino povero. Lo scenario diventa grottesco:

      Marcovaldo stava per dire: “Siete voi i bambini poveri!”, ma durante quella settimana s’era talmente persuaso a considerarsi un abitante del Paese della Cuccagna, dove tutti compravano e se la godevano e si facevano regali, che non gli pareva buona educazione parlare di povertà, e preferì dichiarare: – Bambini poveri non ne esistono più!

      Marcovaldo mette a tacere l’obiezione che gli sorgerebbe spontanea, considerando i mille sacrifici che è costretto a fare per mantenere la famiglia: è talmente invischiato nella frenesia natalizia e abbagliato dal proprio costume rosso, che perfino le stringenti necessità del resto dell’anno cedono e vengono minimizzate. Perfino di fronte alla domanda di Filippetto e Michelino, che gli chiedono perché, in quanto Babbo Natale, non abbia portato dei regali anche a loro, Marcovaldo risponde con un paradosso: non è il Babbo Natale delle Risorse Umane, ma quello delle Relazioni Pubbliche, ergo, per potersi permettere i regali, i dipendenti devono prestarsi a straordinari come quello che sta svolgendo lui stesso.

      Ormai pronto ad iniziare le consegne, Marcovaldo decide di portare con sé Michelino nel suo giro, tuttavia la città pullula di Babbi Natale e ormai la gente è stufa di aprire la porta all’ennesimo fattorino rossovestito.

      Per le vie della città Marcovaldo non faceva che incontrare altri Babbi Natale rossi e bianchi, uguali identici a lui, che pilotavano camioncini o motofurgoncini o che aprivano le portiere dei negozi ai clienti carichi di pacchi o li aiutavano a portare le compere fino all’automobile. E tutti questi Babbi Natale avevano un’aria concentrata e indaffarata, come fossero addetti al servizio di manutenzione dell’enorme macchinario delle Feste.

      […] Ogni volta, prima di suonare a una porta, seguito da Michelino, pregustava la meraviglia di chi aprendo si sarebbe visto davanti Babbo Natale in persona; si aspettava feste, curiosità, gratitudine. E ogni volta era accolto come il postino che porta il giornale tutti i giorni.

      Ad un certo punto Marcovaldo e Michelino bussano alla porta di una casa lussuosa. Neanche il tempo di esibire la formula di augurio rituale a nome della S.B.A.V., che Marcovaldo si sente dire che il suo è il trecentododicesimo regalo che viene recapitato. Il pacco è destinato Gianfranco, un bambino annoiato e apatico che siede nel mezzo di una stanza addobbata come un salone da ricevimento.

      Entrarono in una sala dal soffitto alto alto, tanto che ci stava dentro un grande abete. Era un albero di Natale illuminato da bolle di vetro di tutti i colori, e ai suoi rami erano appesi regali e dolci di tutte le fogge. Al soffitto erano pesanti lampadari di cristallo, e i rami più alti dell’abete s’impigliavano nei pendagli scintillanti. Sopra un gran tavolo erano disposte cristallerie, argenterie, scatole di canditi e cassette di bottiglie. I giocattoli, sparsi su di un grande tappeto, erano tanti come in un negozio di giocattoli, soprattutto complicati congegni elettronici e modelli di astronavi. Su quel tappeto, in un angolo sgombro, c’era un bambino, sdraiato bocconi, di circa nove anni, con un’aria imbronciata e annoiata. Sfogliava un libro illustrato, come se tutto quel che era lì intorno non lo riguardasse.

      Marcovaldo recapita il suo regalo, ma Michelino scompare e solo una volta rientrato a casa il padre riesce a scoprire dove sia andato. Michelino ha scambiato Gianfranco per un bambino povero, infelice come gli era apparso, così lui e i fratellini hanno provveduto a consegnargli dei regali, che erano poi tutto ciò che avevano potuto trovare in casa: un martello, un tirasassi e dei fiammiferi. Felicissimo dei doni ricevuti, Gianfranco li ha messi in opera, utilizzandoli per distruggere prima i giocattoli e gli addobbi dell’albero, poi i lampadari e i mobili, fino ad incendiare l’intera abitazione.

      Marcovaldo è allibito e non si aspetta altro che il licenziamento, eppure il giorno seguente, al lavoro, di quella che per lui è stata una catastrofe si sta parlando con un’eccitazione senza limiti.

      – Presto! Bisogna sostituire i pacchi! – dissero i Capiufficio. – L’Unione Incremento Vendite Natalizie ha aperto una campagna per il lancio del Regalo Distruttivo!

      – Cosi tutt’a un tratto… – commentò uno di loro. Avrebbero potuto pensarci prima…

      – È stata una scoperta improvvisa del presidente, – spiegò un altro. – Pare che il suo bambino abbia ricevuto degli articoli-regalo modernissimi, credo giapponesi, e per la prima volta lo si è visto divertirsi…

      – Quel che più conta, – aggiunse il terzo, – è che il Regalo Distruttivo serve a distruggere articoli d’ogni genere: quel che ci vuole per accelerare il ritmo dei consumi e ridare vivacità al mercato… Tutto in un tempo brevissimo e alla portata d’un bambino… Il presidente dell’Unione ha visto aprirsi un nuovo orizzonte, è ai sette cieli dell’entusiasmo…

      Marcovaldo è disorientato, ammutolito dalla logica perversa del consumismo: il regalo che distrugge il regalo, la gioia di un bambino che gode nell’eliminare quello che doveva rappresentare un gesto di condivisione, l’ingenuità dei figli che, nel compiere un disinteressato atto d’amore verso un coetaneo viziato, hanno invece suggerito una grottesca strategia di maketing.

      A Marcovaldo non resta che uscire dalla città illuminata a giorno, a cercare ai margini del bosco gli ultimi segni di un ciclo vitale che ha ancora il suo senso, laddove la neve ricopre le tane dei conigli e il lupo attende invano la preda.

      C’è ironia nelle poche pagine che compongono il racconto I figli di Babbo Natale, un umorismo amaro, che, tuttavia, proprio nel ridicolizzare la follia consumistica delle feste, ricorda quali sono i veri gesti che danno valore al Natale: Michelino e i suoi fratelli, con la loro purezza, non pretendono nulla, non danno per scontata la felicità di Gianfranco per il solo fatto che è immerso in una reggia sfavillante, perché la sua espressione triste lo rende la vittima stessa della sovrabbondanza in cui vive. Michelino ha notato l’espressione infelice di Gianfranco e, ignaro delle conseguenze del suo gesto, ha compiuto un autentico gesto di affetto.

      E il compito è nostro: sta a ciascuno di noi dare valore alle piccole cose, a noi far sì che una manifestazione di affetto non si trasformi in un vuoto rituale finalizzato ad oliare la macchina dei consumi ma possa innescare un circolo virtuoso di condivisione, calore e gioia.

      Posted in Il Calendario dell'Avvento Letterario, Uncategorized | 7 Comments | Tagged Athenae Noctua, Einaudi editore, Italo Calvino, Marcovaldo, Natale in letteratura
    • Il Calendario dell’Avvento letterario #18: versi “quasi” natalizi di Giovanni Raboni

      Posted at 11:50 am12 by ophelinhap, on December 18, 2018

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      Questa casella è scritta e aperta da Manuela di Parole senza rimedi

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      Me l’ero ripromessa. Dài, quest’anno un post felice sul Natale, da regalare al bellissimo calendario dell’avvento letterario di Manuela. Su, coraggio. Ci ho provato. Ho provato a essere allegra e lieta, ma qui sopra, per tradizione, sono la guastafeste del Natale, Manuela lo sa e spero mi perdonerà.

      Che poi sarebbe un errore dire che odi il Natale, solo la festa delle luci e della gioia spesso fa nascere in me qualcosa simile alla malinconia, forse un po’ più tenue.

      Ed eccomi qui, ancora. Come si poteva prevedere, poi, la mia casellina parlerà di poesia.

      Ho tentato di trasgredire e cercare racconti natalizi, romanzi, opere bizzarre che stuzzicassero la mia ispirazione, un po’ di colore e di allegria, e proprio mentre pensavo di averlo trovato… Ho notato che era già stato scritto!

      Allora, mentre mi arrovellavo per trovare una nuova idea, ecco, tra libri e ricordi, ho fatto un tuffo nell’universo poetico, scavando nei versi e pensando al Natale.

      Ho aperto una raccolta di Giovanni Raboni. Poeta milanese, classe 1932 (morto, troppo presto, nel 2004) amatissimo. “Non credo sia adatto”, ho pensato.

      Ma ho continuato a leggere e ho respirato i versi che sento forti, mi sono addentrata nelle pieghe di una vita d’artista al limite tra la gioia e il dolore, in continuo viaggio, lento, tra i giorni e la passione.

      Sfogliando le pagine di questo autore, tra passaggi poetici adorati e disperati, freschi a ogni lettura, anche lontana nel tempo, mi sono ricordata di qualche parola, un frammento, dedicato a dicembre e alle sue feste. Ho cercato nella memoria, nelle raccolte che avevo a disposizione. Non lo trovavo. Il testo in questione, scritto dall’autore in occasione del Natale 1997, era infatti apparso sulle pagine del “Corriere della sera” e i lacerti di testo si erano depositati nella mia mente come una traccia, un ricordo forse delle letture degli anni universitari.

      In “Versi di Natale”, Raboni rivive e reinventa nella sua mente la notte della Vigilia, immaginando l’arrivo di pastori, che riconosce a uno a uno, carne della sua carne e ossa, e spirito, in cui rispecchiarsi.

      L’ottica di tale poesia, certamente, non è quella serena del fanciullo che attende regali o s’incanta di fronte alle decorazioni, ma con lo stesso incanto si vede, tra i versi, il pensiero di un uomo e di un artista che cerca nello scorrere degli anni – il Natale inteso quasi come “confine” – la sua verità e una fonte di speranza possibile, spesso delusa.

       

      Versi di Natale

      Il mattino del mondo è nella notte

      che lo precede, nello zampettìo

      dei messaggeri di frodo sulla neve.

      Niente, si sa, succede quando deve,

      ogni cosa s’adempie in un momento

      che non è il suo. Dentro la carovana

      che s’avvicina immobile alla grotta

      vi riconosco uno per uno, spiriti

      benedicenti, mia carne, mie ossa: e

      imploro di restarvi prigioniero

      nell’amen che separa il ventiquattro

      dicembre dal venticinque dicembre.

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      “Il mattino del mondo”, l’inizio di tutto, è già racchiuso in una vigilia vissuta “di frodo”, quasi la visita dei pastori alla grotta fosse un atto di “contrabbando”, non consentito, in una vita in cui spesso l’uomo è esule dalla sua stessa esistenza. La vigilia di Natale, che si compie ogni anno come rito sempre uguale, diviene il luogo di un atto non consentito, perché “niente, si sa, succede quando deve, / ogni cosa s’adempie in un momento / che non è il suo.” E il poeta – spettatore di questa notte – sembra riconoscere ad uno ad uno i pastori, nella comunanza dell’umanità che si ritrova, nuova e uguale, ogni Natale. Li riconosce nella carne, nelle ossa, nello spirito e sogna di rimanere loro prigioniero (incantato, forse, nell’immobile e irreale magia della notte di Natale) in questo “amen” (e così sia, si va verso la fine di un altro anno e l’inizio di una nuova avventura) che separa il ventiquattro dicembre dal venticinque dicembre.

      In punta di piedi, in una notte gelata, tra lo zampettio dei messaggeri, ogni uomo può percepire i propri fantasmi e desiderare di rimanere immobile sulla loro carovana.

      Raboni non è il classico poeta da Natale, come dicevo in precedenza, e lo scrive anche in un’altra poesia: “Ma adesso, adesso – e Cesare che vuole / una poesia di Natale, da me! con l’aria che tira / di peste, tersa, meravigliosa […]” ma proprio nella festività ritrova quella febbricitante eccitazione che è forse lo specchio dell’uomo di fronte al passare inevitabile del tempo, o solo la consapevolezza di non poterlo fermare e di poter solo constatare che l’aria di Natale è un’aria “di peste”, ma anche “tersa e meravigliosa”.

      Tale atmosfera nartalizia c’è anche in un altro componimento dell’autore, intitolato appunto “Mattino di Natale”.

       

      “Gli sguatteri del principe, amico dei miei amici,

      escono di buonora nella piazza

      già coperta di neve

      battendo i denti per il freddo nei loro bianchi grembiali

      e chiamano con grida e casseruole

      gli sparuti passanti: un venditore

      di castagne, un soldato, un suonatore

      di cornamusa, due spazzacamini…

      che s’infilino presto nell’umido portone

      del palazzo e poi giù nelle cucine soffocanti – li aiutino a servire

      nella piccola cappella indicibilmente profana

      un’anatra arrosto sul pavimento.”

      C’è sempre il freddo, la neve già presente nei “Versi di Natale”, e il senso di spaesamento, in un’atmosfera che si fa più profana che sacra, ma anche di forte collaborazione e solidarietà in un Natale povero ma molto umano.

      Così, il Natale di Raboni è una festa di gelo, sì, ma anche di comune fratellanza tra simili in carne, ossa e spirito.

      In questi versi, come possiamo notare, il Natale diventa il pretesto per una riflessione più ampia sulla vita e sulla morte, che non cambiano le tradizioni ma ci trasformano in esse.

      Un incantesimo che ci lascia sempre a bocca aperta, nella notte del mistero in cui forse, anche noi, vorremmo essere prigionieri dell’incanto dei pastori.

      E, per parafrasare i versi precedenti “E Manuela che vuole / un post di Natale, da me! con l’aria che tira” anche quest’anno si dovrà accontentare di un post su chi, il Natale, lo scrive sempre un po’ da lontano e con gli occhi chiusi.

      Ma non ne rimane mai indifferente.

      Tanti auguri a tutti.

      Posted in Il Calendario dell'Avvento Letterario, Uncategorized | 1 Comment | Tagged #AvventoLetterario, giovanni raboni, Il Calendario dell'Avvento Letterario, Manuela Bosio, Natale in letteratura, Parole senza rimedi, poesie di Natale
    • Il Calendario dell’Avvento letterario #16: un Natale da perfetta Janeite

      Posted at 11:50 am12 by ophelinhap, on December 16, 2018

      Questa casella è scritta e aperta da me medesima

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      È una verità universalmente riconosciuta che conoscere Jane Austen e le sue eroine equivale ad amarle. Oggi, la zia Jane che tutti amiamo avrebbe compiuto (e compie nel cuore di tutti noi suoi avidi lettori) 243 anni. Celebriamo quindi oggi la vita e le opera di una scrittrice che, quasi tre secoli fa, ha regalato alle sue eroine il ruolo di protagoniste delle loro vite e delle loro storie, regalando loro occhi penetranti e menti aguzze, spumose crinoline (a volte sporche di fango, a discapito delle convenzioni dell’epoca) e un’eloquenza ciceroniana.

      Come riportare in vita le atmosfere di Orgoglio e pregiudizio e passare un Natale degno dei Darcy di Pemberley? In una delle puntate precedenti del nostro Avvento letterario, vi ho raccontato come l’Inghilterra celebrava il Natale durante il periodo regency. Il Natale regency non è il Natale vittoriano, anche se ne anticipa alcune caratteristiche: se manca l’abete decorato e illuminato dalla luce delle candeline, gli aromi e i profumi sono già forieri di quella che diventerà l’essenza del Natale moderno. Nel camino, scoppietta lo Yule log, il ceppo di Natale; le case sono decorate di agrifoglio, alloro, edera e rosmarino e si apprestano ad ospitare feste e balli, accogliendo gli astanti col profumo di arance, mele e limoni.

      In questa puntata, vi offro degli spunti per ricreare a casa l’atmosfera dei romanzi di Jane Austen, magari per incontrare, come novelle Elizabeth Bennet/Bridget Jones, il vostro Mr Darcy, o anche semplicemente per re-innamorarvi della Austen, delle sue eroine e delle loro storie, delle sue parole eterne. Vi auguro di trascorrere un Natale alla Jane Austen, lontani dallo stress e dal tran tran quotidiano, lontani dagli schermi e da quei social media che impongono confronti con vite perfette  e patinate, standard pressoché impossibili da raggiungere. Vi auguro un Natale più semplice, vicino ai valori veramente importanti, vicino alle persone che amate per momenti di reale, significativa condivisione; per creare memorie, mentre il tacchino si arrostisce lentamente e noi ci sediamo finalmente in poltrona, in pigiama, con la copertina, davanti al focolare nelle case che ci hanno visto imparare a leggere, e ci dedichiamo ai nostri classici preferiti.

      Pronti a trascorrere un Natale da perfetta Janeite?

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      1. Mettete da parte i tradizionali addobbi natalizie; decorate la casa usando frutta e arbusti di agrifoglio, alloro, rosmarino ed edera, come Jane e sua sorella Cassandra e le altre ragazze dell’epoca. Anche la frutta fresca – specie arance, mele e limoni – veniva usata per decorare, sia per il suo profumo, sia come indicatore dello status sociale delle famiglie regency, in grado di permettersi frutta fuori stagione o addirittura in possesso di una serra riscaldata. Si inizia a decorare la casa il giorno della vigilia di Natale: farlo prima porta male.

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      2. Altro che il tradizionale cenone: quest’anno si porta in tavola un menù regency degno dei Darcy di Pemberley. Questo menù natalizio potrebbe comprendere la zuppa bianca di Elizabeth Bennet, l’arrosto di maiale di Miss Bates, il tacchino stufato di Mary Crawford, la coscia di montone arrosto ripiena di ostriche di Emma, il bread pudding della signora Bennet; il tutto generosamente annaffiato da vino all’arancia. Potete trovare le ricette che ho menzionato in Dinner with Mr Darcy, a cura di Pen Vogler. Indossate i vostri grembiuli più vezzosi e, perché no? Vestitevi a tema durante la cena, Etsy e la boutique online del Jane Austen Centre a Bath sono pieni di vestiti e accessori che potete regalarvi e regalare: che aspettate?

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      3. Organizzate una festa! Dato che vi siete già vestiti a tema per cena, perché non dedicarvi ai balli regency? I balli erano all’epoca una delle poche occasioni sociali, momento ideale per conoscere persone dell’altro sesso e riuscire ad interagire con loro, in coreografie che ricordano il corteggiamento. Se volete saperne di più, regalatevi A Dance With Jane Austen di Susannah Fullerton. Potreste anche mettere in scena piccoli pezzi di commedie e tragedie, o, perché no, leggere per gli astanti a voce alta pezzi di romanzi della Austen – ma quanto è bello leggere per qualcuno, quanto è dolce che qualcuno legga per noi i nostri passi preferiti? Un regalo di Natale che non costa niente e che significa tutto: amore per la lettura e la letteratura, voglia di stare insieme, condivisione, hygge.

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      4. Sostituite una tombolata a base di pandoro e prosecco con un afternoon tea. La madre della Austen, ospite di sua cugina a Stoneleigh Abbey nel Warwickshire, descrive una colazione che può darci un’idea dei cibi da servire: cioccolata calda, caffè, tè, pound cake, toast, pane e burro e torte di frutta secca. La Austen scrive invece alla sorella Cassandra di essersi rovinata lo stomaco a causa dei Bath buns, brioche ricche di burro e zucchero. Un altro tipo di brioche a la mode ai giorni di zia Jane è il Sally Lunn Bun, una sorta di incrocio tra panino dolce arricchito dalla panna.

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      6. Preparate un punch per i vostri ospiti. Il punch era una delle bevande più popolari del XVIII secolo, un incrocio tra occidente e oriente sviluppatosi a seguito degli scambi commerciali. Il nome deriva dal Persiano (Panj) e dall’Hindi (Panch) e si riferisce ai cinque elementi necessari per la sua preparazione. Potete trovare una ricetta tradizionale qui.

      7. Scrivete lettere di auguri, invece di mandare messaggi su whatsapp. Se Jane non fosse stata un’assidua corrispondente (specie con la sorella Cassandra), non avremmo mai conosciuto alcuni dettagli sulla sua vita. Da una delle lettere a Cassandra, datata 2 dicembre 1815, apprendiamo che Jane si sta godendo un dicembre incredibilmente mite, e si augura che il bel tempo duri almeno fino a Natale. Per carta da lettere e buste da sogno, vi consiglio di dare un’occhiata a elinor marianne (non da ultimo per la sua chiara ispirazione austeniana).

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      7. Organizzate una maratona di film e serie BBC tratte dalle opere austeniane, dalla camicia bagnata di Mr Darcy a Pemberley (e chi si scorda la celeberrima scena, interpretata dal Darcy per eccellenza, Colin Firth?) all’adorabile impertinenza di Elizabeth Bennet/Keira Knightley, dal matchmaking fallito dell’irresistibile Emma/Gwyneth Paltrow al compassato Edward Ferrars/Hugh Grant nella versione di Ragione e sentimento del 1995 (con un grandissimo cast: Emma Thompson, Kate Wislet, Alan Rickman).

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      8. Dulcis in fundo: leggete, rileggete e riscoprite quei sei romanzi perfetti che sono patrimonio della letteratura universale e non cessano mai di stupire. Ogni rilettura regala nuovi punti di vista e regala chiavi di lettura inedite.

      Buon Natale, Janeite!

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    • Il Calendario dell’Avvento letterario #14: Charlotte Brontë e il mistero di Natale

      Posted at 11:50 am12 by ophelinhap, on December 14, 2018

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      Questa casella è scritta e aperta da Serena & Selene di The Sisters’ Room – a Brontë ispired blog

       

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      Esiste una storia bronteana ambientata nel periodo di Natale che forse solo in pochi hanno letto. Si tratta della vicenda di Matilda Fitzgibbon, l’ultima eroina pensata da Charlotte e protagonista del romanzo incompiuto Emma. Matilda è un personaggio femminile che Brontë non ha avuto il tempo di portare a compimento, e che nasconde un vero e proprio mistero.

      Come altre ben più celebri protagoniste di Charlotte, Matilda è ospite di un collegio femminile. Si tratta di una ragazza piuttosto impopolare tra le alunne, viziata e celebrata dalla direttrice per via delle sue origini aristocratiche. Si conosce ben poco di lei, se non quello che raccontano la regale carrozza che l’ha portata al collegio e i suoi abiti costosi. Sarà durante le feste di Natale però che questa presunta aristocraticità inizierà a destare sospetti. Quando infatti la direttrice invierà una comunicazione alle famiglie, informandosi sui piani delle alunne per il periodo festivo, tutte risponderanno tranne una: quella di Matilda. È così che entra in gioco William Ellin, rielaborazione di un personaggio precedentemente pensato per un altro romanzo, il quale investigherà sulla storia di Matilda Fitzgibbon scoprendo che la sua famiglia in realtà non esiste. Chi è allora questa ragazza? Davanti alle domande freddamente poste dalla direttrice, la giovane si accascia al suolo turbata, suscitando la tenerezza del signor Ellin, il quale invita tutti a rispettare la sua delicata natura prima ancora di interrogarsi sulle sue origini sociali.

      Riguardo questo manoscritto, il marito di Charlotte, reverendo Arthur Bell Nicholls, raccontò all’ editore George Smith che in una fredda sera del 1854: “Mentre eravamo seduti davanti al fuoco, ascoltando il vento che infuriava attorno alla casa, la mia povera moglie disse all’improvviso ‘Se non fossi stato con me, sicuramente in questo momento starei scrivendo’. Corse al piano di sopra, portò giù l’inizio del suo Nuovo Racconto e lo lesse ad alta voce. Quando finì osservai ‘I critici ti accuseranno di essere ripetitiva, hai di nuovo parlato di una scuola’. Lei rispose ‘ Oh, lo cambierò. Ricomincio sempre due o tre volte prima di essere soddisfatta’”. Ma non fu così, e Charlotte non ebbe il tempo di modificare nuovamente la storia.

      Il mistero di Natale contenuto in questo romanzo mai terminato, si accompagna dunque al mistero di come Charlotte Brontë avrebbe potuto cambiare o riscrivere la storia. Impossibile negare che è anche qui il fascino di quest’opera incompiuta, e in un periodo come questo ve la raccomandiamo accompagnata da biscotti e thè, perché è perfetta da leggere comodi, davanti al camino, abbandonandosi alle domande e alla fantasia.

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    • Il Calendario dell’Avvento letterario #23: un perfetto Natale bronteano

      Posted at 11:50 am12 by ophelinhap, on December 23, 2017

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      Questa casella è scritta e aperta da Serena e Selene di The Sisters’ Room, A Brontë-inspired Blog

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      Da sempre la tradizione natalizia ha un lato culinario decisamente interessante. A seconda delle epoche storiche e delle aree geografiche a cui guardiamo, possiamo abbinare al Natale cibi tipici: che si tratti di Pandoro o Panettone, di Stollen o Christmas Pudding, di casette di pan di zenzero, omini di panpepato, o di Bûche de Noël, viene sempre l’acquolina in bocca durante le feste! Ma cosa mangiavano, a Natale, le nostre care sorelle Brontë? C’era qualche prelibatezza culinaria tipica dello Yorkshire negli anni ’50 del 1800, che si associava particolarmente alle feste natalizie?

      Come sempre Elizabeth Gaskell, prima biografa di Charlotte, ci viene in aiuto in questi casi, e sfogliando le pagine della sua Vita di Charlotte Brontë troviamo più di qualche riferimento molto interessante. La Gaskell ci racconta infatti l’autrice di Jane Eyre in una veste intima, alle prese con le tradizioni di Natale e più nello specifico con qualcosa che ha che fare con il cibo. Nel capitolo XIII leggiamo di un episodio accaduto nel 1854: “Il giorno di Natale si recò a piedi, col marito, dalla povera vecchia (che in giorni meno felici le aveva chiesto di andarle a cercare un vitello che si era smarrito) portandole un grosso dolce di zenzero per rallegrarle il cuore. Il giorno di Natale molte umili tavole in Haworth furono allietate dai suoi doni.”

      Dunque apprendiamo che era usanza fare visita ai vicini e portare in dono dolci durante i gironi di Natale. Ma concentriamoci su questo “dolce allo zenzero”: si tratta di una Yorkshire Spice Cake, un dolce tradizionale che sembra essere collegato allo Yorkshire Main Bread. Veniva servito con il formaggio, e nei romanzi delle sorelle Brontë diverse volte incontriamo riferimenti a “cake and cheese”, “spicy cake” e “Christmas cake”, tutti in capitoli natalizi. Sappiamo anche che parte del materiale utilizzato nei loro romanzi ha una matrice autobiografica, e possiamo dunque supporre che questa Christmas Cake fosse una delle usanze natalizie al Parsonage (la Gaskell, in fondo, conferma questa teoria con il racconto di pocanzi).

      In un delizioso libro natalizio che possediamo, The Brontës’ Christmas, abbiamo trovato la ricetta di qualcosa che probabilmente somiglia molto proprio a quel dolce di cui tanto scrive Charlotte: si tratta, in questo caso, di una Christmas Spice Cake tipica di quell’area perduta nelle brughiere del West Riding. La ricetta è dei primi anni del 1900, ma è di sicuro la cosa più vicina che abbiamo a quella usata al Parsonage. Se volete cimentarvi in un dolce natalizio e fare un salto indietro nello Yorkshire di oltre cento anni fa, non dovrete fare altro che: scegliere una cupa giornata di pioggia, mettere su delle carole di Natale per creare la giusta atmosfera, accendere tutte le lucine dell’albero, indossare un bel grembiule da cucina, e seguire questa ricotta.

      Ingredienti:

      900 gr di farina

      200 gr di burro (circa)

      450 gr di uvetta

      200 gr di uva sultanina

      200 gr di zucchero di canna

      4 uova

      50 gr di scorze miste di agrumi

      30 gr di lievito

      ½ noce moscata

      1 cucchiaino di cannella

      ½ bicchiere di latte

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      Mescolate il lievito al latte caldo, coprite e lasciate lievitare. Nel frattempo mettete la farina e un pizzico di sale in una ciotola precedentemente riscaldata. Aggiungete il burro, la pasta lievitata, lo zucchero, il resto del latte caldo e mescolate. Coprite il tutto e lasciatelo riposare per 20 minuti. Poi impastate l’impasto e lasciatelo riposare ancora un’ora. Sbattete le uova e aggiungetele all’impasto insieme all’uvetta e alla cannella. Dopo aver mescolato tutto lasciate riposare un’altra ora. Infornate il tutto nel forno preriscaldato a 160° e attendete la cottura (circa un’ora).

      Quando sarà pronto vi raccomandiamo una comoda poltrona di fronte all’albero di Natale, una morbida e calda coperta, e la vostra copia preferita di Jane Eyre. Ecco qui: tutto pronto per un perfetto Natale bronteano!

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    • Il Calendario dell’Avvento letterario #21: Nero Natale

      Posted at 11:50 am12 by ophelinhap, on December 21, 2017

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      Questa casella è scritta e aperta da Fabrizia de Il mondo urla dietro la porta

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      Su cosa sia un racconto non si spenderanno mai abbastanza parole. Narrazione in prosa dalla durata fulminea, che è in grado di riverberare nella mente del lettore per molto tempo donando alla storia una completezza temporale e vitale. Su cosa sia un ricordo sarà impossibile pronunciarsi perché il suo racconto è avvolto da un fascino tutto personale.

      Entrambi, però, condividono una correlazione complementare quando si tratta di affiancarli al Natale. Quando il racconto si fa ricordo assume la consistenza di un sogno (o di un incubo) e rischia di perdersi nei nuovi dettagli aggiunti dall’oralità: ricordi quando hai scoperto che Babbo Natale non esisteva? Ti sei sentito grando e maturo conservando per te la malinconia della sorpresa. Quando il ricordo si fa racconto diventa una pietra da incastonare nella memoria degli anni successivi, una commemorazione segreta e personale richiamata dalla ricorrenza della festa. C’è chi ricorda la dolcezza degli addobbi di Natale, uguali tutti gli anni e rassicuranti proprio per questo. C’è chi ricorda una mancanza e non ha intenzione di festeggiare. C’è chi vuole essere un’assenza e non festeggerà mai. Dal candore delle luci e dal calore della tavola esala un sentimento contrastante che ha l’occasione di rigenerarsi anno per anno. Non esistono natali definitivi perché ognuno è diverso dall’altro.

      Sicuramente il racconto di Natale ha in sé sfumature infinite, ognuna caratterizzata dal tratto distintivo dell’autore che l’ha scritto. Ma, se volessimo riconoscere una caratteristica generale che fa eco proprio dal Canto di Natale di Dickens, potremmo riconoscere il mistero del racconto. Prescindendo dal riferimento religioso, il Natale è una pausa di festa in cui è probabile che si debba convivere l’impegno collettivo a rimpinzarsi insieme, amati e odiati, felici e tristi. Proprio per sondare i misteriosi accadimenti dell’animo umano e del soprannaturale, esulando dai festeggiamenti veri e propri, viene in soccorso Nero Natale. Nove racconti da brivido, raccolta di racconti pubblicata da Einaudi e curata da Luca Scarlini.

      Quando non ti restano che i ricordi, li custodisci e li rispolveri con particolare cura.

      Così la governante dai nobili natali rimane fedele alla sua missione portando il nome, la tradizione e il ricordo al di là del ceto sociale. È la baronessa ne I lupi di Cernogratz, racconto fulmineo di Saki che qui dimostra l’abilità del misticismo andando oltre i suoi racconti di humor nero. La tradizione del clima conviviale però si fa cupa per Hawthorne nelle storia Il banchetto di Natale, perché un nobile investe parte della sua ricchezza per riunire al tavolo una serie di figure tragiche e mai realmente felici nella vita. Il Natale risulta essere un periodo ben più funesto del resto dell’anno, ma non si ha intenzione di risollevare gli animi degli astanti perché uno scheletro è a capotavola, sempre pronto a ricordare loro la sofferenza.

      Parte dei racconti della raccolta è attraversata da un imperativo inevitabile: la celebrazione di una tradizione a tutti i costi, che assume i contorni delle persone che la festeggiano. Il Natale di un visitatore sperduto nella sua terra natia seguirà la commemorazione degli avi. Un’atmosfera putrescente e mefitica s’innalza dai sotterranei di una città fantasma nel racconto di Lovecraft, La ricorrenza: affresco gotico perfetto che smorza il romanticismo di un periodo che ha più a che fare con una sacralità sinistra.

      L’unicità del Natale è in grado di travolgere l’andamento tipico della fiaba andando su sfumature che conosciamo grazie a Nightmare Before Christmas. Frank L.  Baum compone Il rapimento di Babbo Natale, un’avventura dei demoni dell’Invidia, dell’Odio, dell’Egoismo, della Malizia e del Pentimento alle prese con sentimenti che alla fine non si riveleranno del tutto malvagi.

      E, infine, il Natale dei detective. Sherlock Holmes con il racconto L’avventura del carbonchio azzurro e di Hercule Poirot con L’avventura del dolce di Natale: due viaggi deduttivi che solo nell’apparenza si svolgono nel clima natalizio.

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      Di certo una raccolta non esaustiva sui racconti di genere per il Natale, ma di sicuro un buon modo per conoscere un’atmosfera inedita. È proprio in questo modo che i racconti portano a compimento la loro missione: mostrare un lato diverso e creare una duplice percezione tra il brivido e la sorpresa.

       

       

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    • Il Calendario dell’Avvento letterario #20: ritorno a Christmasland

      Posted at 11:50 am12 by ophelinhap, on December 20, 2017

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      Questa casella è scritta e aperta da Irene di LibrAngolo Acuto

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      Che cosa saresti disposto a fare per passare la vita in un posto in cui ogni mattina è la mattina di Natale?

      Non so cosa sarebbe disposta a fare la gente normale per vivere over and over la mattina di Natale. Io so che, dopo qualche giorno, sarei colta da un’ansia non indifferente e cercherei in tutti i modi di scappare via, colta da un attacco di panico e un principio di follia omicida. Mi rincuora sapere che non sono l’unica sulla faccia della Terra, perché come me, lo stesso deve pensare la famigerata famiglia King. Sì, sì, proprio quei King, avete capito bene.

       L’odore di cannella, un buon bicchiere di vin brulé, il dolce scoppiettio della legna che arde felice nel camino, le luci intermittenti dell’albero di Natale e la musichetta forzatamente allegra devono costituire uno dei peggiori incubi della famiglia King, o perlomeno dei suoi figli. Ok, va bene, va bene, di un solo: Joe Hill.

      Dietro i cinnamon rolls, i simpatici pupazzi di neve, le lucette led colorate, le ghirlande profumate, gli ettolitri di eggnog, gente, non si nasconde un mondo ideale ma il male più assoluto.

      Scommetto che l’idea più romantica che Joe Hill ha del periodo natalizio è quella in cui non esiste il classico Babbo Natale, ma il protagonista di tutto è Babbo Nachele, che spaventa i bambini a bordo della sua mostruosa slitta, guidata dal fantasma di un cane e dagli scheletri di tre renne.

      Crescere con un padre come Stephen King, che riesce a rendere mostruose anche le vicende più normali – e mi riferisco ad esempio a Misery, che mi ha scosse non poco quando lo lessi da giovane lettrice, dove una semplice fan viene trasformata dal Re in una pazza senza scrupoli che, raga, smetto di pensarci altrimenti non dormo stanotte –, non deve essere affatto cosa semplice. Certo è che la propensione all’orrore del proprio padre deve, necessariamente, far scattare qualcosa anche in te, figlio ignaro.

      Perché dico questo? Dico questo perché solo qualcuno che possiede gli stessi geni del Re poteva anche solo pensare di immaginare un romanzo come NOS4A2 (e perché solo io, che ho un rapporto strano con il Natale, potevo trovarlo il libro giusto da leggere in questo periodo).

      Se Stephen King mi chiedesse cosa sarei disposta a fare per vivere ogni giorno la mattina di Natale, avrei paura. Voi no? Considerando che Joe Hill è decisamente il figlio del Re, la domanda assume tutto un altro significato, per niente rassicurante.

      Nel mondo magistralmente creato in NOS4A2, Christmasland è un parco giochi a tema natalizio dedicato, secondo Charlie Manx – un personaggio abbastanza inquietante dai denti marroni che guida una Rolls Royce –, a quei bambini che, se non vengono salvati dalle grinfie delle loro disastrate e malvagie famiglie, perderanno la loro innocenza, vivendo una vita misera e terribile. Grazie a lui, invece, vivrebbero per sempre, felici e spensierati, in un mondo parallelo, circondati da fontane di cioccolato, piogge di candy cane, caramelle e marshmallow, alberi di zucchero filato perennemente addobbati e cascate di coloratissimi doni.

      Un parco giochi che io, con un po’ di ansia e paura – lo ammetto -, ho immaginato come una versione 2.0 de La Fabbrica di Cioccolato, con i folletti e le renne al posto degli Umpa Lumpa e un uomo a bordo di un’auto nera al posto di Willy Wonka.

      Manco a dirlo, Christmasland non si avvicina neanche lontanamente a tutto questo, altrimenti non sarebbe un libro scritto da un parente prossimo di Stephen King.

      Di fatto, Charlie Manx non salva proprio nessuno, come potevate immaginare, ma rapisce i bambini mentendo a loro e anche ai pochi adulti che, nel corso della sua lunghissima vita, lo hanno servito fedelmente, diventando i lacchè che si occupano delle sporche questioni burocratiche, passatemi il termine. Convinti di salvare povere creature in difficoltà, di fatto contribuivano a popolare un parco giochi che di sereno e spensierato non aveva proprio nulla.

      Un romanzo a tratti disturbante, ma che trasmette un messaggio che è bene tenere sempre presente: non è tutto oro quello che luccica. E voi, amanti sfegatati del Natale che sareste disposti a tutto pur di giocare a tombola tutto l’anno sgranocchiando torrone e piccoli panettoni, state bene attenti: mai fidarsi di un estraneo che vi ci avvicina in macchina e vi promette un mondo dove tutti i giorni è la mattina di Natale, potreste pentirvene amaramente.

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    • Il Calendario dell’Avvento letterario #14: uno stupido angelo

      Posted at 11:50 am12 by ophelinhap, on December 14, 2017

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      Questa casella è scritta e aperta da Alessandra di Una lettrice

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      Quando avevo otto anni fui allontanata dal coro perché cantavo, a squarciagola, due toni più alti “Tu scendi dalle stelle, coi pattini a rotelle”. Le insegnanti trovavano blasfemo scherzare su Gesù. Ho imparato che gli scherzi e l’ironia su alcuni argomenti – il sesso, la religione, la politica – non sono apprezzati da tutti. Esistono poi delle persone che detestano il linguaggio gergale e non lo trovano divertente: a me, invece, una parolaccia, inserita nel contesto giusto, fa ridere.

      Se siete tra coloro che pensano che non si può scherzare di tutti gli argomenti e se siete tra coloro che pensano che le parolacce siano espressioni infantili prive di ironia, smettete di leggere. Il libro di cui sto per parlarvi non vi piacerà.

      A rafforzare ciò che ho scritto sopra aggiungo l’avvertenza dell’autore, stampata a pagina nove: “Se state comprando questo libro come regalo per vostra nonna o per un ragazzino, sappiate che contiene parolacce, gustose descrizioni di cannibalismo e quarantenni che fanno sesso. Poi non date la colpa a me. Io vi ho avvisato”. Ecco, come immagino il Natale 2017.

      Uno stupido angelo – Storia commovente di un Natale di terrore è scritto da Christopher Moore e pubblicato in Italia da Elliot Editore. Il romanzo, non il migliore di Mooore, ve lo dico subito, è nato dalla domanda di Mike Spradlin, un amico dello scrittore.

      “Sai, dovresti proprio scrivere un libro sul Natale”

      “Che genere di libro?”

      Ha replicato “Non lo so. Forse il Natale a Pine Cove o qualcosa del genere”

      Al che ho risposto “Okay”.

      Uno stupido angelo è il terzo romanzo di Moore ambientato a Pine Cove, una cittadina inventata della California, non è il posto natalizio per eccellenza. Intanto a dicembre ci sono venti gradi e poi le palme, gli uragani, i surfisti e le bionde californiane in bikini non fanno atmosfera classica. All’inizio di questo romanzo, però, la cittadina di Pine Cove e i suoi abitanti sono ugualmente impegnati nelle decorazioni natalizie. In particolare, un’ex moglie decide di rubare un pino dal bosco di pini del suo ex marito, ma, tagliando l’albero con la motosega, provoca un incidente: uccide Babbo Natale. Ad assistere a questa scena è Josh, un bambino molto preoccupato dell’omicidio e di saltare il Natale.

      Josh prega per chiedere un aiuto dal cielo. La sua preghiera purtroppo viene ascoltata da Raziel, l’angelo più stupido del Paradiso, inviato sulla terra per la missione del Natale.

      Raziel (già apparso nel romanzo Il Vangelo secondo Biff) deve trovare un bambino ed esaudire il suo desiderio. Raziel fa irruzione a casa di Josh e si fa spiegare per filo e per segno cosa è successo. L’unico problema è che il bambino non sa indicare bene dove è sepolto il corpo e si limita a tracciare un’area che comprende anche la cappella dove si svolgerà la festa degli scompagnati e il cimitero locale.

      Il resto è un delirio di massa che comprende un pilota di elicotteri dell’antidroga e il suo pipistrello della frutta (Roberto, il mio personaggio preferito), la psichiatra locale, il suo fidanzato, un biologo del comportamento, e tutti i residenti del cimitero di Pine Cove. Insomma: ci sono gli zombie che si svegliano e cosa fanno? Vanno all’IKEA.

      Personaggi grotteschi, fuori di testa, mai banali mettono in scena una parodia della vita quotidiana. Moore ama mostrare il lato sordido: dietro a ogni perfetta storia d’amore c’è uno psicofarmaco che tiene insieme le persone, dietro ad un successo professionale c’è anche una botta di culo, dietro ad amicizie lunghe una vita c’è una bella dose di ipocrisia… La festa di Pine Cove finisce con un po’ di droga aggiunta nel punch, e la città, allucinata, dovrà fare i conti con gli Zombie risvegliati dallo stupido angelo Raziel, che, ansioso di fare del bene, combina un casino inenarrabile.

      È Natale, piantatela di voler fare del bene. Fatevi gli affari vostri.

      Buon Natale, lettori. E che Dio ce la mandi buona.

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    • Il Calendario dell’Avvento letterario #13: il Natale di Effi Briest

      Posted at 11:50 am12 by ophelinhap, on December 13, 2017

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      Questa casella è scritta e aperta da Caterina di Letture in viaggio

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      Un altro Natale a casa Innstetten. Un Natale come gli altri, si direbbe, se non fosse per la malcelata inquietudine di Effi. Le lettere e i regali dai genitori, i versi augurali del caro Gieshübler, una cartolina dal cugino che vive a Berlino e le piccole gioie della vita familiare: la bambina vestita a festa che tende le mani verso le luci dell’albero di Natale, un marito “lieto e di buon umore”, un ambiente tranquillo. Un quadro rassicurante.

      Effi, però, si sente oppressa. Ride e parla, ma il suo animo non è sereno. Il barone Innstetten se ne accorge e le chiede il motivo dell’inquietudine. La moglie, che non sa bene con chi prendersela, se con sé stessa o con il marito, risponde di non meritare la bontà di chi le è affezionato. Lui la invita a non farsi tali crucci perché “non si riceve che quello che ci si è meritato”.

      Che l’abbia detto apposta? Fatto sta che l’unico a non averle mandato gli auguri è il maggiore Crampas: i complimenti di quell’uomo, noto Don Giovanni, la intimoriscono, ma la sua indifferenza la mette di cattivo umore. A Kessin c’è la neve e per il giorno seguente è stata organizzata una gita in slitta a Uvagla, a casa dei Ring. Effi sa che, oltre al pastore Lindequist, Gieshübler, il signor Hannemann e Papenhagen, anche Crampas sarà dei loro.

      L’inevitabile è ormai vicino.

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      Effi Briest è la storia di un adulterio dalle conseguenze tragiche.

      Quando ripenso a questo romanzo, la mia mente va subito a quell’ingenuo ed eloquente “Effi, vieni!” pronunciato da una delle amiche di Effi poco prima dell’inaspettato fidanzamento con il barone Innstetten, di vent’anni più grande di lei.

      “Effi, vieni!” è il richiamo della spensieratezza e della giovinezza, di uno stato di grazia che sta per abbandonare la protagonista, e non fa presagire nulla di buono. Fontane, con grande maestria, ci prepara agli eventi, lasciando fra le pagine del romanzo segnali inequivocabili.

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      Nel (poco) rassicurante quadretto natalizio vedo una sorta di spartiacque. Da lì in poi gli eventi precipitano. L’inquietudine di Effi ha raggiunto l’apice. Le sue ultime resistenze stanno per sciogliersi come neve al sole. Forse aveva ragione Gieshübler nell’affermare che “il maggiore ha in sé qualcosa di violento, che toglie alle persone la loro forza di volontà”.

      Pubblicato a puntate tra il 1894 e il 1895 sulla rivista Deutsche Rundschau, Effi Briest è un ritratto preciso e veritiero della società prussiana di fine ‘800 e riscosse subito un grande successo.

      Fontane non inventò tutto di sana pianta, ma si ispirò alla vicenda di una donna berlinese conosciuta nel salotto di Emma Lessing, moglie del proprietario della rivista Vossische Zeitung.

      Il suo nome era Else von Ardenne, moglie del barone Armand von Ardenne. Proprio come Effi ebbe una relazione con un altro uomo, Emil Hartwich, un giudice di Düsseldorf; proprio come Innstetten il marito della donna scoprì le lettere dei due amanti, sfidò a duello Emil Hartwich, uccidendolo, e ripudiò la moglie.

      Il 25 dicembre 1919, sul Berliner Tageblatt, compare un articolo dello scrittore tedesco Thomas Mann. L’occasione è il centenario della nascita di Theodor Fontane (30 dicembre 1819-20 settembre 1898). Mann è un grande ammiratore di Fontane, e di Effi Briest scrive: “una biblioteca della letteratura romanzesca basata sulla scelta più rigorosa — e dovesse anche restringersi a una dozzina di volumi, a dieci, a sei — non potrebbe essere priva di Effi Briest. Non si usa forse dire che nessuna costruzione prodotta dalla mano dell’uomo è perfetta? E invece, per quanto si possa essere propensi ad esortare gli uomini alla modestia, l’affermazione è sbagliata, la cosa perfetta esiste: sognando, l’uomo che è artista ogni tanto la produce”. E Fontane, secondo Thomas Mann, l’aveva prodotta.

      Curiosità

      Una chicca per gli appassionati di viaggi letterari: sapete che Fontane visse a Berlino per molti anni? E sapete anche che prima di diventare scrittore a tempo pieno era anche un farmacista? Bene: a Mariannenplatz 2, nel distretto di Kreuzberg, c’è l’edificio che un tempo ospitava l’ospedale Bethanien.

      berlin

      Oggi si chiama Kunstraum Kreuzberg ed è un centro per l’arte contemporanea, aperto tutti i giorni dalle 11 alle 20 e visitabile gratuitamente. Al suo interno, al piano terra, c’è un luogo speciale: la farmacia dove, tra il 1848 e il 1849, prestò servizio Theodor Fontane. È stata restaurata ed è aperta dal martedì al giovedì, dalle 14 alle 17. L’ingresso è gratuito e le visite guidate sono possibili su prenotazione.

      Da me, Berlino, Effi e Fontane per quest’avvento letterario è tutto. Cari lettori, vi auguro un Natale supercaliragilistichespiralibroso.

      Posted in Letteratura e dintorni | 6 Comments | Tagged #AvventoLetterario, Effi Briest, Il Calendario dell'Avvento Letterario, Letture in viaggio, Natale in letteratura, Theodor Fontane, Thomas Mann
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