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    • Cartoline da Londra: tè letterari, Harry Potter, librerie bellissime e tanto amore

      Posted at 11:50 am05 by ophelinhap, on May 2, 2018

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      Per chi mi conosce o mi legge da più di cinque minuti, non è un mistero: Londra è il mio posto preferito al mondo. Ci ho vissuto quando ero ancora una studentessa e poi appena laureata: per me, la capitale del Regno Unito è il simbolo, decadente e romanzato, di tutti quei sogni che sono stati a punto di realizzarsi ma non ce l’hanno fatta, di quelli andati a male e di quelli che aspettano speranzosi nel cassetto, chiedendo a gran voce una possibilità.

      Cerco di andare a Londra almeno una, due volte all’anno: quando vivevo a Bruxelles era molto più semplice grazie all’Eurostar, da Lussemburgo è un po’ più complicato, ma nessun ostacolo riuscirebbe a trattenermi dall’andare ad abbracciare gli amici, barcamenarmi tra mostre, musical e mercatini e rilassarmi con l’immancabile rituale dell’afternoon tea.

      A questo giro, si è trattato di un tè davvero speciale: quello offerto dal Charlotte Street Hotel e ispirato al Bloomsbury group, un rivoluzionario circolo artistico e letterario degli anni Venti che annovera tra i suoi membri Virginia e Leonard Woolf, Vanessa e Clive Bell, E. M. Forster e l’economista John Maynard Keynes.

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      I membri del Bloomsbury group si contraddistinguono per la creatività e il desiderio di cambiamento e innovazione, per la libertà e l’irriverenza. Vivono nell’area intorno a Charlotte Street, dove si incontrano per discutere ed esprimere la loro ribellione nei confronti dei soffocanti costumi vittoriani, tanto che si dice che vivessero in quadrati, dipingessero in circonferenze e amassero in triangoli.

      Gli interni del Charlotte Street Hotel sono stati fortemente influenzati dagli illustri vicini; l’hotel ospita capolavori originali di Vanessa Bell, Roger Fry e Duncan Grant.

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      Per i membri del Bloomsbury, sedersi a tavola a mangiare tutti insieme è un momento unico e irrinunciabile di condivisione e dialogo; le ricette ricreate dagli chef del Charlotte Street Hotel sono state ispirate da ‘The Bloomsbury Cookbook – Recipes for Life, Love and Art’ di Jans Ondantje Rolls.

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      Nessuna passeggiata londinese che si rispetti sarebbe completa senza una tappa potteriana: questa volta è toccato a House of Minalima, negozio-museo dei graphic designer Eduardo Lima and Miraphora Mina, che hanno dato vita alle grafiche e ai prop dei film di Harry Potter e sono poi passati alla saga di Fantastic Beast. Il negozio-museo è situato in un adorabile, fatiscente edificio che non sarebbe affatto fuori posto a Diagon Alley.

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      Il terzo piano è un tuffo nella New York degli anni Venti e ospita illustrazioni, riproduzioni e stampe dal magico mondo di Fantastic Beasts and Where to Find Them; il primo e il secondo piano ospitano invece una mostra dedicata a Harry Potter e all’incredibile universo di Hogwarts.

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      Il piano terra ospita il negozio vero e proprio, dove ho potuto ammirare dei fantastici libri di favole pop up (i miei preferiti sono La Bella e la Bestia e La Sirenetta).

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      Ovviamente, le librerie. Londra ne ha tante, di tutti i tipi, da quelle di settore a quelle di seconda mano, da quelle estremamente curate a quelle piccole e polverose, da quelle che hanno ispirato film celebri (Notting Hill, anyone?) alle piccole opere d’arte, come Daunt Books a Marylebone.

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      Lo ammetto: il mio sguardo su Londra è quello di una persona innamorata e leggermente ubriaca, che inforca i suoi occhiali rosa e imposta il filtro ‘ricordi più belli’. Mi rendo conto che sia del tutto irrazionale, ma Londra mi fa battere il cuore, arrossire e perdere la testa, facendomi sentire viva, vitale, piena di speranze e possibilità. È una storia d’amore che dura da quasi vent’anni, e che è difficile da spiegare e da condividere: dopotutto, quella che vedo, quella che amo è la mia Londra, mia e di nessuno. Ho provato a spiegarlo qualche anno fa in questi versi, ma non so se ci sono riuscita: le cose più belle, più intime e personali sono le più difficili da condividere.

      My London would never be your London, you said,

      because you never fell in love in the city, with the city;

      let me set this straight

      the city

      as seen through your eyes

      was the city

      seen for the first time

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      Per saperne di più sul Bloomsbury group:

      • Adorata creatura. Le lettere di Vita Sackville a Virginia Woolf
      • Una stanza tutta per sé

      Per sbirciare nella mia collezione di cartoline:

      • Cartoline da Parigi: la libreria Shakespeare and company
      • Cartoline da New York: passeggiate letterarie
      • Cartoline dallo Hampshire, tra i luoghi di Jane Austen
      • Cartoline da Riga: il Globuss bookstore
      • Cartoline da Lisbona: a casa di Fernando Pessoa per il suo compleanno

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      Posted in Cartoline | 7 Comments | Tagged Anglofilia, Bloomsbury group, Daunt Books, Harry Potter, House of Minalima, Leonard Woolf, Librerie bellissime, London, Turismo letterario, Virginia Woolf
    • Un anno senza Leonard Cohen

      Posted at 11:50 am11 by ophelinhap, on November 7, 2017

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      And what can I tell you my brother, my killer

      What can I possibly say?

      I guess that I miss you, I guess I forgive you

      I’m glad you stood in my way

      (Famous Blue Raincoat, Songs of Love and Hate, 1971)

      Le mancanze funzionano in modo strano: si può cercare di evitarle e riuscire ad andare avanti con la propria routine per giorni, settimane, mesi. Basta però un dettaglio – una parola, un sapore, un sogno, un déjà-vu, un odore – a cancellare mesi di paziente rassegnazione e a riportare la parte lesa (lesa perché offesa, zoppicante perché è inciampata nel dosso della perdita, gonfia per un livido insanabile nell’anima, spaventata come una lumaca senza guscio o una lucertola senza coda) nel mezzo di quello sbandamento causato dal senso di perdita.

      Il primo segno tangibile del fatto che tu non ci fossi più per davvero è arrivato solo alla fine di settembre. Nei mesi precedenti ho semplicemente fatto finta che fossi lontano ma ancora presente, come quando rompi con qualcuno che vive all’estero: la distanza cancella il fatto che l’altra persona non ti ami più e non ci sia più nella tua vita di tutti i giorni, ad augurarti il buongiorno con una foto stupida e farti vedere su Facetime se i pantaloni che ha comprato gli cadono bene.

      Settembre è però il mese del tuo compleanno (era? E l’incompiutezza del congiuntivo diventa una vertigine). Nel 2014, subito dopo il tuo ottantesimo compleanno, hai rilasciato Popular problems, incantandomi ancora una volta con la struggente malinconia di My Oh My e Did I ever love you e con la sardonica autoironia di Slow (Let me catch my breath/ I thought we had all night/ I like to take my time/ I like to linger as it flies/ A weekend on your lips/ A lifetime in your eyes…)

      L’anno scorso hai festeggiato il tuo ottantaduesimo compleanno rilasciando il singolo You want it darker, solenne e cupa esplorazione della dimensione religiosa dell’animo umano; una canzone che ho dovuto ascoltare un paio di volte per evitare di farmi avvolgere dalla sua oscurità, appiccicosa come la melassa (If you are the dealer, let me out of the game/ If you are the healer, I’m broken and lame/ If thine is the glory, mine must be the shame/ You want it darker/ Hineni, hineni/ Hineni, hineni/ I’m ready, My Lord). Il singolo lasciava presagire quello che sarebbe stato il tono dell’album, uscito appena due settimane prima di quel 7 novembre: l’accorato, appassionato commiato di qualcuno che ha amato, ha lottato, ha sbagliato, ha vissuto a pieno ed è pronto ad alzarsi dal tavolo e ad andarsene (I don’t need a reason/ For what I became/ I’ve got these excuses/ They’re tired and lame/ I don’t need a pardon, no, no, no, no, no/ There’s no one left to blame/ I’m leaving the table/ I’m out of the game).

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      Quest’anno settembre è arrivato ed è passato in silenzio, senza una nuova canzone, senza un nuovo album, e ho finalmente realizzato, e la mancanza è esplosa come una pentola a pressione il cui coperchio sia stato aperto troppo presto.

      Quel fatidico 11 novembre, quando la tua famiglia ha annunciato che te n’eri andato quattro giorni prima, mi ero appena svegliata e stavo per fare colazione quando, disattivando la modalità aereo che segna la linea di separazione notturna tra me e il mio Iphone, ho trovato il messaggio di mia madre con la notizia. È stata una giornata paradossale, durante la quale ho appreso di non aver ottenuto il lavoro che volevo con tutta me stessa e di averne ottenuto un altro che desideravo molto di meno. Per settimane non ho smesso di ascoltare ossessivamente You want it darker, cercando un significato nascosto, un messaggio nella bottiglia lasciato solo per me, in un momento in cui mi sentivo persa e scoraggiata e sola. Non l’ho trovato e, dopo le prime settimane, non sono riuscita ad ascoltare nessuna delle tue canzoni, per mesi.

      Can’t seem to loosen my grip

      On the past

      And I miss you so much

      There’s no one in sight

      And we’re still making love

      In my secret life

      (In my secret life, Ten new songs, 2001) 

      Nei mesi successive, dopo il trasferimento, dopo i primi mesi di giornate lavorative confuse e lunghissime, sei tornato nella mia vita di tutti i giorni naturalmente, come l’aria, con le tue poesie e con le tue canzoni, nelle parole dei vari fan group su Facebook a te dedicati e sempre pieni di notizie e chiavi d’interpretazione interessanti. Non ci sarà mai più una nuova canzone, è vero, ma non hai smesso di riservarci soprese: prima fra tutte, il concerto commemorativo che si terrà a Montreal a un anno dalla tua morte, Tower of song, con la partecipazione di tuo figlio Adam, The Lumineers, Damien Rice, Sting, Elvis Costello e Lana del Rey, tanto per citare alcuni dei miei preferiti.

      But you’ll be hearing from me baby, long after I’m gone.

      I’ll be speaking to you sweetly from a window in the Tower of Song

      (Tower of Song, I’m Your Man, 1988)

      Tower-of-Song-Poster-608x900

      Nelle tue istruzioni ad Adam, hai chiesto di essere sepolto in una bara di pino vicino ai tuoi genitori. Hai chiesto un funerale ristretto, sobrio, a Los Angeles. Infine, hai specificato che un eventuale tributo pubblico si sarebbe dovuto tenere nella tua Montreal. E hai lanciato nell’immenso mare dell’ignoto ancora un’altra bottiglia: un libro, The Flame, il capitolo finale della tua carriera letteraria, una raccolta di poesie edite ed inedite, selezionate e ordinate nei mesi prima che te ne andassi. La raccolta verrà pubblicata l’anno prossimo, ad ottobre, ingannando così gli appuntamenti autunnali a cui non ti presenterai più, espandendo la geografia dell’attesa.

      Anch’io ho ricevuto la mia bottiglia, il mio messaggio personale. Un paio di giorni fa ero a Londra, la mia città del cuore, con la mia persona preferita. Avevo da poco rivisto una delle mie migliori amiche e mangiato i dumpling più buoni della storia a Chinatown. Uscita dal ristorante, sono stata avvolta dalle luci, dalle voci e dall’incessante, rassicurante movimento di una città che non dorme e non si ferma mai, e dalla dolcezza di note conosciute. Nel mezzo di Chinatown, con in mano un gelato al tè matcha avvolto nel waffle (conoscete Bubblewrap? Se passate da Londra provatevelo, non ve ne pentirete), ho ascoltato una bellissima cover di Hallelujah, avvolgente come una coperta nel freddo pungente di una serata novembrina; una cover così appassionata e sentita da aver lasciato gli spettatori in lacrime. E lì, in quel momento perfetto, era contenuto il nostro arrivederci. So long, Leonard.

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      Posted in Ophelinha scrive | 3 Comments | Tagged a thousand kisses deep, famous blue raincoat, Leonard Cohen, London, Londra, musica che amo, Poetry, tower of song, You want it darker
    • I heart London

      Posted at 11:50 pm07 by ophelinhap, on July 18, 2012
      And if a double-decker bus crashes into us
      To die by your side is such a heavenly way to die
      And if a ten ton truck kills the both of us
      To die by your side, well, the pleasure and the privilege is mine

      There is a light that never goes out
      There is a light that never goes out
      There is a light that never goes out
      

      Sunset on River Thames. July 2012

      Anche quest’anno è giunto – e passato – il momento del mio pellegrinaggio autunnale nella città che, sola tra tutte, considero casa mia, per quanto non ci sia nata nè cresciuta e ci abbia vissuto solo due anni, in maniera anche discontinua.
      A volte non è possibile spiegare alcune affinità elettive. Per me è stato amore a prima vista, la prima volta che ti ho vista, e questo sentimento si è rafforzato nel tempo, man mano che ho perso il senso di appartenenza al mio luogo di origine e ai posti in cui ho vissuto.
      Quindi casa mia non è la casa in cui sono nata, nè la la piel que yo habito: sei tu, Londra. Ed è per questo che vengo da te quando mi sento spaventata, quando mi sento molto triste e sola, o quando, come in questo caso, devo prendere decisioni importanti e impegnative. Perchè per me finisce un’epoca e ne inizia un’altra, e lasciarsi alle spalle il vecchio per ricominciare fa paura.
      Non potevo non venire a raccontartelo, percorrendo sotto la pioggia quelle strade che sono per me impregnate e imbevute di ricordi, di déjà-vu, di sensazioni, di sentimenti. Di amore. Di dolore, e lacrime. Di risate, di serate fuori, di persone che hanno toccato la mia vita e se ne sono andate, di persone che hanno toccato la mia vita e sono rimaste. Che hanno fatto di me una persona migliore e peggiore al tempo stesso. Semplicemente diversa.
      Vengo da te perchè so di aver perso un pezzetto di me che vive lì, tra le tue strade. Ogni volta spero di ritrovarlo e riportarlo con me, ma in fondo so che rimarrà lì perche’ appartiene a te.
      Per questo non posso fare a meno di amarti, anche sotto questa pioggerellina sottile fredda e buona, in ogni tua singola pietra e mattone, vittoriano e non.
      Per questo rimarrai sempre il mio luogo dell’anima, il mio buen ritiro, un rifugio segreto (ma nemeno tanto) dove nascondermi ogni volta che ho bisogno di parlare con me stessa. Quella vera.
      Quella tutta intera, che non si nasconde dietro maschere, ma si mette a nudo e si lascia lavare l’anima da queste lacrime di pioggia che cadono incessanti, ma leggere e gentili.
      Perche’ prima o poi, quando cammino da sola per le tue strade, quando rincorro un ricordo nascosto in un vicolo a Angel o seduto su una panchina a Hyde Park, so sempre che arriverà prima o poi, il sole.

      Posted in Ophelinha scrive | 9 Comments | Tagged Caos calmo, Confessions of a Dangerous Mind, London, Me myself and I, Ophelinha
    • If that’s all there is…let’s keep dancing

      Posted at 11:50 am03 by ophelinhap, on March 7, 2012

      Succede che un giorno ti rendi conto di esserti persa.
      Succede che ci si mette anche il destino, che trova il tempo e l’energia di tessere intorno a te una rete…e tutto ciò che leggi, tutto ciò che scrivi, la canzone partita randomly dalla tua playlist, stralci di conversazioni tra sconosciuti, ti riportano lì. A quel crocevia a cui non ti vorresti ritrovare, perchè non vuoi affrontare di nuovo tutto da capo, perchè hai paura, because you’ve screwed it already more than once.
      E poi c’è la notte, e ci sono i sogni. E lì non puoi mascherarti dietro niente, sei nuda davanti a te stessa. E capisci che non puoi continuare ad essere Ophelia di notte e qualcuno di totalmente diverso di giorno. Qualcuno che non sei tu. Che ha perso la tavolozza dei colori con i quali dipingere giornate grigie, grigie, grigie.
      Succede che continui ad essere spaventata dalla tua non-appartenenza, ma alla fine dentro di te sai qual è il tuo posto. E sai quanto è lontano, e quanta fatica ti costerebbe tornarci. Quante rinunce, quante battaglie quante concessioni. Il prezzo? Sentirsi viva, di nuovo, forse. Lo scotto? Alto, troppo.

      Face it: here’s your lost road. Davanti a te c’è il pezzo di te che hai perduto, il cammino che hai percorso e dal quale sei fuggita, lungo il quale sei caduta. Davanti a te c’è la te stessa che hai rinnegato, ma con la quale devi convivere ogni giorno. Volente o nolente.
      Qual è la tua scelta? Far finta di niente, e andare avanti con un buco dentro (ogni persona è un abisso, ti vengono le vertigini a guardarci dentro  – La tigre e la neve). O avere il coraggio di andarla a cercare, quella te stessa che ti manca. Con annessi e connessi. Con la premessa che, stavolta, se si cade di nuovo lungo the road less travelled, non ci sarà nessun Nininho a tendere la mano. Nessuno.

      Notes to self: 

      “Imparare a vivere significa accettare l’attesa, la sospensione, l’incertezza. Integrare lentamente l’idea che, nonostante tutto, il vuoto che ci portiamo dentro non potrà mai essere del tutto colmato. Che ci sarà sempre qualcosa che ci manca. E che è proprio questa assenza che caratterizza il nostro rapporto con il tempo, con lo spazio, con l’amore… E che gli altri non sono ‘cattivi’ se non sono sempre lì, pronti a intervenire, pronti a fare qualcosa perché il vuoto faccia meno male”

      Volevo essere una farfalla, Michela Marzano

      Vuoi sapere qual è la verità sul tuo conto? Sei una fifona, non hai un briciolo di coraggio, neanche quello semplice e istintivo di riconoscere che a questo mondo ci si innamora, che si deve appartenere a qualcuno, perché questa è la sola maniera di poter essere felici. Tu ti consideri uno spirito libero, un essere selvaggio e temi che qualcuno voglia rinchiuderti in una gabbia. E sai che ti dico? Che la gabbia te la sei già costruita con le tue mani ed è una gabbia dalla quale non uscirai, in qualunque parte del mondo tu cerchi di fuggire, perché non importa dove tu corra, finirai sempre per imbatterti in te stessa.

      “Fred” a Holly Golightly, Breakfast at Tiffany’s

      Here’s your lost road. Go on, face the music.

      Is that all there is, is that all there is
      If that’s all there is my friends, then let’s keep dancing
      Let’s break out the booze and have a ball
      If that’s all there is

      Is that all there is? Peggy Lee

      Preghiera in Luglio

      Mi sono persa.

      Bambina persa,

      figlia persa,

      madre persa,

      donna amante persa,

      anima persa.

      Non ci sono cammini, né sentieri.

      Nebbia.

      Fa’

      che mi perda in lui,

      che

      almeno sia

      perdermi in lui

      questo non ritrovarmi.

      Non cercatemi.

      Non ci provate.

      Prayer in July

      I got lost.

      Lost child,

      lost daughter,

      lost mother,

      lost woman lover,

      lost soul.

      No paths,

      No ways.

      Let me

      Lose myself

      In him.

      Fog.

      At least

      Let it be,

      Let me

      Lose myself in him,

      In order not to find myself.

      Do not look for me.

      Do not dare.

      (OphelinhaPequena)

      Soundtrack:

       Is that all there is?  Peggy Lee

       Unica Rosa  Ivano Fossati

       Cara  Lucio Dalla

       A waltz for a night  Julie Delpy

       For always  Lara Fabian

       Contigo en la distancia  Luis Miguel

       Quizas, quizas  Nat King Cole

      Posted in Ophelinha scrive | 12 Comments | Tagged Caos calmo, Confessions of a Dangerous Mind, London, Me myself and I, Memorie di una precaria perbene, Memories, Poetry
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