Impressions chosen from another time

Frammenti di letteratura, poesia, impressioni
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  • Tag: La banda dei brocchi

    • Un’estate in pillole di lettura

      Posted at 11:50 am09 by ophelinhap, on September 1, 2016

      Coe

      L’estate 2016 è stata un’estate aliena, almeno per me.

      Sono riuscita ad andare al mare pochissime volte (e aspetto questo momento tutto l’anno), ho fatto su e giù per l’Italia, non sono riuscita a rilassarmi e a staccare un po’ in vista di un autunno che si preannuncia lento e difficile, un boccone duro e amaro da buttare giù.

      In compenso, ho mangiato un’anguria intera guardando l’ultima serie di Orange is The New Black e, grazie al road trip molto improvvisato in un’improbabile (e scomodissima) Cinquecento, ho visitato posti bellissimi in giornate piene di sole: Salisburgo, di cui mi sono innamorata; Innsbruck, dove mi sono sentita molto Sissi; Verona, cittadina adorabile ma letteralmente infestata di turisti nei luoghi di Giulietta – sigh! Io mi aspettavo uno scenario alla Letters to Juliet, in cui incontravo le segretarie di Giulietta e magari mi univo a loro per l’estate; Lugano, dove ho riabbracciato un’amica di vecchissima data.

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      Salisburgo

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      Salisburgo

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      Innsbruck

      E ho letto, tantissimo – almeno per i miei standard. Guidare è una delle cose che mi rende più nervose, quindi sono ben contenta di fare la passeggera e leggere a più non posso – complice anche il roaming, la batteria del telefono perennemente scarica e il fatto che fortunatamente non soffra di mal d’auto. Ho letto libri che rimandavo da tempo e libri che ho ritrovato quasi per caso nella mia biblioteca Kindle: quasi tutti mi hanno piacevolmente sorpreso, tutti sono riusciti a farmi dimenticare i chilometri e spegnere il lettore solo al momento dell’arrivo (e cercare di dimenticare  le due tre canzoni che ogni stazione radio trasmetteva in continuazione: Love yourself di Justin Bieber, 13 buone ragioni di Zucchero, Be the one di Dua Lipa – chi? Dovrò andare in terapia per liberarmi di queste canzoni…)

      Juliet

      Verona, Casa di Giulietta

      balcony

      Verona, Casa di Giulietta

      Ecco quindi la mia estate, in pillole (di lettura):

      • My Name is Lucy Barton, Elizabeth Strout (pubblicato in italiano da Einaudi, traduzione a cura di Susanna Basso): decisamente tra i libri più belli che abbia letto quest’anno, e non solo. Anch’io, come la protagonista, Lucy, ho un rapporto complicato con mia madre, fatto di parole non dette – o dette male – e piccoli gesti o silenzi che sono carichi di significati reconditi. Lucy si ammala, ed è costretta a trascorrere mesi in ospedale. Sente tantissimo la mancanza delle sue bambine, mediamente quella di suo marito (che si rifiuta di andarla a trovare, adducendo come pretesto la sua antipatia per gli ospedali). Un giorno Lucy riceve una visita a sorpresa: quella di sua madre, direttamente dalle campagne dell’Illinois. Il particolare che mi ha fatto più tenerezza è questo: per tutti i cinque giorni di permanenza all’ospedale, la madre di Lucy rifiuta ostinatamente la brandina che le viene offerta e dorme sulla sedia, quando le capita, aprendo gli occhi al primo movimento della figlia. La tela di silenzi tra le due è così intrecciata, la loro estraneità così consolidata che la madre di Lucy cerca rifugio nelle storie che le racconta: storie di persone che hanno toccato la vita di entrambe e che vanno a ricreare ed animare la cittadina di Amgash, Illinois, dalla quale Lucy era scappata appena possibile. Il loro tormentato rapporto e la decisione della madre di andarsene proprio quando Lucy è fragile e spaventata e ha più bisogno di lei ricorda al lettore quanto sia difficile evadere da modelli di comportamento che si sono consolidati negli anni, quanto sia difficile aprirsi di nuovo, davvero. Quanto sia difficile essere figlia, essere madre.
      • Belgravia, Julian Fellowes (pubblicato in italiano da Neri Pozza, traduzione a cura di Simona Fefè): siete aficionados di Downton Abbey? Allora ci sono tutti gli elementi perché Belgravia vi possa piacere: guerra, intrighi, matrimoni fasulli che poi non si rivelano tali, figli illegittimi ma nemmeno tanto, balli, macchinazioni, eredità, afternoon tea, sete e crinoline, amanti, tentati omicidi, criminali fuggitivi. Le vicende narrate sono inizialmente ambientate a Bruxelles, prima dell’arrivo di Napoleone e della battaglia di Waterloo; c’è poi un salto temporale di venticinque anni e l’azione si sposta a Londra, dove assistiamo alla nascita di Belgravia, uno dei quartieri più belli della città (che oggi ospita tra l’altro l’Istituto Italiano di cultura).
      • Fried Green Tomatoes At The Whistle Stop Cafe, Fannie Flagg (in italiano Pomodori verdi fritti al caffè di Whistle Stop, pubblicato da BUR nella traduzione di Olivia Crosio): arrivata a questo punto mi tocca una vergognosa confessione. Non solo non avevo mai letto il libro: non ho nemmeno visto il film (mi tocca riparare, lo so, lo so). Si tratta di una storia dentro la storia, o, meglio ancora, di un contenitore di storie: Evelyn, donna di mezza età in preda alla depressione e alla menopausa, diventa – suo malgrado – amica dell’irresistibile Ninny Threadgoode, che le fa compagnia nelle interminabili visite alla suocera in una casa di riposo, facendo rivivere per lei il caffè di Whistle Stop e le sue storie. Evelyn così si ritrova catapultata negli anni trenta, in compagnia della bellissima Ruth, l’impetuosa Idgie e il loro piccolo Stump. Idgie e Ruth gestiscono il caffè e offrono agli avventori buon cibo e generosità, risate e perfino l’occasionale omicidio. Le storie narrate dalla signora Threagoode fanno venire voglia di saltare su un aereo e andare a visitare l’Alabama, nonché assaggiare i tanto decantati pomodori verdi fritti (qualcuno li ha mai mangiati? Come sono?), i biscotti al buttermilk e il cobbler di mirtilli. Bonus per i foodie: in appendice trovate le ricette del Whistle Stop Cafè.
      • Tra le infinite cose, Julia Pierpoint (pubblicato da Mondadori, traduzione a cura di Carlo Prosperi): se nella prima metà rischia di essere l’ennesimo romanzo americano a base di famiglie disfunzionali, tradimenti e adolescenti difficili, appesantito da uno stile non sempre scorrevole e da continui salti temporali, nella seconda metà si riscatta egregiamente grazie alla figura di Kay, l’impacciata, confusa figlia dei due protagonisti, Deb e Jack. Deb è un’ex ballerina che, arrivata ai quaranta, inizia a chiedersi come sarebbe andata la sua vita se non avesse mollato le punte per sposare Jack, specie dopo il suo ultimo, doloroso tradimento; Jack è un artista di mezz’età in crisi con alle spalle una mostra fallimentare e il fantasma della sua ex amante. Kay incarna la confusione, l’inquietudine, il dolore dello sgretolamento del matrimonio dei suoi genitori, ricorrendo a gesti incomprensibili per rendersi visibile ai loro occhi e a quelli del fratello Simon, che trova invece rifugio nell’erba e nelle ragazze. Il titolo del libro è tratto da una bellissima poesia dell’americano Galway Kinnell:

       

      “Testolina addormentata che germoglia capelli alla luna,

      quando ritornerò

      usciremo insieme,

      cammineremo insieme

      tra le infinite cose,

      ciascuno segnato troppo tardi da questa consapevolezza, il salario

      del morire è l’amore“.

      • Funny Girl, Nick Hornby ( qui in italiano, trad. a cura di Silvia Piraccini): non aspettatevi il Nick Hornby di About a boy o Non buttiamoci giù, ma una penna più matura che, attraverso la storia della starlette Barbara e della troupe della serie TV di cui diventa la protagonista, ricostruisce un pezzo di storia e cultura britannica attraverso l’evoluzione della televisione e dei gusti degli spettatori. Non si tratta della storia di Barbara, ma della storia di un’epoca: la nascita e il successo di una serie tv in una Londra che inizia ad essere la città che non dorme mai, fulcro ed epicentro di ogni nuovo movimento artistico e manifestazione culturale. È un romanzo lento e nostalgico, pervaso della malinconia dei tempi che cambiano, e delle persone che spesso non riescono a stare dietro al flusso instancabile di novità, e a cambiare con esse. Il nuovo Hornby mi ricorda un po’ Jonathan Coe nella sua volontà di dissezionare la società britannica e studiarne le evoluzioni e involuzioni più intrinseche ed invisibili all’occhio nudo (leggete sotto).
      • The Rotters’ Club:, Jonathan Coe (La banda dei brocchi, pubblicato da Feltrinelli nella traduzione di R. Serrai): adoro Coe e lo considero il massimo scrittore inglese vivente, una delle poche voci della narrativa contemporanea capace di fare della vera critica politica e sociale, di smascherare le bugie, il classismo, il razzismo di una società, quella britannica, che a volte sembra ancora vivere nell’illusione dell’impero coloniale (Brexit docet). Ne La banda dei brocchi, che ho riletto in originale a un paio d’anni dalla prima lettura, le storie dei fratelli Rotter (l’aspirante intellettuale Ben, l’inquietante fratellino Paul, sfegatato conservatore a soli nove anni, la sfortunata sorella Lois, reduce da un terribile incidente) raccontano in realtà la storia dell’Inghilterra degli anni settanta, tra scioperi, movimenti operai e IRA, guerra di classe e avvento dell’era Thatcher, in un mondo che pare disgregarsi e le cui contraddizioni non fanno che esacerbare le difficoltà dell’adolescenza e della scoperta di se stessi. La banda dei brocchi fa parte di una sorta di trittico, di cui Circolo chiuso è il seguito cronologico (arrivando fine alla sciagurata decisione di Blair di intervenire nella guerra in Iraq), mentre La famiglia Winshaw costituisce un pezzo a sé stante, un ritratto degli sconvolgimenti sociali derivanti dalla sfrenata politica liberista attuata da Margaret Thatcher, i cui disastrosi effetti sono incarnati dai disfunzionali, eccentrici membri della famiglia Winshaw. I Winshaw ritornano anche nell’ultimo capolavoro di Coe, Numero undici, un intricato labirinto di storie e allusioni dal finale inaspettato. Inutile dire che ve li consiglio tutti, di cuore.
      • Americanah, Chimamanda Ngozi Adichie (pubblicato in italiano da Einaudi, traduzione a cura di Andrea Sirotti): questo è uno di quei libri che mi aspettavo di amare moltissimo. Invece mi è piaciuto, ma con moderazione. Lo stile dell’autrice non mi ha permesso di immedesimarmi – come faccio sempre quando un libro mi piace tanto – nel personaggio di Ifemelu, nelle sue difficoltà a ambientarsi e costruirsi una vita in America, nella sua apparentemente incomprensibile decisione di tornare in Nigeria, anche nella speranza di ritrovare il primo amore, Obinze, ormai sposato e dedito a una proficua carriera di dubbia legalità.
      • Harry Potter and The Cursed Child/em> (in italiano Harry Potter e la maledizione dell’erede, in uscita il 24 settembre nella traduzione di L. Spagnol per Salani): sicuramente non si tratta dell’ottavo volume della saga del mago più famoso del mondo, colui che è riuscito a sopravvivere all’ira funesta dello spietato Voldemort. Tanto per cominciare, non si tratta di un romanzo, ma di un’opera teatrale; inoltre, il protagonista non è Harry, ma suo figlio Albus (un Serpeverde!), il cui migliore amico è il timido, impacciato figlio dell’arci-nemico di Potter, Draco Malfoy. Scorpius, l’erede della dinastia dei Malfoy, non ha una vita molto facile ad Hogwarts, dove aleggia il sospetto che lui sia figlio di Voldemort in persona e Bellatrix Lestrange; lo stesso Albus, poco atletico e abbastanza impacciato negli incantesimi, vive nell’ombra del celeberrimo padre, condizione che lo fa soffrire non poco. I due si imbarcano in una serie di rocamboleschi viaggi nel tempo, che, se da una parte disturbano il tessuto narrativo e la sua continuità, sarebbero davvero interessanti da vedere a teatro. In realtà, mentre leggevo il copione (che si legge tranquillamente in un paio d’ore), non potevo fare a meno di pensare a quali soluzioni e quali effetti speciali possano essere utilizzati durante lo spettacolo per scene come la seconda prova del Torneo Tre Maghi, che si svolge quasi interamente sottacqua (nel lago nero). The Cursed Child non è un capolavoro, ma è godibile e permette al lettore di sbirciare nella vita di Harry adulto, nel suo difficile rapporto col figlio Albus Severus, nel suo matrimonio – d’altro canto, tutti noi lettori coltiviamo una sorta di istinto voyeuristico per i nostri personaggi preferiti…

      Mi piacerebbe tantissimo vederlo a teatro, ma è sold out fino a maggio 2017, quindi non mi resta che continuare a partecipare alle lotterie che si tengono ogni tanto su Pottermore o sul sito dello spettacolo.

      Nel frattempo vi auguro un ottimo inizio, e un settembre pieno di belle letture.

      potter

      Bonifati, Calabria

      Bonifati, Calabria

      Posted in Ophelinha legge | 13 Comments | Tagged About a boy, Americanah, Belgravia, Bur, Calabria, Chimamanda Ngozi Adichie, circolo chiuso, Downton Abbey, Elizabeth Strout, Feltrinelli, Fried Green Tomatoes at the Whistle Stop Café,, Funny Girl, Galway Kinnell, Harry Potter and The Cursed Child, Harry Potter e la maledizione dell'erede, innsbruck, Jonathan Coe, Julia Pierpoint, Julian Fellowes, La banda dei brocchi, la famiglia winshaw, le segretarie di giulietta, Margaret Thatcher, Mondadori, My name is Lucy Barton, Nick Hornby, Non buttiamoci giù, number 11, Orange is the new black, Pomodori verdi fritti al caffè di Whistle Stop, R. Serrai, Romeo e Giulietta, salisburgo, the closed circle, the rotters'club, Tony Blair, Tra le infinite cose, verona
    • Un’ora con…Ophelinha

      Posted at 11:50 am05 by ophelinhap, on May 27, 2016

      me

       

      Questa puntata di Un’ora con è un po’ fuori dalle righe e diversa dalle altre, perché a rispondere alle domande…sarò io 😉

      È da tempo infatti che volevo fare un po’ il punto della situazione: parlare di com’è nato il blog, come si è evoluto nel corso degli anni, come vorrei che continuasse a cambiare. Avrei voluto farlo a novembre, in occasione del quarto compleanno del blog, ma eravamo in fase di preparazione del calendario dell’Avvento letterario, un’esperienza molto divertente che spero di ripetere anche quest’anno (voi della ciurma, ci sarete tutti, vero?)

      Approfitto dell’occasione anche per parlare un po’ di me: sono schiva, riservata e mi viene sempre più facile nascondermi dietro Ophelinha che far venire fuori Manuela. Voglio provare comunque a mettermi, per una volta, dall’altra parte e provare a raccontarmi. Pronti?

       

      1) Impressions chosen from another time: come e perché?

      Il mio blog nasce in un brumoso pomeriggio del lontano novembre 2011. Avevo già scritto su altri blog e testate (tipo qui o qui), occupandomi prevalentemente di politica europea; quando poi questa passione è diventata anche un po’ (all’incirca pressappoco) il mio lavoro, ma non nei termini o nelle misure che speravo (quasi per niente), ho sentito la necessità di dare sfogo ad altre passioni che mi rappresentassero maggiormente: la lettura, la letteratura, la scrittura, il cinema, il teatro.

      Avevo un numero imprecisato di quaderni pieni di appunti, poesie, racconti, e ho pensato – anche per smettere di perderli – di iniziare a ricopiarli in questa sorta di finestrella virtuale che mi era creata su blogger. Vorrei poter dire che la ragione per cui ho iniziato a scrivere sul blog è qualcosa di eroico, nobile ed elevato, ma non è così: era un pomeriggio di novembre, mi ero ri-trasferita da circa un annetto (dopo aver vissuto a Roma, Londra, di nuovo Roma, di nuovo Londra, di nuovo Roma e una prima volta a Bruxelles), c’era un sacco di nebbia e faceva freddissimo. L’inverno 2011 è stato il secondo inverno più freddo di quelli che ho trascorso in Belgio: ha nevicato fino ad aprile e per me è stata dura abituarmi sia al freddo che a un contesto professionale molto diverso.

      Nel primo post ho copiato semplicemente una poesia che avevo scritto a Londra nel 2008, Un altro finale, perché era quello che mi auguravo: di trovare il mio lieto fine, un posto in cui stare bene, un lavoro che mi appagasse, un contesto socio-professionale (e climatico) che mi si confacesse di più. Non l’ho ancora trovato (segno che dovrei ritirarmi nella campagna inglese e fare l’eremita) e mi auguro ancora esattamente le stesse cose, ma da un annetto a questa parte ho iniziato a provarci sul serio, e spero di trovare presto quello che sto cercando.

      Il titolo del blog è tratto da una canzone di Brian Eno, By this river, colonna sonora de la stanza del figlio di Nanni Moretti. Amo le canzoni malinconiche (sono un’allegrona), e il testo di By this river è davvero bellissimo, oltre a riflettere lo stato d’animo in cui mi trovavo nel periodo in cui ho aperto il blog (e in cui mi ritrovo a momenti alterni): così confusa e lontana dalle cose importanti per me da sentirmi con la testa sott’acqua, cercando di carpire l’eco di parole troppo lontane per risultare intellegibili (suona drammatico, lo so, ma non lo è: abbiate pazienza, sono una drama queen) .

       

      2) Chi c’è dietro Impressions chosen from another time?

      Ci sono io, Manuela. C’è Ophelinha, che è nata come una crasi tra l’ineffabile Ofelia shakesperiana, scritta all’inglese (Ophelia) e la malinconica Ofélia Queiroz, eterna fidanzata e mai moglie di Fernando Pessoa. L’incomprensibile grafia vuole essere metà anglofona, metà lusofona: finora quasi nessuno è riuscito a scriverla correttamente, ma non riesco a liberarmene, per ragioni che ora cerco di spiegarvi. Abbiate pazienza, e sopportatemi!

      L’eteronimia mi ha sempre affascinato: ho iniziato a studiare il portoghese al secondo anno di università e mi sono innamorata di Pessoa. Ophelinha (Pequena, scritto come nella versione portoghese, perché Pessoa, tra altri nomignoli e vezzeggiativi, chiamava la fidanzata “la sua piccola Ofelia”) è diventata per me un posto felice, un repositorio di cose belle nel quale rifugiarmi e dietro al quale nascondere la mia timidezza (Lucio Battisti usava i suoi ricci, io uso Ophelinha, anche un po’ i ricci, a dire il vero). Ophelinha è un po’ la regina di quelle storie d’amore infelici e contrastate di cui ho sempre voluto farmi paladina, ed è rétro e antiquata quanto basta per piacermi.

      Dietro Ophelinha c’è Manuela, timida, disordinata, idealista, donchisciottesca, nevrotica, insonne, perennemente alla ricerca di qualcosa.

      Amo leggere, scrivere quando ne ho voglia, viaggiare (specie se si tratta di andare a Londra, il mio posto preferito in assoluto, o se si tratta di andare da qualche parte dove c’è il mare e possibilmente il sole). Amo il teatro (ho fatto parte di un gruppo anglofono fino a due anni fa e mi manca un sacco), la campagna inglese, i frullati di frutta, un buon vino bianco (aziende vinicole, vero che volete farvi sponsorizzare da me?), la focaccia, la musica di Leonard Cohen e di Joni Mitchell (non ascolto solo musica deprimente, lo giuro).

      Mi interessano la politica internazionale e il mondo della comunicazione e dei new media, che sto cercando di approfondire, essendo da qualche mese tornata a studiare.

      Non amo le polemiche (specie quelle sui social media – a cui comunque sono troppo pigra per rispondere), i posti troppo affollati, la mancanza di gentilezza, l’opportunismo, l’arroganza, il freddo e la neve. Sto cercando di trovare il giusto equilibrio tra l’eccesso di condivisione e l’essere diventata una privacy freak: le cose più belle e personali, però, me le tengo per me, ben strette.

       

      3) Il tuo scaffale d’oro

      Nel mio scaffale d’oro metterei in primis i libri che mi hanno insegnato ad amare la lettura: Piccole donne di Louisa May Alcott, Cime tempestose di Emily Brontë, tutta Jane Austen. Ci sarebbe tanta poesia: Antonio Machado, Juan Ramón Jiménez, Federico García Lorca, Eugenio Montale, Jacques Prévert, TS Eliot, Sylvia Plath, Emily Dickinson, ee cummings, Wislawa Szymborska, Leonard Cohen, Pablo Neruda, solo per citarne alcuni. Ci sarebbero le lettere di Pessoa alla fidanzata e quelle di Sylvia Plath alla madre. Ci sarebbero i racconti di Alice Munro e l’Ernest Hemingway di Addio alle armi, Per chi suona la campana e Fiesta. Ci sarebbe l’incredibile Gabo con le meraviglie di Macondo e l’idilliaca Port William di Wendell Berry. Non potrebbe mancare una rappresentanza russa, Anna Karenina e Lolita in cima al mucchietto. Ci sarebbe un libro che ho amato in un momento particolare della mia vita, L’eleganza del riccio di Muriel Barbery, qualche biografia e qualche bella saga familiare, tipo I viceré di De Roberto. Non potrebbe mancare qualche testo teatrale – l’Amleto shakespeariano, Casa di bambola di Ibsen, La Locandiera di Goldoni per un amarcord di tutto rispetto. Ci sarebbe Il grande Gatsby, col suo finale che mi fa rabbrividire ogni volta che lo leggo, e L’insostenibile leggerezza dell’essere di Kundera. Ci sarebbero vecchi amici – La coscienza di Zeno di Svevo, il Coe de La banda dei brocchi e La casa del sonno, Via col Vento della Mitchell, Sostiene Pereira di Tabucchi, nuovi amori – Jonathan Franzen, nuove scoperte – Miriam Toews e Elizabeth Strout.

      E ci sarebbe un bel po’ di spazio per i libri che verranno.

      libri

      4) Un personaggio in cui ti immedesimi particolarmente

      Sono un po’ Ofelia, un po’ Rossella O’Hara di Via col Vento: testarda, ostinata, sono bravissima a fare pessime scelte e a rimpiangerle per molto, moltissimo tempo. La mattina del mio ventiquattresimo compleanno ho trovato sulla porta della mia stanza (abitavo in uno studentato) un post-it con l’aggettivo quixotic, e non a torto: ho in comune con Don Chisciotte la tendenza a battermi per le cause perse  e a essere romanticamente idealista (e a sentirmi fuori posto abbastanza spesso).

      5) Se il tuo blog fosse una canzone…

      …sarebbe la canzone che gli ha dato il titolo (vedi risposta uno), con un tocco di Famous blue raincoat di Leonard Cohen e di Both sides now di Joni Mitchell (cantata a squarciagola sotto la doccia).

       

      6) Il tuo rapporto con la scrittura/con la lettura

      Con la lettura è sempre andata abbastanza bene, anche se il trucco nel mio caso è trovare il libro che funzioni a seconda delle situazioni, ispirazioni, stati d’animo, livelli di stress e stanchezza.

      Con la scrittura è molto più altalenante: non scrivo quando non ne ho voglia, non scrivo quando non ho effettivamente qualcosa da dire. La scrittura – specie quella personale, che non va a finire necessariamente nel blog, almeno per ora – va spesso per me di pari passo con stati d’animo riflessivi e malinconici: per dirla con Luigi Tenco (o Bruno Lauzi, dato che non ci si mette d’accordo sulla paternità di questa citazione), quando sono felice esco.

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      7) Progetti in cantiere

      Mi piacerebbe tornare a dare al blog un taglio più personale: parlare di letteratura e raccontare storie mettendoci anche pezzi di me. La realtà è che, al momento, scrivo prevalentemente lettere di motivazione da affiancare al curriculum, e, per quanto inizi seriamente a pensare che alla redazione di cv e affini andrebbe dedicato un intero genre, non credo che il mondo sia ancora pronto a canonizzarlo. In definitiva, mi tocca mettermi a ricercare la mia voce eccetera, sperando che il processo non sia troppo lungo o doloroso e che non includa meditazione o affini (ho provato a meditare una volta e sono andata in spin: devo pensare a un posto felice – non mi viene in mente un posto felice – ma ho attaccato la lavatrice stamattina? – ma che ansia.)

      Vorrei anche ripetere a dicembre il calendario dell’Avvento letterario e continuare a organizzare iniziative insieme a gente che mi piace.

       

      Sono prolissa, lo so. Se siete arrivati fino a qui sotto meritate un premio 😉

       

      Posted in Guestpost e interviste | 7 Comments | Tagged #AvventoLetterario, Addio alle armi, Antonio Tabucchi, Both sides now, Brian Eno, Casa di bambola, Cime tempestose, Don Chisciotte, Elizabeth Strout, Emily Brontë, Emily Dickinson, Ernest Hemingway, Eteronimi, famous blue raincoat, Federico García Lorca, Fernando Pessoa, Francis Scott Fitzgerald, Ibsen, Il Calendario dell'Avvento Letterario, Jane Austen, Janeite, Jonathan Coe, Jonathan Franzen, Joni Mitchell, Juan Ramón Jiménez, L'eleganza del riccio, l'insostenibile leggerezza dell'essere, La banda dei brocchi, la coscienza di zeno, Leonard Cohen, Me myself and I, Milan Kundera, Miriam Toews, Muriel Barbey, Ofélia Queiroz, Ophelia, Pablo Neruda, per chi suona la campana, Piccole donne, Rossella O'Hara, Shakespeare, Sostiene Pereira, Sylvia Plath, The Great Gatsby, ts eliot, Via col vento, Margaret Mitchell, Wendell Berry, Wislawa Szymborska
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