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  • Tag: Natale a New York

    • Il Calendario dell’Avvento letterario #7: canto della neve silenziosa

      Posted at 11:50 am12 by ophelinhap, on December 7, 2018

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      Questa casella è scritta e aperta da Alessandra di Una lettrice

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      “Molti, molti anni fa un tale mi disse che negare i propri sogni equivale a vendere la propria anima. Ero giovane allora e non sapevo che quelle parole avrebbero trovato un loro particolare posto dentro di me e che sarebbero rimaste mie per sempre, però ricordo di aver battuto le palpebre e aver scosso il capo annuendo come se quegli stessi movimenti mi spingessero ancor più dentro la verità. Ero pieno di sogni. E ancora sogno.”

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      “Canto della neve silenziosa” uscito nel 1986, è stato pubblicato in Italia nel 1989 da Feltrinelli e negli anni Novanta ottenne un ulteriore successo per la lettura che ne fece Alessandro Baricco. Per alcuni anni il libro è stato introvabile, grazie anche alle alterne fortune del suo autore, spesso messo al bando dalla critica. Il libro raccoglie quindici racconti scritti nel corso di vent’anni, tutti ambientati a New York, l’odiata-amata città natale nella quale Selby aveva ambientato il romanzo “Ultima fermata a Brooklyn“, considerato uno dei grandi romanzi americani.

      Protagonista dei racconti è Harry, un eroe dai mille volti del quale l’autore conserva solo il nome in racconti diversi per tono e taglio. Quindici racconti, forse non tutti ugualmente riusciti, nel complesso formano un insieme convincente: Selby racconta infatti la varia umanità metropolitana, quella degradata e borderline, e lo fa con una prosa folgorante che amalgama parlato e flusso di coscienza.

      In particolare mi ha colpito, per il suo lirismo autentico, quello che dà il nome alla raccolta e, che, più di tutti incarna lo spirito del Natale. Nella solitudine e nella disperazione che attanagliano i personaggi Selby lascia filtrare un raggio di luce: è la possibilità di ristabilire, anche nel frenetico e per certi versi feroce scenario metropolitano, un rapporto positivo tra la propria interiorità, per quanto ferita, e il mondo circostante. Lo spirito del Natale è il momento in cui il canto della neve, apre uno spiraglio di speranza nel cuore, nonostante tutto.

      Nel racconto del Canto della neve silenziosa, Selby suggerisce che anche New York può nascondere attimi di poesia.

      Harry si è trasferito in una zona residenziale del Connecticut, ha comprato una casa di proprietà, è depresso e l’angoscia non lo fa dormire la notte. Ha imboccato un’altra strada, ha provato a cambiare vita; i ragazzi hanno più spazio per giocare e sua moglie è contenta della cucina nuova. Qual è il problema, allora? «Esistevano per caso dei tipi di morte di cui lui non sapeva niente?». È una giornata di marzo Harry, dopo essere tornato dall’ospedale a causa di un esaurimento nervoso, non è in grado di lavorare. Sdraiato nel suo letto, sa che la sua famiglia è al piano inferiore, impegnata a fare quelle cose che fanno le famiglie la mattina: la moglie prepara la colazione, il figlio dimentica lo zaino. Ma la sua famiglia è diversa: tutti cercano di non fare rumore per non svegliarlo. L’unica cosa che in questo periodo di convalescenza può fare è una passeggiata. Harry si incammina per le vie di New York.

      “Quando giunse al punto stabilito si fermò. Aveva percorso un miglio. Bisognava tornare indietro. Guardò le case circostanti, quelle che da lontano sembravano quasi prive di forma, fuse com’erano nell’aria luminosa; poi guardò gli alberi e il loro grigiore innevato scomparve nella luce. Si girò e fece il primo lento passo del ritorno. Ripercorse le proprie impronte, le uniche nella neve. Sembravano piccole e anche se erano le uniche non sembravano sole, abbandonate. Sorrise all’idea delle impronte sole, come se le impronte avessero una vita propria o anche potessero riflettere quella di chi le aveva lasciate. Forse… chissà. Andava dunque, e si teneva compagnia.

      Svoltò un altro angolo e davanti gli si posò un lungo tratto bianco piatto e friabile, interrotto sempre e solo dalle sue impronte che s’allontanavano e sembravano scomparire nella distanza bianco/grigio. Non sembrava possibile, eppure ora l’aria era ancora più dolce e serena. Continuò a procedere lungo le proprie impronte con l’impressione di poter camminare in eterno, la sensazione che fin quando la neve silenziosa continuava a cadere lui avrebbe potuto camminare lasciandosi dietro tutte le preoccupazioni e le ansie, tutti gli errori del passato e del futuro. Più nulla lo avrebbe preoccupato o perseguitato o riempito di tremiti di paura: la buia notte dell’anima era ormai finita. Sarebbero rimasti solo lui e la soffice neve silenziosa, e ogni fiocco avrebbe portato, nella propria vita una particolare gioia…mentre la dolce e silenziosa neve continuava a cadere dolcissima e gioiosissima…

      Sì, e amorosissima… amorosissima… Avrebbe potuto camminare in eterno. Gli sarebbe stato facile continuare a camminare mentre tutti i pensieri di morte sarebbero svaniti, assorbiti dalla neve silenziosa.

      Ben presto pur tendendo l’orecchio non sentì più neppure lo scricchiolio dei passi nella neve e la cosa non lo sorprese, quasi che il corpo gli fosse diventato tanto leggero da non lasciare neppure un’impronta. Raggiunse la sua strada ma invece di svoltarvi continuò dritto: qualcosa lo attirava in fondo a una strada nella quale non era mai stato prima, una strada completamente sconosciuta, completamente diversa da tutte le altre nei paraggi. E mentre andava continuava a sentirsi sempre più leggero, come se la scintilla nella neve silenziosa, e quella che illuminava l’aria, gli scoccasse dentro. Sapeva di avere gli occhi in fiamme, pieni di quella luce. Sapeva d’irradiare quella luce attraverso gli abiti. E si sentiva le gambe sempre più leggere e quando abbassò lo sguardo vide che non c’erano impronte. Il soffice manto di neve steso sulla strada era ancora immacolato e fin dove vedeva lui non c’erano impronte e allora tutto il suo essere si riempì d’indicibile gioia e allora la sentì, agli inizi molto debolmente e tuttavia distintamente.

      Sentì la neve cadere lenta nell’aria, ogni fiocco con un suono proprio e distinto e non ostacolato nella caduta così che i suoni di tutti quei fiocchi non mescolavano né stridevano ma si fondevano invece in un canto, quello della neve, che pochi avevano udito.

      E, pur restando dolce, quel canto diventava sempre più forte, diventava una cosa sola con la luce… e alla fine non ci furono più piedi che lasciassero impronte né corpo né occhi che brillassero ma soltanto luce e suono e gioia. Niente passato, niente futuro, niente, neppure un presente, unicamente la nuova gioia che non conteneva ricordi di angustie e lotte e sofferenze… unicamente la nuova gioia… e capì che sarebbe potuto restare lì per sempre.

      Estratto da Canto della neve silenziosa, Hubert Selby Jr., 1986, Feltrinelli

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      Il racconto termina così, con una gioia che gli alleggerisce l’anima, finalmente sollevata dal peso del vivere, dalla miseria, dall’angoscia, dalla solitudine. Selby per tutta la vita ebbe problemi di eroina e depressione, ma non si arrese mai: voglio pensare che ciò che gli diede coraggio nelle notti dell’anima furono momenti come questo, che ricordano la gioia di essere al mondo.

      L’Autore: Hubert Selby Jr. (New York 1928-2004) è stato vicino alla beat generation e ha raggiunto la notorietà internazionale nel 1964 con Ultima fermata a Brooklyn (pubblicato da Feltrinelli nel 1966) che ha suscitato le violenze reazionarie di molti censori. Autore di culto e ispiratore di molti scrittori, ha collaborato alla sceneggiatura del film Requiem for a Dream di Darren Aronofsky, tratto da una sua opera. Anche Ultima fermata a Brooklyn è diventato nel 1989 un film di Uli Edel, lo stesso regista di Christiane F. I ragazzi dello zoo di Berlino. Delle sue opere successivamente pubblicate da Feltrinelli sono usciti il romanzo La stanza (1966) e la raccolta di racconti Canto della neve silenziosa (1989). È morto nell’aprile del 2004. Di lui ha detto Alessandro Baricco: “Selby, uno che quando lo leggi non scrivi più come prima.”

       

      Posted in Il Calendario dell'Avvento Letterario | 5 Comments | Tagged #AvventoLetterario, alessandra pagani, Canto della neve silenziosa, Feltrinelli, Hubert Selby Jr, Il Calendario dell'Avvento Letterario, Natale a New York, New York, Ultima fermata a Brooklyn, una lettrice
    • Il Calendario dell’Avvento Letterario#22: un albero cresce a Brooklyn

      Posted at 11:50 am12 by ophelinhap, on December 22, 2015

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      Questa casella è scritta e aperta da Francesca de Il Club dei Libri

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      È il 1912 e siamo a New York, per la precisione a Brooklyn. È dicembre, il Natale è alle porte e sulle strade i venditori di abeti hanno allestito dei boschetti provvisori, attorno ai quali i newyorkesi si accalcano per scegliere l’albero che adornerà il loro salotto. Molte delle persone che sono su quel marciapiede, però, quell’albero possono solo sognarlo e tra loro ci sono anche i fratelli Nolan, Francie e Neeley, che individuano l’abete più grosso e più bello e sperano che rimanga invenduto fino alla sera della vigilia, perché, se così sarà, potranno provare a vincerlo partecipando al crudele lancio dell’abete.

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      È infatti usanza, sui marciapiedi di Brooklyn, che la sera della vigilia i venditori degli alberi di Natale li lancino addosso ai bambini: se questi non crollano sotto al peso dell’abete, allora lo possono avere gratis.

      Quello scelto dai fratelli Nolan è davvero enorme, alto, massiccio e pesante e, quando il venditore annuncia che sarà proprio quello il primo ad essere messo in palio, Francie non esita un secondo ad annunciare di volerci provare. Neeley è spaventato dall’impresa, ma non vuole contraddire la sorella e così si lascia piazzare davanti a lei nonostante i ragazzi più grandi li scherniscano e chiedano loro a gran voce di farsi da parte.

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      Quando l’uomo degli abeti assiste alla scena, il suo primo pensiero va al coraggio immenso di questi due minuscoli bambini; il secondo è un sentimento paterno: sicuramente si faranno male, soprattutto il maschio, così piccolo e minuto; il terzo è un sentimento di carità: perché non posso semplicemente regalar loro quest’albero e basta? Perché devo sottoporli per forza a questa usanza, meschina per certi aspetti?

      Alla fine, però, prevale il senso del commercio: se lo regalo a loro, anche tutti gli altri ragazzi pretenderanno di averlo in dono e io non potrò più venire a vendere i miei abeti il prossimo Natale. Quindi che tentino, che imparino presto che a questo mondo nessuno dà niente per niente, che devi lottare con le unghie e con i denti per ottenere quello che vuoi.

      Bene bambini, preparatevi.

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      Francie si posiziona il fratello davanti, così può sostenerlo nel caso il suo corpicino ceda sotto il peso dell’albero, poi tutto accade come in un sogno: non c’è niente sul quel marciapiede, è sparita New York, è sparito l’uomo degli abeti, è sparito Neeley e sono spariti i ragazzi più grandi. C’è solo lei con la sua determinazione e la sua forza.

      E, all’improvviso, l’albero di Natale dei suo sogni che le piomba addosso, graffiandole mani e viso e colpendole la testa.

      Ma ce l’hanno fatta. I fratelli Nolan non sono crollati sotto tutto quel peso e sono riusciti a ottenere l’albero di Natale più bello e più grosso di tutta la città.

      Ancora non ci credono, eppure è proprio così, lo stanno trascinando lungo la strada, lo stanno davvero portando a casa!

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      E chi se ne frega se c’è quel ragazzo che salta sui rami e si fa trascinare rendendo il trasporto più faticoso, chi se ne frega del dolore alla testa, dei graffi, del sangue che cola.

      L’unica cosa che conta è che i Nolan, questo Natale, avranno il loro albero grande, grosso, enorme, che spargerà i suoi aghi sul pavimento della piccola stanza e inonderà la mattina del 25 dicembre con il suo profumo di resina e di bosco.

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      Questa storia è solo un pezzo di quello che succede a Francie e Neeley il giorno di Natale, è la parte più dolce e più bella, perché i Nolan sono una famiglia povera e in questo giorno speciale, nonostante sia un giorno di festa, non si permettono di vivere spensierati e dimentichi delle loro sfortune.

      La famiglia Nolan è la protagonista di quel magnifico libro che è Un albero cresce a Brooklyn di Betty Smith che, se non conoscete, è il caso che vi procuriate il più presto possibile.

      Non è un libro facile e con il lieto fine, è un romanzo duro, come tutti quelli che parlano di miseria e povertà e di un riscatto sociale che tarda ad arrivare, ma è una storia bellissima proprio per questo e che riporta a galla quel sogno americano che, ahimè, gli americani stessi si sono dimenticati di sognare.

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      Buon Natale cari amici e che il 2016 sia magnifico e ricco di tutto ciò che più vorreste trovare sotto l’albero.

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      Posted in Letteratura e dintorni | 6 Comments | Tagged #AvventoLetterario, Betty Smith, Francesca Baro, Il Calendario dell'Avvento Letterario, Il Club dei Libri, Letteratura americana, Natale a New York, Neri Pozza, NYC, Un albero cresce a Brooklyn, Xmas is all around
    • Il Calendario dell’Avvento Letterario#11: Holden Caulfield torna a casa per Natale

      Posted at 11:50 am12 by ophelinhap, on December 11, 2015

      bannervale

      Questa casella è scritta e aperta da Laura di Il tè tostato, alla quale facciamo tanti tanti auguri di buon compleanno 😉

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      “Vi racconterò giusto la roba da matti che mi è capitata sotto Natale, prima di ritrovarmi così a pezzi che poi sono dovuto venire qui a stare un po’ tranquillo”
      (Il giovane Holden, trad. Matteo Colombo)

      Il giovane Holden: il romanzo sulla guerra che mai la nomina. Il racconto del disagio che viene da un procurato dolore dell’anima, che per essere scritto e sentito portò il proprio autore in Normandia nel D-Day. Holden sbarcò a Utah Beach il 6 giugno 1944 sotto forma di sei capitoli, che avrebbero dovuto portare fortuna a Salinger e lo avrebbero spinto a tornare a casa per essere conclusi. Il misterioso libro in mano ad assassini e psicopatici, con quel titolo intraducibile, The catcher in the Rye, pieno d’America, di un autore semi-eremita, di solitudine e di bisogno di ritorno.
      Il mio libro preferito, il mio personaggio preferito, l’unico romanzo che posso aprire a caso e iniziare a leggere come se lo avessi appoggiato sul comodino poche ore prima, una magia rarissima e immediatamente annunciata, perché dalla prima pagina si legge di ciò che capita a Holden Caulfield nei pochi giorni che precedono il Natale, presumibilmente quello del 1949, a New York, la sua città.

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      E si sa che prima di Natale le emozioni si acuiscono, le antenne dei sentimenti si accendono insieme alle lucine degli addobbi. Holden è stato espulso dalla sua scuola, non sarà riammesso dopo le vacanze e allora se ne va prima, non dicendo nulla ai suoi genitori. Torna in città, ma senza poter andare a casa, vagabondando tra sé e sé e sui marciapiedi che conosce così bene. Holden si trova in un limbo tra la Pencey, la sua scuola, e il non esserne più uno studente, tra dove dovrebbe essere e dove dovrebbe andare, incastrato tra persone che non stima – la maggior parte dei suoi compagni, dei suoi professori – e il bisogno di non essere solo, le persone che ama, ma che non può raggiungere – la sua famiglia – e il pensiero di andarsene da tutto.
      E lì, incastrato nel limbo dei giorni di attesa, prima di poter tornare per Natale, immerso nella sua città che diventa un non luogo dell’anima – quello in cui attende, circondato dalla solitudine che prova a colmare con le mille comparse che incontra e coinvolge nella sua vita – Holden è fermo e aspetta che passino i giorni che lo dividono dal Natale, quando potrà tornare a casa; perché è questo che si fa a Natale, si torna a casa.  Holden è un bisognoso e non solo di amore, ma di autenticità e concretezza: lui nota i sorrisi che gli sembrano venire da dentro, i movimenti, le voci e le parole che gli sono rivolte, ha bisogno di corrispondenza tra ciò che viene detto e ciò che appare, cerca di avvicinarsi davvero alle persone e ne rimane ogni volta più deluso. Così, a sedici anni, vive nel ricordo del fratello Allie, che non c’è più, ma era reale; nel sogno di avere accanto la sua amica Jane, perché lei è diversa, non è come le altre, e nell’incapacità di essere confortato, se non dalla sua sorellina Phoebe. Holden è uno smarrito che ha bisogno di fare ritorno e non c’è momento più emblematico dei giorni dell’avvento perché quel bisogno si acuisca e il ritorno avvenga.

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      Posted in Letteratura e dintorni | 4 Comments | Tagged #AvventoLetterario, Holden Caulfield, Il Calendario dell'Avvento Letterario, Il giovane Holden, Il tè tostato, Laura Ganzetti, Letteratura americana, Matteo Colombo, Natale a New York, The Catcher in the Rye
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