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  • Tag: Letteratura russa

    • Quando Nabokov incontrò la sua Vera

      Posted at 11:50 pm05 by ophelinhap, on May 8, 2017

      vv

      È l’otto maggio 1923. Lui è un giovane poeta ventiquattrenne in cerca di affermazione e successo, lei una ventunenne pronta a sfidare il suo destino. Lo sfondo è quello di una festa di beneficenza a uso e consumo degli émigrés di Berlino.

      La ragazza si materializza davanti al poeta. Indossando una maschera da Arlecchino, che si rifiuta di togliere, inizia a declamare i versi di una delle poesie di Nabokov, ritagliata dal giornale russo liberale Rul’ qualche mese prima e imparata a memoria. È un incontro quasi shakesperiano, che richiama il destino di altre  coppie letteraria – Pessoa si dichiara a Ofelinha usando i versi dell’Amleto; Olga Ivanskaja (eternata come Lara in Dottor Zhivago – anche se il suo ruolo di musa ispiratrice è tuttora contestato) si innamora di Pasternak attraverso le poesie di lui, dopo averlo conosciuto confessa a un’amica di aver ‘parlato con Dio’ e lo incontra ogni giorno sotto la statua di Pushkin a Mosca.

      Nabokov esce da un periodo di dolore ovattato, in cui la fine del suo primo amore si fonde con la morte del padre. Svetlana Siewert, sua promessa sposa, ha infatti rotto il fidanzamento col giovane poeta, cedendo alle pressioni della sua famiglia, dubbiosa sul futuro e sulle possibilità economiche di Nabokov come marito; il padre dello scrittore, Vladimir Dmitrievich Nabokov, avvocato, statista e giornalista, viene ucciso dal monarchico Pavel Milyukov, lasciando un vuoto incolmabile nella vita di Vladimir, e un’eco tragica e profonda nella sua poetica.

      L’incontro con Vera fende la nebbia della sua sofferenza e della sua confusione e regala a Nabokov una nuova, luminosa speranza: quella di poter essere amato, di poter essere compreso, di essere riuscito a trovare qualcuno in cui rispecchiarsi (my mirror twin, my next of kin, scriveva Leonard Cohen: mio specchio, sangue del mio sangue). Grazie a Vera, Nabokov riscopre una rinnovata fiducia nella vita e nella possibilità di essere felice. Vera diventerà non solo sua moglie e madre di suo figlio, ma sua partner in crime, sua compagna in senso più simbiotico del termine: assistente, amministratrice, autista (Nabokov ha paura di guidare), archivista, stenografa in quattro lingue diverse, bodyguard (inizia a portare una pistola nella borsetta dopo la pubblicazione di Lolita, paventando la possibilità di attentati a seguito delle tematiche scottanti presenti nel romanzo). Vera salverà anche il destino della stessa Lolita, eterna, ribelle, ineffabile ninfetta, sottraendo il romanzo dalle fiamme in cui Vladimir l’ha gettato.

      A luglio 1923, appena due mesi dopo il fatale incontro, Vladimir scrive a Vera:

      I won’t hide it: I’m so unused to being — well, understood, perhaps, — so unused to it, that in the very first minutes of our meeting I thought: this is a joke… But then… You are lovely…

      (Non posso nasconderlo: non sono abituato a essere – beh, compreso, probabilmente. Sono così poco avvezzo a questa sensazione che già durante i primi minuti del nostro incontro ho pensato: è uno scherzo. E invece… Sei adorabile…)

      vv2

      Nabokov eterna la magia dell’incontro con Vera nella poesia The encounter, un trionfo di immagini ricche di suggestioni: la notte vellutata, il profilo da lupo di Vera, le sue labbra tenere, la seduzione dei castagni. Forse una sorta di romantica pietà commuove l’innominata seduttrice, facendole intravedere il suo destino: Vera è colei che Nabokov ha tanto atteso. Il fato ha scoccato i suoi inesorabili strali, e la possibilità di soffrire aleggia come uno spettro sulla giovane coppia: il cuore del poeta esplode allora in una supplica accorata, pregando Vera che non lo lasci viaggiare da solo, ma condivida gioie e fardelli di questo nuovo, inevitabile, meraviglioso destino condiviso.

      vv4

      The Encounter (enchanted by this strange proximity)

      Longing, and mystery, and delight…
      as if from the swaying blackness
      of some slow-motion masquerade
      onto the dim bridge you came.

      And night flowed, and silent there floated
      into its satin streams
      that black mask’s wolf-like profile
      and those tender lips of yours.

      And under the chestnuts, along the canal
      you passed, luring me askance.
      What did my heart discern in you,
      how did you move me so?

      In your momentary tenderness,
      or in the changing contour of your shoulders,
      did I experience a dim sketch
      of other — irrevocable — encounters?

      Perhaps romantic pity
      led you to understand
      what had set trembling that arrow
      now piercing through my verse?

      I know nothing. Strangely
      the verse vibrates, and in it, an arrow…
      Perhaps you, still nameless, were
      the genuine, the awaited one?

      But sorrow not yet quite cried out
      perturbed our starry hour.
      Into the night returned the double fissure
      of your eyes, eyes not yet illumed.

      For long? For ever? Far off
      I wander, and strain to hear
      the movement of the stars above our encounter
      and what if you are to be my fate…

      Longing, and mystery, and delight,
      and like a distant supplication….
      My heart must travel on.
      But if you are to be my fate…

      vv3

      Posted in Frammenti di un discorso amoroso | 6 Comments | Tagged Boris Pasternak, Dottor Zivago, Fernando Pessoa, Letteratura e dintorni, Letteratura russa, Lettere d'amore, Lolita, Ofélia Queiroz, Olga Ivinskaya, Storie dietro la storia, Vera Nabokov, Vladimir Nabokov
    • Il Calendario dell’Avvento Letterario#12: le notti bianche del Natale

      Posted at 11:50 am12 by ophelinhap, on December 12, 2015

      bannervale

      Questa casella è scritta e aperta da Nellie di Just Another Point.

      Vintage Russian winter card

      A me piace molto il fantastico mondo dei Se.

      Non ho ricordo o avvenimento realmente accaduto che la mia testa non abbia trasformato in un grande e immenso Se, in un’alternativa possibile (ma a volte nemmeno troppo), un mondo parallelo dove la mia storia avrebbe potuto avere un finale e/o un risultato diverso. È un vizio che mi porto sin da bambina, da quando dicevo a mia madre che la mia io, su un pianeta parallelo al nostro , in una galassia parallela alla nostra, poteva mangiare il cioccolatino che io volevo, ma che mia madre mi negava (spoiler: non funzionava mai).

      Ancora oggi, a distanza di anni, mi ritrovo a fare gli stessi ragionamenti assurdi, con la differenza, però, che mi ritrovo ad applicarli anche al mondo dei libri, dove la fantasia può trasformare e rivisitare storie infinite volte (e Gianni Rodari lo sapeva bene, tanto da scriverne la Grammatica della Fantasia). È proprio in occasione di questo avvento letterario, quindi, che ho pensato a un nuovo Se: cosa sarebbe accaduto se Le Notti Bianche di Fëdor Dostoevskij fossero state ambientate nei quattro giorni precedenti al Natale?
      Mi perdonino gli studiosi e gli accaniti appassionati dello scrittore russo che molto probabilmente stanno già inforcando le armi, ma la mia è solo una supposizione, che nasce in realtà da un piccolo ma enorme problema di memoria (anche questo ereditato dall’infanzia: mai saputo ripetere una poesia a memoria in vita mia). Proverò subito a spiegarvi meglio.

      Vintage Russian2
      Lessi Le notti bianche di Fëdor Dostoevskij nel lontano 22 marzo 2013, dopo un’abbuffata in uno dei miei ex ristoranti giapponesi preferiti (tranquilli, ricordo tutto ciò semplicemente perché è scritto nella prima pagina della mia copia – il motivo per il quale il ristorante sia uno degli “ex” preferiti lo si può leggere fra le righe). Insomma, stavo facendo una passeggiata con la pancia piena di sushi e sashimi e riso saltato con la soia e altre leccornie simili, quando in una libreria dell’usato mi decisi ad acquistare una copia di uno dei classici più amati della letteratura russa (forse perché, pardon ancora una volta a tutti i russofili, il più breve?).

      Inutile dire che me ne innamorai dalla prima pagina, quasi quanto inutile aggiungere che a distanza di più di due anni mi son ritrovata a ricordarne solo lo schiaffo finale e la panchina lungo il fiume (quest’ultima reminiscenza, forse, perché pochi giorni dopo la lettura de Le notti bianche  vidi Manhattan di Woody Allen, ma questa è decisamente un’altra storia).
      Ma torniamo a Fëdor Dostoevskij: nel mio cassetto della memoria (decisamente troppo impolverato), il nostro solitario protagonista incontrava Nasten’ka sotto la neve. Ho ripreso in mano il libro a distanza di due anni e di questo fenomeno meteorologico nemmeno si parla; anzi, nelle prime righe del racconto ho ritrovato proprio tutt’altra descrizione.

      “Era una notte incantevole, una di quelle notti come ci possono forse capitare solo quando siamo giovani, caro lettore. Il cielo era un cielo così stellato, così luminoso che, guardandolo, non si poteva fare a meno di chiedersi: è mai possibile che esistano sotto un simile cielo persone irritate e capricciose?“

      Avevo forse scambiato tutta questa magia con quell’atmosfera felice e spensierata che si respira proprio nei giorni precedenti al Natale? Ho deciso, di conseguenza, di rileggere l’intero racconto e a lettura terminata mi è stato fin troppo chiaro che nella mia testa c’era proprio un errore stagionale.

      “C’è qualcosa di indicibilmente toccante nella nostra natura pietroburghese, quando d’improvviso, all’apparire della primavera mostra tutta la sua potenza, tutte le energie donatele dal cielo, si adorna, si agghinda, si colora di fiori..”

      Lo ammetto, non un errore stagionale ma un enorme e abominevole errore stagionale in cui in realtà mi sarebbe bastato sapere che “le notti bianche”, nella Russia del Nord, sono quel periodo dell’anno in cui il sole tramonta dopo le 22. Eppure tutte quelle stelle, tutto quell’agghindare la città non poteva essere scambiato per alberi e luci e preparativi alla festa più attesa di tutto l’anno?  Non poteva essere una notte fredda ma con un cielo limpido a cui mancava solo la stella cometa a fare da ciliegina sulla torta?

      “(..) e non faccio che sognare, ogni giorno, che alla fine, chissà quando, incontrerò qualcuno. Ah, se sapeste quante volte sono stato innamorato in questo modo!”
      “Ma come dunque, di chi?”
      “Ma di nessuno, di un ideale, di colei che mi appare in sogno. Io in ogni sogno creo interi romanzi. (..)”

      Madre lo dice sempre che sono un’incallita sognatrice: credo lo dica più per disperazione che per orgoglio, ma io lo prendo sempre come un complimento. Sta di fatto che rileggere Le notti bianche e scoprire che mancano la neve e gli alberi di Natale mi ha fatto proprio arrabbiare, tanto da decidere, perciò, di tenere il ricordo che avevo e raccontarmi questo classico come lo vorrei io, anzi, con una piccola aggiunta. Perché, nel mio finale, nel  mattino dopo la quarta notte il sognatore con il cuore spezzato trova una sorpresa.

      “Le mie notti finirono un mattino.”

      Torna a casa e la ragnatela sul soffitto della camera non c’è più semplicemente perché Matrëna sta addobbando l’albero, scusandosi per il ritardo ma facendo intendere che il profumino che sale dalle scale sarà il pranzo di Natale più inaspettato e goloso che il sognatore si sarebbe potuto aspettare.

      Albert Chevallier Tyler

      The Christmas Tree, Albert Chevallier Tyler, 1911

      Si spiegherebbero così molte cose, si spiegherebbe come, tornando a casa la sera prima (la Vigilia di Natale!), molte persone gli avessero sorriso nonostante il suo umore gelido e il cuore freddo, nonostante il suo aver detto addio a quel sogno che era stato così vicino a diventare reale. Quel mattino, il suo cuore si sarebbe scaldato, l’atmosfera natalizia l’avrebbe cullato e il pranzo in compagnia l’avrebbe fatto sentire meno solo, contento per Nasten’ka come in ogni caso sarebbe stato, ma contento anche per sé che solo, nella sua testa, avrebbe potuto continuare a sognare, ma aiutato da quell’atmosfera che scalda il cuore ogni anno.
      A Natale tutto è possibile, no?

      Vintage Russian 3

      Posted in Letteratura e dintorni | 8 Comments | Tagged #AvventoLetterario, Fëdor Dostoevskij, Gianni Rodari, Grammatica della Fantasia, Il Calendario dell'Avvento Letterario, Just Another Point, Le notti bianche, Letteratura russa, Manhattan, Matrëna, Nasten'ka, Nellie Airoldi, Woody Allen, Xmas is all around
    • Il Calendario dell’Avvento Letterario#10: Natale con Fëdor Dostoevskij

      Posted at 11:50 am12 by ophelinhap, on December 10, 2015

      bannervale

      Questa casella è scritta e aperta da Noemi di Tazzina di caffè

      Natale2

      A Natale, e tanto più nei giorni che lo precedono, i sentimenti si fanno più intensi e le emozioni si amplificano. Tutto sembra più bello: le luci, i profumi, i sapori, la famiglia, gli amici. Le cose e le persone brillano di nuova bellezza e magia.

      Ed ecco che proprio in questa  meravigliosa atmosfera arrivano certi scrittori, con racconti strazianti come questi due, a guastare la festa. Ma non vorrei essere fraintesa: è un guastare buono, lo dico subito, che a guardarlo bene è il più bel regalo che si possa ricevere a Natale, e non solo…

      La vocazione di molti maestri, come è il caso senz’altro di Dostoevskij, sembrerebbe proprio quella di inguaribili guastafeste. Se leggerete questi due brani, tratti dai Racconti e romanzi brevi e confezionati da Mursia in questa elegante e piccola strenna di Natale nel 2011 (ma ancora reperibile in commercio), sperimenterete proprio questa sensazione di “guasto” e poi di regalo.

      In poche parole, il venerabile Fëdor cosa fa? Prende il Natale e con il suo sguardo innocente, eppure acuminato come la più affilata delle spade, ci costruisce dentro due storie di dolore. Il suo sguardo è quello di chi non può non vedere come vanno le cose.

      Ecco come opera, ad esempio nel primo racconto, che comincia in una festicciola di Natale in una casa qualunque:

      “Non potevo poi fare a meno di ammirare la saggezza dei padroni di casa nella distribuzione dei doni natalizi: la bambina dalla dote da trecentomila rubli aveva ricevuto una bambola di grande valore; quindi erano seguiti regali di sempre minor costo, in proporzione ai ranghi dei rispettivi genitori di tutti questi bambini fortunati. Infine, l’ultimo bambino, un maschietto di circa dieci anni, magrolino, piccolo, dai capelli rossi, dal viso coperto di efelidi, ricevette soltanto un libro di racconti sulla maestosità della natura, libro senza illustrazioni e perfino senza vignette. Il ragazzino era il figliolo di una povera vedova, istitutrice dei figli del padrone di casa, ed era un fanciullo estremamente timido e alquanto impaurito”.

      Noemi2

      Qui introduce una situazione che suona a tutti normale, ma che a vederla scritta fa male: i regali di Natale, ma anche tutto il resto della nostra vita, sono proporzionali “ai ranghi”.  Quello che non sappiamo è che non sempre a rimetterci sono i più poveri, ma tocca leggere fino alla fine.

      Inoltre Dostoevskij fa un passo avanti, beh altrimenti non sarebbe Dostoevskji (ovvero quello, ricordiamolo, che ha scritto i suoi migliori capolavori dopo essere tornato dai lavori forzati in Siberia…), e questa situazione verrà esaminata, si evolverà e prenderà pieghe inaspettate fino a farci giungere a una conclusione: la realtà è quella che è, talvolta è orribile e spetta alla scrittura svelare questa  faccenda, e consolarci.

      Nel secondo racconto l’autore non sarà meno spietato, ma si affiderà alla fantasia. Per concludere con una frase disarmante:

      “Non è per inventare un poco che io son romanziere”?

      Noemi

      Ed è proprio alla fine che scatta il legame più forte con questi due brevi racconti: ci hanno fatto vedere la realtà, e il Natale, anche nei suoi risvolti più drammatici, eppure noi stiamo meglio, siamo grati all’autore, alla sua arte. In una parola: siamo cresciuti insieme.

      Posted in Letteratura e dintorni | 3 Comments | Tagged #AvventoLetterario, Fëdor Dostoevskij, Il bambino vicino all'albero di Natale di Gesù, Il Calendario dell'Avvento Letterario, L'albero di Natale e lo sposalizio, Letteratura russa, Mursia, Noemi Cuffia, Racconti, Racconti e romanzi brevi, Xmas is all around
    • LibriInValigia#2: Once again to Zelda , Wagman-Geller

      Posted at 11:50 pm09 by ophelinhap, on September 4, 2012

      Once again to Zelda: The Stories Behind Literature’s Most Intriguing Dedications di Marlene Wagman-Geller

      Questo libro da solo meriterebbe un post a parte, anzi una serie di post. Non credo che esista un’edizione italiana, ma vi consiglio caldamente di leggerlo, perché è davvero un piccolo gioiello, uno scrigno di “storie dietro la storia”, un regalo scovato in una piccola libreria indipendente di Islington, a Londra.
      Si tratta di cinquanta storie “dietro le quinte”, in cui l’autrice ricerca motivazioni e retroscena delle dediche di cinquanta tra i libri più belli e più letti di tutti i tempi, da Pasternak a F.S. Fitzgerald, da Sylvia Plath a Mary Shelley.
      Vi ricordate il dibattito tra le due Lare che si contendono il titolo di musa ipiratrice della bellissima ed immortale eroina di Pasternak, sua moglie Zinaida e la sua amante Olga Ivinskaya?
      Secondo la Gellers, Lara è Olga. Perché questa è la dedica de Il Dottor Zivago: 

      To Olga Ivanskaya
      “You guided my hand and stood behind me,
      and all of it I owe to you”.

      Inoltre, la bella Olga condivide la stessa sorte dell’infelice Lara, come constateremo a breve.
      La Ivinskaya conosce Pasternak mentre lavora come editrice presso il giornale Novy Mir. L’amicizia tra la fervente e appassionata Olga, amante della poesia di Pasternak, e lo stesso Boris nasce sui versi e sulle discussioni incentrate su Il Dottor Zivago, allora in corso di redazione, e presto diventa qualcosa di più. In una lettera del 1947, Pasternak le dichiara amore eterno ed imperituro, definendola my love..my angel. Ciononostante, non è disposto a lasciare la sua famiglia, alla quale si dichiara legato dal dovere e dal senso della responsabilità.  La sua storia con Olga forma parte integrante della trama de Il Dottor Zivago, traducendosi nella relazione tra Jurij e Lara.
      Come Lara, Olga scopre di aspettare un bambino da Boris, ma durante la sua prigionia in un campo di lavoro, durante la quale viene sottoposta a violenze fisiche e psicologiche: ad esempio, le viene mostrata una bara e viene invitata ad aprirla per convincerla che Boris fosse morto e forzarla a svelare quanti più dettagli possibili sull’impegno anticomunista di Pasternak. Ma il prezzo da pagare per Olga non si riduce alla prigionia, non si riduce all’inevitabile destino di “altra donna”, di amante: dopo la morte di Pasternak nel 1960, viene processata e condannata ad otto anni in un gulag, come Lara, uscita un giorno di casa per non farvi più ritorno, prigioniera, morta o sparita da qualche parte, una delle centinaia di desaparecidas rese ancora più invisibili dal fatto di essere donne.
      Le torture, le sofferenze e le privazioni patite da Olga durante questi anni sono state da lei rese pubbliche nelle sue memorie, Prigioniero del tempo. La mia vita con Boris.
      Non soprenderà il fatto che il memoir sia dedicato al suo amato Pasternak:

      La maggior parte della mia vita è stata dedicata a te – e quello che ne resta lo sarà altrettanto.

      Margaret Mitchell dedica il suo celeberrimo Gone With The Wind (Via col vento) ad un certo J.R.M.
      Questa dedica così criptica racchiude la storia della stessa Mitchell e del suo romanzo.
      Margaret, affettuosamente chiamata Peggy, è una vera figlia del Sud. Dopo che sua nonna, l’influente Annie F. Stevens, colonna portante dell’Atlanta bene, la fa ammettere nel prestigioso club della debuttanti, Peggy se ne fa rapidamente espellere, presentandosi ad un ballo come l’antitesi della dama del Sud, vestita in maniera provocante, con calze nere e rossetto carminio, e danzando in maniera così disinibita da scandalizzare gli astanti.
      Nel 1922, la Mitchell incontra il suo Rhett, Berrien Red Upshaw, del quale si innamora follemente, nonostante lui la prenda in giro per le sue gambe corte e sua nonna disapprovi di tutto cuore l’affascinante bad boy  che ha stregato la nipote. Nello stesso periodo, Margaret conosce il suo compagno di stanza, John Robert Marsh, tutt’altro che bello, ma folle di amore per lei.
      Margaret sceglie l’affascinate Red e lo sposa nel corso dello stesso anno, mentre John, che fa loro da testimone, è costretto a nascondere il suo cuore spezzato.
      Il matrimonio della Mitchell ha comunque breve durata, a causa del carattere violento e dell’alcolismo di Red. Quando arriva il momento del divorzio, Peggy si rivolge a John per amicizia, sostegno e affetto. I due si sposano poco tempo dopo il divorzio di Margaret da Red.
      Quando una malattia la costringe a letto per diverso tempo, per farla distrarre John porta alla moglie alcuni libri di storia dalla biblioteca pubblica. Quando l’interesse della moglie per la storia americana diventa sempre più incalzante, John le suggerisce di scrivere un libro. Di qui nasce Via Col Vento, e di qui la dedica della Mitchell al marito, all’amico, a colui che l’ha esortata e spronata a scrivere. A colui che ha creduto in lei.

      Potrei continuare a scrivere per ore su questo libro. Per ora vi lascio con un’ultima storia, un’ultima dedica. Sylvia Plath, la bella poetessa americana sposata con Ted Hughes, sorprendenemente non dedica The Bell Jar all’amatissimo marito, ma ad “Elizabeth e David”.
      Per capire perchè, bisogna fare un salto indietro. Sylvia incontra Ted a Cambridge, durante il suo soggiorno in Gran Bretagna grazie ad una borsa Fulbright. È amore a prima vista: lui si fa avanti tra la folla e si mette a recitarle i suoi versi; lei è talmente attratta da lui e confusa che, mentre bevono e ballano, gli morde l’interno della bocca tanto da farlo sanguinare. Ted le confisca la fascia per capelli per essere sicuro di rivederla. Si sposano quattro mesi dopo, e si trasferiscono a Court Green nel Devon, dove fanno amicizia con i loro nuovi vicini di casa, David ed Elizabeth Sigmund (i David e Elizabeth della dedica).
      Dopo la nascita dei loro due figli, un serpente si introduce nella loro serenità coniugale sotto le mentite spoglie di Assia, la bellissima moglie del poeta londinese che aveva affittato loro il cottage dove abitavano. Ted ne diviene l’amante; Sylvia lo caccia di casa e precipita in una profonda depressione, trovando aiuto e amicizia presso i suoi vicini di casa, ai quali dichiara “Ted lies to me all the time.He has become a little man…I have given my heart away and I can’t take it back – it is like living without a heart”.
      Quando Sylvia decide di andare a vivere a Londra con i suoi due bambini per voltare pagina, Elizabeth e David cercano di farle cambiare idea, preoccupati a causa della sua fragilità e della sua depressione. Le loro previsioni si rivelano, purtroppo, lungimiranti: a soli trent’anni, Sylvia constata con disperazione che il suo appartamento londinese e la sua vita stessa sono diventati una campana di vetro dentro la quale si sente soffocare. Prepara latte e pane sul comodino dei bambini, sigilla la porta della cucina con degli asciugamani, e sceglie di morire, di soffocare velocemente, con la testa dentro il forno, anzichè lasciarsi soffocare lentamente dentro la sua campana di vetro.
      Sei anni dopo la morte di Sylvia, Assia, in una macabra emulazione della morte di quella rivale di cui non si era mai riuscita davvero a liberare, si sarebbe lasciata morire allo stesso modo con la figlioletta Shura, dopo aver inghiottito dei sonniferi.
      Hughes, stravolto dalla triplice tragedia, avrebbe dichiarato ad Elizabeth: “My creativity presented me with a demon. If I get close to people, I destroy them”.
      Nell’ambito di queste tragiche vicende, appare evidente il desiderio di Sylvia di esprimere la sua riconoscenza ai coniugi Sigmund dedicando loro il suo unico romanzo.

      Posted in Letteratura americana, Letteratura e dintorni, Ophelinha legge | 5 Comments | Tagged American literature, Bookworms, Boris Pasternak, Dottor Zivago, Francis Scott Fitzgerald, Gone with the Wind, Greyville, Lara, Letteratura russa, libriinvaligia, Literature and Beyond, Margaret Mitchell, Olga Ivinskaya, Once again to Zelda, Si legge e si racconta di libri, Storie dietro la storia, Sylvia Plath, Ted Hughes, Via col Vento, Zelda Fitzgerald
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