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  • Tag: Mario Soldati

    • Il Calendario dell’Avvento Letterario #12: Merry Christmas, Joan Didion

      Posted at 11:50 am12 by ophelinhap, on December 12, 2016

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      Questa casella è scritta e aperta da Nellie di Just Another Point

      Joan Didion and John Gregory Dunne, Trancas, California, March 1972

      Caro Babbo Natale,

      Ti scrivo mentre sono nella Miami degli anni Ottanta, mentre voglio lottare per un bene comune che non si trova mai, figuriamoci quando di mezzo ci sono ricconi e affari da infiniti zeri. Ti scrivo dall’ennesima città che non ho mai visitato, dall’ennesima parte di America che lei, la mia scrittrice del cuore, ha descritto con tanto fervore da rimanermi impressa nel cuore e nella mente come se fossi stata davvero lì, al suo fianco, a discutere di società e architettura come facce della stessa medaglia.

      Il fatto è che, caro Babbo Natale, per questo 25 dicembre voglio un regalo speciale, specialissimo, perché la lista di libri e fumetti che troverai qua sotto non è per me ma per la donna più speciale che ha reso questi ultimi due anni più belli, più veri, più vissuti. Lei si chiama Joan Didion ed è forse la donna più magnifica che io abbia mai letto.Se il colpo di fulmine è avvenuto con Prendila così, l’amore è sbocciato con le raccolte dei suoi scritti giornalistici, quelli che si trovano in Verso Betlemme. Scritti 1961-1968 e The White Album e che raccontano gli anni Sessanta e Settanta di una Joan Didion sempre presente in ciò che narra, di una penna che sembra una bambina curiosa che non sa resistere al desiderio di voler sondare tutti i terreni, dalla politica alla cultura passando alle infrastrutture e alle città che visita e vive nella sua vita, dalla Sacramento abbandonata in gioventù, alla New York degli anni più vividi.

      A Joan Didion, sempre in balia di quel dilemma casa o non casa, tornare o restare, vorrei, caro Babbo Natale, che tu le regalassi Anche noi l’America di Cristina Henríquez, un libro che ha come protagonisti solo personaggi forti e coraggiosi, dei cuor di leone che inseguono il proprio sogno americano senza timore, senza spaventarsi del cambiamento e della difficoltà di inserirsi in una realtà diversa dalla propria. La Joan Didion che ha studiato e analizzato Miami nell’omonimo romanzo l’apprezzerebbe molto.

      Vorrei poi, caro Babbo Natale, che tu regalassi a Joan Didion quella bellezza infinita di America primo amore di Mario Soldati (Sellerio) perché vorrei ricordarle che il suo paese è un posto stupendo e la sua paura di viverlo pure, che partire è facile ma tornare non lo è mai e chi più di un esule obbligato come Soldati può raccontarglielo?

      Ma un grande viaggio intrapreso sui vent’anni, un’emigrazione interrotta, conferisce al paese straniero che abbiamo abbandonato una lontananza religiosa, un’estraneità piena di stupori. E di viaggi ne sa anche Cyril Pedrosa che con le linee ingarbugliate del suo Portugal (Bao Publishing) ci trascina in un viaggio che è soprattutto una crescita interiore, il desiderio di scoprirsi che è lo stesso di Joan Didion, di lei, così insicura, tanto da ricevere, come regalo di compleanno da parte di suo marito, John Gregory Dunne, la lettura di un passaggio di un suo romanzo senza sapere, poi, che quello sarebbe stato l’ultimo dono del compagno di una vita intera. Un presagio, forse, che lascerà ceneri dalle quali nascerà L’anno del pensiero magico, un inno al dolore da far perdere al lettore qualsiasi riferimento alla realtà e il desiderio di sedersi al fianco di Joan Didion, senza necessariamente stringerle la mano perché a volte è sufficiente la presenza, sapere che qualcuno, anche se non lo si vede, è proprio lì.

      Perché insomma, scrittrice, giornalista e saggista: lei è davvero tutto. Joan Didion è la donna che origlia conversazioni e le trasforma in riflessioni, è la voce che non si stanca di parlare, è la bellezza della scrittura che vuole sempre crescere e migliorarsi senza mai scordare di indagare le emozioni per trasformare le parole in mondi intensi ma spesso anche laceranti. A lei, così attaccata alla vita, vorrei che tu, Babbo Natale, regalassi anche Bisogno di libertà di Björn Larsson (Iperborea), un saggio – biografia che è una continua lode alla ricerca della propria felicità perché chissà se anche Joan Didion, in tutti questi anni in cui si è costruita quella corazza incredibile, non abbia sognato, ogni tanto, di naufragare lontano da tutto.

      Caro Babbo Natale, nel 2017 Joan Didion porterà nelle librerie un nuovo capolavoro. Io lo so che sarà meraviglioso e per questo ti chiedo di lasciarle anche un poco di biscotti e soprattutto tanto gelato, che scrivere è faticoso e gli zuccheri non sono mai abbastanza. Non dirle che sono da parte mia, dille che è solo un piccolo grazie per quelle infinite parole che mi lasciano senza fiato ogni volta che apro un suo libro e che mi fanno sognare e mi convincono ogni giorno a continuare a provare e riprovare a inseguire i miei sogni.

      Merry Christmas, Joan Didion.

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      Posted in Letteratura e dintorni | 1 Comment | Tagged America Primo Amore, Anche noi l'America, Bisogno di Libertà, Björn Larsson, Cristina Henríquez, Cyril Pedrosa, Iperborea, Joan Didion, John Gregory Dunne, Just Another Point, Mario Soldati, Nellie Airoldi, Portugal (Bao Publishing), Prendila Così, Sellerio, The White Album, Verso Betlemme
    • Un’ora con…Nellie Airoldi di Just Another Point

      Posted at 11:50 am09 by ophelinhap, on September 20, 2016

      Nellie è un’altra voce che mi sento di raccomandare senza alcuna esitazione: fresca, spontanea, brillante, innamorata delle verdi colline d’Irlanda, lettrice onnivora con il dono dell’ubiquità (la trovate sul blog, su Finzioni Magazine, su Salt Editions e mille altri posti ancora). Se a tutto ciò aggiungete i suoi ottimi gusti in fatto di musica e serie TV, avrete tredici buone ragioni (per parafrasare il tormentone di Zucchero) per correre a scoprirla.

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      1) Just another point: come e perché?

      Just Another Point è stata una di quelle che si chiamano scelte di vita sotto la doccia. Era il 25 marzo 2013 ed ero dottoressa in Beni Culturali da meno di una settimana quando avevo cominciato a capire che tutto quello che mi passava per la testa non lo volevo più condividere solo con i miei taccuini, e quindi un po’ per noia (la disoccupazione già mi stava stretta) e un po’ per divertimento (scrivere è un immenso piacere) ho deciso di aprire uno spazio tutto mio dove poter raccontare ciò che mi stava accadendo, ovvero il fortissimo bisogno di mettermi in gioco e pubblicare online ciò che fino a quel momento avevo fatto solo fra me e me. Il nome del blog, poi, è stata una scelta naturale in quanto il mio è semplicemente un altro dei tanti punti di vista che si trovano sul web e che negli ultimi anni sono nati e cresciuti sempre più. Anche io, però, volevo dire la mia.

       

      2) Chi c’è dietro Just another point?

      Nellie, tanta confusione ma soprattutto tanta curiosità in tutto ciò che sta nero su bianco,  soprattutto perché spero sempre di trovare fra le righe la risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l’universo e tutto quanto, che sostanzialmente è 42 ma a me i numeri non sono mai piaciuti.

       

      3) Il tuo scaffale d’oro

      Nel mio scaffale d’oro ci sono 3 fumetti ogni 8 libri. Le storie disegnate, come quelle scritte, sono una fonte inestimabile di stimoli e proprio non riesco a rinunciarvi. Nel mio scaffale d’oro, quindi, c’è Asterios Polyp che amo infinitamente ed è il primo graphic novel che mi ha fatto innamorare. A fianco c’è Joan Didion che se la racconta con Calvino e di quella meraviglia che è Se una notte d’inverno un viaggiatore. C’è poi Mario Soldati, America Primo Amore è forse diventato uno dei miei libri preferiti, ma una vera lettrice sa di doversi tener pronta ad accettare l’arrivo di un altro capolavoro che si metterà fra i piedi come ha fatto Elizabeth Strout con Olive Kitteridge, Elena Ferrante con la sua quadrilogia, Paco Roca con la dolcezza di Rughe, Ágota Kristóf con La Trilogia di K. Insomma, lo scaffale d’oro è una vera e propria dimensione a sé stante sempre pronta a ingigantirsi e inglobare libri belli.

       

      4) Un personaggio in cui ti immedesimi particolarmente

      Questa è veramente difficile. Quando lessi Nessuno Scompare Davvero mi ritrovai molto nelle parole di Elyria (“..e anzi alcune mattine, pur essendo me stessa, vorrei comunque essere una cosa che fugge lontano da me piuttosto che quella cosa cucita dentro di me per sempre”) eppure il bello di leggere è trovare la frase giusta al momento giusto quindi capita spesso di ritrovarmi nella parole di quella che magari è l’unica battuta triste di un personaggio protagonista di un libro comico. Vorrei però raccontarti un passaggio de L’anno del pensiero magico di Joan Didion e svelarti qual è la mia idea di felicità e quella che un giorno vorrei tanto provare.

       

      Il libro che aveva in mano era uno dei miei romanzi (..).

      La sequenza che lesse ad alta voce era (..) complicata (..). “Accidenti” mi disse John quando chiuse il libro. “Non venirmi mai più a raccontare che non sai scrivere. Ecco il mio dono per il tuo compleanno.”

      Ricordo che mi vennero le lacrime agli occhi.

      Le sento ancor oggi.

      Retrospettivamente, questo era stato il mio presagio, il mio messaggio, la prima nevicata, il regalo per il mio compleanno che nessun altro avrebbe potuto farmi.

       

      5) Se il tuo blog fosse una canzone..

      Una canzone di quelle che si ascoltano in treno a volume basso mentre ci si perde nel paesaggio guardando dal finestrino del treno. Potrebbe essere Holland Road dei Mumford & Sons anche se in realtà in queste settimane sto ascoltando tantissimo Free Stuff di Edward Sharpe & the Magnetic Zeros e forse sì, potrebbe essere il mio blog trasformato in canzone.

       

      6) Il tuo rapporto con la scrittura/con la lettura

      Leggere è da anni una necessità. Ci sono mattine che il treno è talmente pieno che non riesco nemmeno a togliere il libro dallo zainetto: passare un’ora della giornata in piedi fra gente che parla dei fatti propri senza poter nuotare tra le parole mi uccide realmente. Con il tempo anche scrivere è diventato essenziale quanto la lettura, una logica conseguenza di un processo che è cominciato con il giornalino di famiglia quando ero bambina e che è cresciuto con i numerosi taccuini che si sono alternati durante gli anni delle superiori ma soprattutto dell’università. Ancora oggi non esco di casa senza un quadernetto nello zaino e una penna blu.

       

      7) Progetti in cantiere

      Scrivere scrivere scrivere! Da diversi anni collaboro con diversi magazine online, sono tutte collaborazioni che prendono il mio tempo libero ma lo faccio con molto piacere. È ciò che amo fare e non smetterò mai di crederci.

      Posted in Guestpost e interviste | 8 Comments | Tagged America Primo Amore, Ágota Kristóf, bookblogger, Catherine Lacey, Elena Ferrante, Elizabeth Strout, Finzioni Magazine, Italo Calvino, Joan Didion, Just Another Point, L'anno del pensiero magico, Mario Soldati, Nellie Airoldi, Nessuno Scompare Davvero, Olive Kitteridge, Paco Roca, Salt Editions, se una notte d'inverno un viaggiatore, Trilogia di K., un'ora con, vita da blogger
    • Non siamo mai veramente pronti a dire addio: New York Stories

      Posted at 11:50 am03 by ophelinhap, on March 8, 2016
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      Grazia a Laura per il graditissimo regalo

       

      New York è senza alcun dubbio la città più difficile da raccontare.

      Prima di esistere in quanto città, in quanto microcosmo reale e tangibile affollato da milioni di vite, incroci di strade, grattacieli e taxi gialli, esiste per ognuno di noi come mito.

      New York è una vera e propria creatura mitologica, alimentata da secoli di letteratura e da decenni di tradizione cinematografica: c’è chi ci va convinto di incontrare qualcuno nell’osservatorio dell’Empire State Building, ritrovare un numero di telefono dentro una copia di Cent’anni di solitudine in una bancarella, sentirsi spiegare il significato di Auld Lang Sine la notte di Capodanno da un Harry che è corso a piedi dalla sua Sally, perché quando capisci di amare qualcuno, eccetera.

      C’è chi arriva convinto di trovarvi party stratosferici e la mistica luce verde di Gatsby, gli insopportabili brooklynite dell’altrettanto insopportabile Nathaniel P, Holly Golightly che cura i suoi mean reds tra vodka e colazioni da Tiffany. Ognuno di noi arriva a New York per trovare qualcosa: l’ispirazione per scrivere una storia, una mini-fuga dalla realtà, l’amore, quel senso di infinita possibilità che probabilmente esiste da nessun’altra parte – non nello stesso modo, non nella stessa misura.

      Per qualcun altro, come il capitano Paolo Cognetti, New York è una finestra senza tende: New York Stories, l’antologia di racconti che ha curato per Einaudi, è un tentativo di ripulire i vetri di questa finestra, di ricostruirne l’essenza mitologica attraverso i decenni e attraverso ventidue voci, da Fitzgerald a Yates, da Dorothy Parker a Mario Soldati, da Don DeLillo a Joan Didion.

      Questo viaggio è funzionale a uno scopo ben preciso: decostruire il mito, eliminare stucchi ed orpelli e restituire al lettore New York come città. Una città che ha significato qualcosa di diverso per ciascuno degli scrittori interpellati, a cui ha dato o ha tolto in modi e misure diverse, quasi come se New York fosse una sorta di dea bendata e agisse secondo il capriccio del momento.

      Una cosa è certa: nessuna di queste voci è uscita indenne dall’incontro con New York. La città cambia le persone, le persone cambiano la città: c’è chi si perde, chi si ritrova, chi la ripercorre palmo a palmo per ritrovare brandelli di passato, chi la seduce e chi ne è sedotto, chi scappa e chi rimane. Quasi tutti approdano a New York inseguendo un sogno: un sogno che, realizzato o meno, viene comunque modificato dall’impatto con la città. Una città che è pronta anche ad essere un’amante incostante e infedele e a dispensare cocenti delusioni.

      Una delle definizioni più belle dell’incontro con New York è quella di Pier Paolo Pasolini all’interno del racconto di Oriana Fallaci, Un marxista a New York:

       

      “Questa è la cosa più bella che ho visto nella mia vita. Questa è una cosa che non dimenticherò finché vivo. Devo tornare, devo stare qui anche se non ho più diciott’anni. Quanto mi dispiace partire, mi sento derubato. Mi sento come un bambino di fronte a una torta tutta da mangiare, una torta di tanti strati, e il bambino non sa quale strato gli piacerà di più, sa solo che lo vuole, che deve mangiarli tutti. Uno a uno. E, nello stesso momento in cui sta per addentare la torta, gliela portano via”.

       

      New York è la giostra più grande e più bella della festa di paese, quella a cui tutti i bambini ambiscono, che abbiano la monetina per pagare il giro o no. Diventa insieme una sfida e una promessa: prima o poi ci salirò, prima o poi ci tornerò. E quel primo giro può risultare in un amore a prima vista o in una delusione completa, ma può anche far girare la testa, come nel mio caso.

      La prima volta che sono stata a New York non sapevo da che parte guardare, per paura che mi sfuggisse un angolo, una prospettiva, una storia. La mia idea di New York conviveva con così tanti miti, illusioni, fantasie, descrizioni che mi sono sentita persa dentro un cuore che pulsava troppo veloce, come se tutto fosse troppo. C’è voluta una seconda volta, libera di aspettative e con in mente Bei tempi addio di Joan Didion (contenuto nella raccolta), per smettere di cercare di trovarvi quel tutto che mi immaginavo contenesse, smettere di cercare di capirla o analizzarla e lasciarmi semplicemente penetrare dalla bellezza delle sue infinite possibilità, come suggerisce appunto la Didion:

      “…ero innamorata di New York. E non è un modo di dire: ero davvero innamorata della città, la amavo come si ama la prima persona che ti tocca e come non amerai più nessun altro. (…) Credevo ancora nelle possibilità allora, avevo la sensazione, così caratteristica di New York, che da un momento all’altro potesse succedere qualcosa di straordinario, da un giorno all’altro, da un mese all’altro.”

       

      C’è poi la questione degli addii. Che sia una cosa voluta o un’imposizione del destino, dire addio a New York, come cantano anche i REM, non sembra essere cosa facile, né indolore.

       

      Probabilmente per questo la voce che ho amato di più all’interno di quest’antologia (come mi succede ogni volta nel caso di antologie di poesie o di racconti, anche in New York stories ho ritrovato voci che amo, scoperto voci nuove che mi hanno colpito tantissimo e sono stata delusa da voci che mi hanno lasciato del tutto indifferente) è quella di Colson Whitehead nel racconto di chiusura, Limiti cittadini. Ognuno ha la sua versione di New York, necessariamente diversa da tutte le altre perché è una città che conosce un’evoluzione continua, un cambiamento così veloce che è impossibile bagnarsi due volte nelle stesse acque; le sue strade, le sue case, i suoi palazzi, i suoi esercizi commerciali sono disseminati delle versioni di noi che li hanno percorsi e abitati. Dire addio a una lavanderia, a un ristorante cinese, a un appartamento significa dire addio alla versione di noi che lì si è innamorata, ha sofferto, ha festeggiato, ha vissuto.

       

      “Non siamo mai veramente pronti a dire addio. Era il tuo ultimo viaggio su un taxi Checker e non lo sospettavi nemmeno. Era l’ultima volta che ordinavi i gamberetti del lago Tung Ting in quel ristorante cinese un po’ equivoco e non ne avevi idea. Se lo avessi saputo, forse, saresti andato dietro al banco a stringere le mani a tutti, avresti tirato fuori la macchina fotografica usa e getta e messo tutti in posa. Invece non ne avevi idea. Ci sono momenti inaspettati di ribaltamento, occasioni in cui, aprendo la porta di un appartamento, eri più vicino all’ultima volta che alla prima, e non lo sapevi nemmeno. Non sapevi che a ogni passaggio da quella soglia ti stavi congedando.”

       

      Soundtrack: Leaving New York, REM (It’s easier to leave than to be left behind
      Leaving was never my proud
      Leaving New York, never easy
      I saw the light fading out…)

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      Posted in Letteratura americana, Ophelinha legge | 10 Comments | Tagged Adelle Waldman, Amori e disamori di Nathaniel P., Bei tempi addio, Cent'anni di solitudine, Colson Whitehead, Don DeLillo, Dorothy Parker, Einaudi editore, Empire State Building, Francis Scott Fitzgerald, Goodbye to all that, Harry ti presento Sally, Holly Golightly, Joan Didion, Leaving New York, Limiti cittadini, Mario Soldati, mean reds, New York, New York Stories, non sono brava a dire addio, Oriana Fallaci, Paolo Cognetti, Pier Paolo Pasolini, REM, Richard Yates, The Great Gatsby, Truman Capote, Turismo letterario, Un marxista a New York
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