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Frammenti di letteratura, poesia, impressioni
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  • Tag: Il giovane Holden

    • Un’ora con… Ilenia Zodiaco di Con amore e squallore

      Posted at 11:50 am01 by ophelinhap, on January 23, 2017

      La blogger che ospito oggi è sagace come una Serpeverde, determinata come una Grifondoro, obiettiva come una Tassorosso e amante del sapere come una Corvonero.

      Il cappello parlante di Hogwarts avrebbe insomma difficoltà ad assegnarla a una singola casa in maniera definitiva – vero, Ilenia?

      Potete trovare Ilenia sul suo blog e sul suo canale You Tube. Buona lettura!

      ilenia

      1) Con amore e squallore: come e perché?

      Mi rendo conto che “Con amore e squallore” è un nome che porta con sé delle aspettative, ma è semplicemente il titolo del mio racconto preferito di Salinger, contenuto nella raccolta Nove racconti. L’ho scelto perché la protagonista del racconto, Esmé, è una bambina atipica, dotata di una grande impertinenza ma anche di una grande sensibilità nell’intuire la sofferenza degli altri. Mi piace pensare che questo sia il mio approccio alle storie contenute nei libri e non solo. Almeno questa era l’idea nella mia testa, non so se sono riuscita a trasmetterla.

      2) Chi c’è dietro Con amore e squallore?

      Il mio volto e la mia identità non sono poi così misteriosi, avendo un canale YouTube in cui non solo imbastisco lunghi monologhi su tutto lo scibile umano, ma parlo spesso anche della mia vita da studentessa fuorisede. In poche parole: sono una siciliana trapiantata a Milano. Quante volte avete già sentito questa presentazione? Mi sono laureata prima in Lettere Moderne e poi in Comunicazione per le imprese e i media. Adesso mando curriculum e medito un Master in Editoria (che nel frattempo Ilenia ha iniziato, ndr), ovvero penso a fantasiosi modi per suicidare la mia carriera. Sono per natura curiosa e credo fermamente che i libri siano il mezzo migliore per imparare ciò che non conosci. Se non so fare qualcosa, di solito, è tra le pagine di un libro che cerco.

      Guardo troppe serie tv, amo molto camminare e nuoto come un pesce (ma senza il fisico della Pellegrini). Tutti rimangono stupiti dal fatto che ascolto il rap. Non è tutto qui ma l’essenziale c’è. Ah, dimenticavo. Io dico arancino, non arancina.

      3) Il tuo scaffale d’oro

      Il grande Gatsby su tutto e tutti. Ad finem fidelis. Cosmopolis di Don DeLillo. L’isola di Arturo di Elsa Morante. Middlemarch di George Eliot. Colazione da Tiffany di Truman Capote. La macchia umana di Philip Roth. La boutique del mistero di Buzzati. Il giovane Holden. Ehi, aspetta ma quanti libri ci stanno su uno scaffale? Meglio fermarsi qui.

      4) Un personaggio in cui ti immedesimi particolarmente

      Ahimè, Madame Bovary. Sempre ad aspettarsi che il meglio sia altrove. Il bovarismo credo sia inevitabile, anche in percentuali minime, per qualunque lettore.

      5) Se il tuo blog fosse una canzone..

      Like a rolling stone. Sempre irrequieta, senza una direzione precisa, un po’ persa ma almeno non ci si annoia, il viaggio è parecchio eccitante.

      6) Il tuo rapporto con la scrittura/con la lettura

      Mi piace scrivere ma la mia idea della scrittura è ormai troppo alta perché possa immaginare di avvicinarmici seriamente, visto che le mie doti sono mediocri. E poi sono molto pigra ed incostante con le parole. Le amo, le odio, ne cerco sempre di nuove e per questo preferisco affidarmi spesso al parlato che allo scritto. La conversazione e il dialogo, in questo momento, mi appartengono di più.

      So che può risultare confuso ciò che ho detto. Appunto. Per quanto riguarda la lettura, mi limito a dire che leggere ha cambiato la mia identità. Capisco che per molte persone non sia così ma lo è stato per me. Come penserei, cosa farei, chi sarei, se non avessi passato così tanto tempo dentro le menti di altri, è per me un’incognita.

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      Posted in Guestpost e interviste | 1 Comment | Tagged bovarismo, Colazione da Tiffany, con amore e squallore, cosmopolis, Dino Buzzati, Don DeLillo, Elsa Morante, emma bovary, Francis Scott Fitzgerald, george eliot, Il giovane Holden, Il grande Gatsby, Ilenia Zodiaco, J.D. Salinger, L'isola di Arturo, la boutique del mistero, La macchia umana, Philip Roth, Madame Bovary, middlemarch, Philip Roth, Truman Capote, un'ora con
    • Cartoline da New York: passeggiate letterarie

      Posted at 11:50 am01 by ophelinhap, on January 20, 2016

      Ho un rapporto un po’ strano con New York. Nel senso, non è stato amore a prima vista, anzi. Ci sono andata per la prima volta tre anni e mezzo fa. Arrivavo da Boston, dal mio New England, dal verdissimo campus di Harvard: New York mi era sembrata troppo. C’è anche da dire che in ogni viaggio cerco qualcosa di quella Albione che possiede il mio cuore da decenni ormai: in questo sono un po’ come Henry James, lo scrittore sospeso tra due continenti, che viveva a Washington Square (che sembra quasi londinese), sostenendo che fosse la parte “più squisita” di New York, più quieta, più ricca, più onorevole. Oggi al posto della casa di Henry James c’è una delle facoltà della NYU, ma Washington Square (dove abitavano anche Edith Warthon, la regina dei salotti newyorchesi, e Edward Hopper) mantiene quell’aspetto un po’ romantico, un po’ decadente, un po’ demodé che mi fa sempre sognare ad occhi aperti.

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      Washington Square

       

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      Qui ha vissuto Edith Wharton

       

       

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      Qui ha vissuto Edward Hopper

      Comunque, avevo cercato di mettere nero su bianco i miei alti e bassi con New York in un racconto (che trovate qui) ispirato ad una canzone di Leonard Cohen.
      Questa volta, la mia esperienza con New York è stata diversa: sarà stato il Natale, sarà stata la ferrea volontà di cercare di non fare la turista e di andare semplicemente alla ricerca delle cose che mi piacciono, senza orari né programmi.

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      Rockefeller Center

      Attraversando a piedi il Brooklyn bridge la sera del ventisei dicembre ho capito finalmente cosa intendesse Joan Didion quando scriveva che a New York “tutto sarebbe potuto accadere, ogni minuto, ogni mese”: lasciandomi alle spalle la (relativa) oscurità di Brooklyn per farmi abbracciare dalle sfavillanti luci di Manhattan, ho pensato che in fondo la cosa che rende New York un posto assolutamente unico al mondo non sono gli sgargianti billboard di Times Square, né la silhouette dell’Empire State Building (o dell’elegante Chrysler, il mio preferito, o del buffo Flatiron). La cosa che rende New York unica al mondo è questo senso di possibilità, questa certezza quasi matematica (che magari dura solo mezz’ora, come nel caso della mia traversata) che tutto possa cambiare, che nella Grande Mela sia possibile lasciarsi tutto alle spalle, liberarsi dei fardelli del passato e respirare a pieni polmoni, reinventandosi, imparando di nuovo ad essere felice.

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      Con questa nuova sicurezza in tasca ho smesso di pianificare e, affidandomi semplicemente alle mie mappe letterarie di NYC, sono andata alla ricerca di librerie indipendenti e non, mostre, angoli meno popolati ma non per questo meno affascinanti. Ho camminato per ore per il Village sotto la pioggia, ritrovandomi poi a Little Italy e trovando rifugio nella McNally Jackson Books, dove ho afferrato una copia di All My Puny Sorrows (in italiano I miei piccoli dispiaceri, edito da Marcos y Marcos) di Miriam Toews e ne ho letto d’un fiato le prime quaranta pagine, per poi finire il libro nel Greyhound da New York a Philadelphia.

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      Tra un pretzel e un sidro di mele dello Union Square Farmers Marker, sono arrivata al mitico Strand Bookstore, che ospita 18 miglia di libri, un piano dedicato a magnifiche edizioni antiche, prime edizioni e edizioni per collezionisti e una sorta di immensa caverna sotterranea di libri usati. Quest’ultima mi ha però deluso: nella sezione saggistica e critica letteraria i libri non erano disposti in ordine alfabetico, ma un po’ a caso. La polvere e il gran numero di persone non aiutano poi a cercare con calma libri interessanti, e i prezzi dell’usato non sono molto bassi. Poco male: sulla Fifth Avenue ho trovato uno stand dello Strand Bookstore, di fronte all’elegante Plaza Hotel, dove ho potuto spulciare libri a piacimento (e all’aperto), nonostante l’aria frizzantina di un tardo pomeriggio dicembrino.

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      Copia di “Little failure” autografata da Gary Shteyngart

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      Copia di “Invisible Monsters” con autografo e dedica di Chuck Palahniuk

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      Sempre alla ricerca di libri usati e edizioni varie, sono finita al Brooklyn Flea Market (che durante i mesi invernali si tiene al chiuso), una vera chicca per gli amanti del vintage.

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      Amo i campus delle università americane. Sono così eleganti, così ordinati, dall’architettura raffinata e dalle biblioteche così accoglienti che ti fanno venire voglia di mollare tutto e sederti su una poltrona di pelle e avvicinarti a un tavolo di mogano, alla luce fioca di una lampada, e leggere fino all’orario di chiusura. Non potevo non visitare la Columbia University, dove hanno studiato Isaac Asimov, Paul Auster, Federico García Lorca, Allen Ginsberg, Langston Hughes, Jack Kerouac (che ha abbandonato gli studi prima di laurearsi), Ursula K. Le Guin, Carson McCullers, J.D. Salinger, Hunter S. Thompson, Theodore Roosevelt, Franklin Delano Roosevelt e Madeline Albright, per citare un paio di nomi.
      La Columbia è famosa per la sua scuola di giornalismo, fondata da Joseph Pulitzer – sì, quello del premio, che è stato creato appunto dall’università e viene assegnato ogni anno ai fortunati vincitori nella Low Library.

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      Columbia University Bookstore

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      Columbia University Bookstore

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      Columbia University Bookstore

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      Columbia University Bookstore

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      Columbia University Bookstore

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      Wendell Berry 🙂

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      Dalla Columbia sono passata a Central Park e sono andata alla ricerca delle anatre di Holden Caulfield (confermo che il lago era pieno di pennuti, probabilmente perchè è stato un Natale caldissimo a New York). Di Central Park amo le panchine: mi piace fermarmi a leggere le dediche sulle targhe, immaginare le vite delle persone che si sono intrecciate magari proprio tra gli alberi, le foglie e i sentieri del parco, i loro volti, le loro storie.

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      Pensando a Walt Whitman e alla sua Crossing Brooklyn Ferry, ho preso il traghetto per Staten Island nel corso di una mattinata azzurra e freddissima, contemplando lo skyline di Manhattan e la Statua della Libertà.

      What is it, then, between us?

      What is the count of the scores or hundreds of years between us?

      Whatever it is, it avails not—distance avails not, and place avails not.

      Cosa c’è da fare a Staten Island? Poco e niente, come ho avuto modo di appurare. Nell’isola c’è una cittadina storica, Richmond, che avrei voluto visitare, ma dista una cinquantina di minuti dal porto e, nella città che non dorme mai, il tempo è tiranno. Mi sono rifatta con uno stupendo tramonto su Wall Street e una passeggiata a Williamsbourg.

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      Una delle tappe più piacevoli della mia vacanza newyorchese è stata la visita alla mostra dedicata a Hemingway, Ernest Hemingway: Between Two Wars, ospitata dalla Morgan Library & Museum. Sfortunatamente non si potevano scattare foto all’interno, ma era ricca di tesori per gli amanti di good ol’Ernest: lettere all’ultima moglie Mary, la lettera che Salinger gli scrisse nel 1945 e che rimane una testimonianza dell’amicizia tra i due scrittori, i divertenti carteggi tra Hemingway e Fitzgerald, le lettere di Dorothy Parker, che si preoccupava alquanto del giudizio di Hemingway. E poi ancora quaderni manoscrittti, progetti di scrittura, appunti: una vera e propria immersione nel mondo di Hemingway e nel ruolo che le due guerre mondiali e la guerra civile spagnola hanno giocato nel suo immaginario di scrittore. Nello shop del museo mi sono regalata Hemingway in love, un memoir su Ernest e le sue donne scritto dall’amico A.E. Hotchner, e una raccolta di racconti di Hemingway.

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      La notte del 31 dicembre mi sono ritrovata in mezzo a un milione di persone a Times Square, ad aspettare la caduta della palla. Non amo particolarmente l’ultimo dell’anno: arriva sempre col suo carico di rimpianti, di malinconia e di bilanci, di propositi per l’anno nuovo che verranno puntualmente riscritti o abbandonati nel corso delle prime due settimane di gennaio. Mi sono ritrovata ad osservare le persone intorno a me, armate di fischietti e di incontenibile entusiasmo, e mi sono ritrovata a chiedermi a cosa pensassero, cosa causasse quell’incontenibile allegria. Con la mezzanotte è arrivata anche la mia risposta: festeggiavano semplicemente il fatto di essere vivi, di essere riusciti a rimanere a galla per un altro anno, di essere circondati dalle persone che amavano, di avere la possibilità di dare il benvenuto al 2016 tra le luci sfavillanti di Times Square, nella città in cui ogni strada sembra una possibilità e nessun obiettivo sembra irraggiungibile. Nella città in cui sembra possibile lasciar andare gli errori del passato e ricominciare da zero, abbracciando con fiducioso entusiasmo tutto il futuro che ci sarà.

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      Soundtrack: New York, New York,  Frank Sinatra

      Posted in Cartoline | 22 Comments | Tagged A.E. Hotchner, All my puny sorrows, Brooklyn Bridge, Carson McCullers, Columbia University, Crossing Brooklyn Ferry, Dorothy Parker, Ernest Hemingway, Federico García Lorca, Francis Scott Fitzgerald, Frank Sinatra, Franklin Delano Roosevelt, Hemingway in Love, Henry James, Hunter S. Thompson, I miei piccoli dispiaceri, Il giovane Holden, Isaac Asimov, J.D. Salinger, Jack Kerouac, JD Salinger, Joan Didion, La lettrice rampante, Langston Hughes, Letteratura americana, Little Italy, Madeline Albright, Manhattan, Marcos y Marcos, McNally Jackson Books, Miriam Toews, Morgan Library, Paul Auster, Philadelphia, Premio Pulitzer, Staten Island, Strand Bookstore, Theodore Roosevelt, travelling, Turismo letterario, Ursula K. Le Guin, viaggi e altri viaggi, Walt Whitman, Washington Square
    • Il Calendario dell’Avvento Letterario#11: Holden Caulfield torna a casa per Natale

      Posted at 11:50 am12 by ophelinhap, on December 11, 2015

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      Questa casella è scritta e aperta da Laura di Il tè tostato, alla quale facciamo tanti tanti auguri di buon compleanno 😉

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      “Vi racconterò giusto la roba da matti che mi è capitata sotto Natale, prima di ritrovarmi così a pezzi che poi sono dovuto venire qui a stare un po’ tranquillo”
      (Il giovane Holden, trad. Matteo Colombo)

      Il giovane Holden: il romanzo sulla guerra che mai la nomina. Il racconto del disagio che viene da un procurato dolore dell’anima, che per essere scritto e sentito portò il proprio autore in Normandia nel D-Day. Holden sbarcò a Utah Beach il 6 giugno 1944 sotto forma di sei capitoli, che avrebbero dovuto portare fortuna a Salinger e lo avrebbero spinto a tornare a casa per essere conclusi. Il misterioso libro in mano ad assassini e psicopatici, con quel titolo intraducibile, The catcher in the Rye, pieno d’America, di un autore semi-eremita, di solitudine e di bisogno di ritorno.
      Il mio libro preferito, il mio personaggio preferito, l’unico romanzo che posso aprire a caso e iniziare a leggere come se lo avessi appoggiato sul comodino poche ore prima, una magia rarissima e immediatamente annunciata, perché dalla prima pagina si legge di ciò che capita a Holden Caulfield nei pochi giorni che precedono il Natale, presumibilmente quello del 1949, a New York, la sua città.

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      E si sa che prima di Natale le emozioni si acuiscono, le antenne dei sentimenti si accendono insieme alle lucine degli addobbi. Holden è stato espulso dalla sua scuola, non sarà riammesso dopo le vacanze e allora se ne va prima, non dicendo nulla ai suoi genitori. Torna in città, ma senza poter andare a casa, vagabondando tra sé e sé e sui marciapiedi che conosce così bene. Holden si trova in un limbo tra la Pencey, la sua scuola, e il non esserne più uno studente, tra dove dovrebbe essere e dove dovrebbe andare, incastrato tra persone che non stima – la maggior parte dei suoi compagni, dei suoi professori – e il bisogno di non essere solo, le persone che ama, ma che non può raggiungere – la sua famiglia – e il pensiero di andarsene da tutto.
      E lì, incastrato nel limbo dei giorni di attesa, prima di poter tornare per Natale, immerso nella sua città che diventa un non luogo dell’anima – quello in cui attende, circondato dalla solitudine che prova a colmare con le mille comparse che incontra e coinvolge nella sua vita – Holden è fermo e aspetta che passino i giorni che lo dividono dal Natale, quando potrà tornare a casa; perché è questo che si fa a Natale, si torna a casa.  Holden è un bisognoso e non solo di amore, ma di autenticità e concretezza: lui nota i sorrisi che gli sembrano venire da dentro, i movimenti, le voci e le parole che gli sono rivolte, ha bisogno di corrispondenza tra ciò che viene detto e ciò che appare, cerca di avvicinarsi davvero alle persone e ne rimane ogni volta più deluso. Così, a sedici anni, vive nel ricordo del fratello Allie, che non c’è più, ma era reale; nel sogno di avere accanto la sua amica Jane, perché lei è diversa, non è come le altre, e nell’incapacità di essere confortato, se non dalla sua sorellina Phoebe. Holden è uno smarrito che ha bisogno di fare ritorno e non c’è momento più emblematico dei giorni dell’avvento perché quel bisogno si acuisca e il ritorno avvenga.

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      Posted in Letteratura e dintorni | 4 Comments | Tagged #AvventoLetterario, Holden Caulfield, Il Calendario dell'Avvento Letterario, Il giovane Holden, Il tè tostato, Laura Ganzetti, Letteratura americana, Matteo Colombo, Natale a New York, The Catcher in the Rye
    • Un’ora con Francesca Baro de Il Club dei Libri

      Posted at 11:50 am11 by ophelinhap, on November 27, 2015

       

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      In mezzo al caos di questi giorni, ho passato una piacevolissima ora (virtuale) con Francesca de Il Club dei Libri, che ha condiviso con me un momento importante: la scoperta di un libro che, da lettrice scettica e recalcitrante, l’ha fatta diventare una lettrice avida e appassionata. Oggi Francesca, oltre a scrivere di libri sul blog, organizza anche un gruppo di lettura tridimensionale (ebbene sì, esistono ancora, e il suo si preannuncia ricco di sorprese e spunti interessanti, quindi se abitate dalle parti di Ivrea non fatevelo scappare! A proposito, Francesca, quand’è che inizi a pensare di predisporre un collegamento Skype, così partecipo anch’io?)

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      1) Il Club dei Libri: come e perché?
      Nel 2012, insieme ad altre due amiche, avevo aperto un blog letterario. Ero totalmente inesperta di blog, di atmosfera nel mondo di internet, di tutto insomma. Avevo deciso di partecipare all’avventura semplicemente perché mi piaceva leggere e mi piaceva confrontarmi con gli altri sulle cose che leggevo.
      Senza stare a dilungarmi più di tanto, ho scoperto presto che non era proprio tutte rose e fiori il mondo dei blog, anche se non c’è nulla da guadagnare, non ci sono posizioni da scalare e gente da impressionare per diventare capo di qualcosa. Se la nostra avventura era iniziata ad agosto, arrivati a Natale io ero già totalmente scoraggiata e demoralizzata, mi facevo un sacco di pensieri, leggevo “per aggiornare il blog” perdendo totalmente il piace della lettura perché prevaleva il senso del dovere per qualcosa che nemmeno mi piaceva più fare.
      Le cose si sono trascinate ancora per qualche mese, fino a che a giugno del 2013 abbiamo chiuso il blog e io ho chiuso ogni cosa social che potesse in qualche modo riguardare i libri.
      Poi, però, è passato il tempo e con esso il fastidio e la rabbia per le cose che erano successe e ho cominciato di nuovo a pensare di aprire un blog letterario senza avere veramente il coraggio di farlo. Così ho iniziato su Instagram a scrivere le recensioni dei libri che leggevo sotto le foto, in forma breve e concisa e ho inventato un hashtag, #ilclubdeilibri, appunto, per far sì che altre persone potessero scrivere questi brevi pensieri libreschi e condividerli con tutti e creare così un club vero e proprio di amici lettori.
      Da questa condivisione e dall’adesione entusiasta che l’hashtag ha ricevuto (e anche grazie all’incoraggiamento di qualche amica) a febbraio è (ri)nato Il Club Dei Libri, con molte meno paranoie, molti meno pensieri, zero seghe mentali e tanta voglia di scrivere.

      2) Chi c’è dietro Il Club dei Libri?
      Francesca, che non è affatto nata lettrice. Da piccola rifiutavo i libri e la lettura come i bambini rifiutano la verdura! Mia mamma era disperata, soprattutto quando le ho comunicato che avevo deciso di fare il liceo classico.
      Da quel momento, intorno all’inizio della terza media, la sua missione era diventata una sola: convertire la figlia alla lettura. Caso vuole che, proprio di fronte a casa nostra, abitasse una maestra che è anche amica di mia mamma. È stata lei a prestarmi il libro che mi ha cambiato la vita: La lunga vita di Marianna Ucria.
      Non so nemmeno io cosa di preciso mi ha spinto a superare la prima pagina, forse le minacce di mia mamma o forse direttamente la sua presenza fisica di fianco a me, pronta ad impedirmi di muovermi fino a che non avessi letto un tot di pagine, fatto sta che non solo ne ho lette venti pagine, ma anche quaranta, ottanta centoventi e via fino alla fine. E, una volta letta l’ultima pagina, mi sono sentita persa senza Marianna, senza la sua storia e senza tutte quelle parole scritte nero su bianco.
      Insomma, la Maraini aveva compiuto il tanto sperato miracolo.
      Mi è successo un po’ quello che dice l’Holden Caulfield di Salinger:

      “Quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere vorresti che l’autore fosse un tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira”.

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      Da allora di acqua sotto i ponti ne è passata tanta e mentre cresceva Francesca, è nata e cresciuta la Francesca Lettrice che la pensa esattamente come Rigoberto di È finito il nostro carnevale del grande Fabio Stassi:

      “I libri, per me, sono sempre stati come i numeri della roulette. Una questione d’istinto e di fortuna. Non avevo la minima idea di quale avrei scelto. Mi lasciavo attirare dalla copertina, dal nome dell’autore, da una frase; ne sfogliavo le pagine come un ladro, in piedi. Era il piacere dell’imprevedibilità, lo stesso che provavo quando conoscevo una donna. Quasi sempre valeva la pena. Ed erano scoperte, innamoramenti, smanie”.

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      È esattamente così che la maggior parte dei libri entrano nella mia libreria e, anche se ho preso qualche cantonata, lo ritengo un metodo parecchio infallibile perché mi ha permesso di scoprire vere e proprie meraviglie e mi ha fatto conoscere autori che, altrimenti, con forte probabilità, non credo avrei mai letto.
      È cosi che mi sono innamorata di Agatha Christie, che mi sono lasciata attirare dai best seller, che ho letto Dan Brown e Ken Follet, che ho conosciuto la letteratura inglese, un po’ quella francese, i classici russi, la letteratura israeliana che ho conosciuto con timore e mi ha catturata con passione.
      Ma quella che amo in assoluto più di tutte, che ha rubato il cuore e non me lo ha mai più restituito è la letteratura americana.
      Mi piace innanzitutto perché adoro fortemente quella terre, con le sue promesse di gloria e le sue contraddizioni profonde, mi piace il modo che gli americani hanno di guardare al loro paese e di guardare loro stessi senza farsi sconti; la crudezza del loro modo di scrivere che, accompagnata alla limpidezza del linguaggio, riesce a suscitare sentimenti ed emozioni travolgenti.
      Siccome sono anche una persona che si perde facilmente, ad aiutarmi c’è una mia carissima amica: Elisa. Ci siamo conosciute sei anni fa grazie ad uno scambio su aNobii e, da allora, siamo diventate amiche prima libresche e poi anche nella vita. E sono felice che sia al mio fianco in questa avventura.

      3) Il tuo scaffale d’oro
      Questa è sempre una domanda temuta da tutti i lettori. E io, sadica, l’ho riproposta anche ai librai che intervisto. Comunque, tornando seri e tornando a noi, il mio scaffale ideale è questo:

      J.D. Salinger, qualsiasi libro
      La peste, Albert Camus
      Io sono Charlotte Simmons, Tom Wolfe
      Le ore, Michael Cunningham
      Via col vento, Margaret Mitchell
      Espiazione, Ian McEwan
      La macchia umana, Philip Roth
      Revolutionary Road, Richard Yates
      Un albero cresce a Borooklyn, Betty Smith
      The Help, Kathryn Stockett
      Principianti, Raymond Carver
      Le regole della casa del sidro, John Irving
      Il meglio della vita, Rona Jaffe
      We are family, Fabio Bartolomei
      La commedia umana, William Saroyan
      Una banda di idioti, John Kennedy Toole
      Stoner, John Williams
      L’infinito nel palmo di una mano, Gioconda Belli
      Follie di Brooklyn, Paul Auster
      Questo bacio vada al mondo intero, Colum McCann
      Molto forte, incredibilmente vicino, Jonathan Safran Foer
      Ogni cosa è illuminata, Jonathan Safran Foer
      Luce d’estate ed è subito notte, Jòn Kalman Steffànson
      Pian della Tortilla, John Steinbeck
      L’opera struggente di un formidabile genio, Dave Eggers
      La scopa del sistema, David Foster Wallace

      4) Un personaggio in cui ti immedesimi particolarmente
      Eugenia Phelan, detta Skeeter, la rossa ragazza bianca che vive nella Jackson degli anni ’60 creata dalla penna di Kathryn Stockett e protagonista del suo The Help.
      La sua voglia di cambiare le cose, che si concretizza anche in fatti e non solo nelle parole e la conseguente trasformazione in pecora nera, è una cosa che ho vissuto sulla mia pelle in un periodo particolare della mia vita. Sembra una cosa brutta, ma in realtà è una situazione difficile che porta a qualcosa di bellissimo, sempre. Ha cambiato in meglio me e la mia vita e la stessa cosa è successa a Skeeter.
      (Anch’io adoro Skeeter, Francesca! Sarà che combatto con i ricci, come lei, e non sopporto il conformismo?)

      5) Se il tuo blog fosse una canzone
      People are strange dei The Doors perché il mio blog ed io siamo decisamente strange: Il Club dei Libri è nato per un puro piacere personale, per soddisfare me stessa e il mio bisogno di mettere per iscritto le sensazioni e i pensieri che i libri mi suscitano. Ovvio che, una volta creato, l’ho pubblicizzato e ho creato la pagina facebook e ogni volta che vedo il numerino salire sono contenta, però diciamo che non mi deprimo e non mi strappo i capelli se questo non succede.
      Quando ho deciso di aprire di nuovo un blog, ho deciso che il mio motto sarebbe stato “take it easy” perché per me quel mio spazio è l’isola che non c’è, il luogo dove so che posso rifugiarmi quando il mondo, qua fuori, mi sta stretto. Non c’è nessuna pretesa di ricercare la fama, di farmi notare per arrivare a qualcosa, nessuna speranza o sogno di trovare un lavoro.
      Capito perché People are strange? 😉

      6) Il tuo rapporto con la lettura
      Come tutte le relazioni che funzionano bene e funzionano per anni, il nostro rapporto non è costante ma cambia nel tempo e cresce mentre cresco io. In questo periodo, ad esempio, io e la lettura ci frequentiamo molto meno assiduamente rispetto a qualche mese fa.
      Altre volte, invece, siamo compagne inseparabili e non mi vedo mai senza un libro in mano.
      In generale, però, la lettura e i libri sono il posto in cui mi rifugio ogni volta che ho bisogno di scordare il resto del mondo.
      Dopo le braccia di Alberto, ovviamente ❤

      7) Progetti in cantiere
      Sicuramente riprendere La Libreria dell’Armadillo con le interviste ai librai indipendenti: è un progetto che mi piace molto, che mi ha dato tanto, però è faticoso perché questi librai bisogna un po’ rincorrerli. Ma le cose facili a noi mica piacciono, no?
      Altro progetto che sta decollando, alla grande contro ogni mia aspettativa, è il book club che ho deciso di organizzare qui ad Ivrea: si chiama Il Club Dei Libri (poteva essere diversamente?) e lo gestisco insieme ad un’amica. Ogni mese ci troviamo, di solito il terzo venerdì, e chiacchieriamo del libro che abbiamo letto o che avremmo dovuto leggere, la partecipazione agli incontri non è legata alla lettura del libro, ovvio che se lo si legge è più bello e divertente.
      Inoltre, da qualche giorno a questa parte mi frulla in testa qualcosa che ho pensato di chiamare “American Feelings”: l’intento sarebbe quello di raccontare e approfondire autori, stati, tradizioni, correnti letterari senza alcuna pretesa accademica (di McMusa ce n’è una sola ;P), semplicemente attraverso gli occhi di una lettrice che si è innamorata dell’America anche e, soprattutto, attraverso i libri.
      Ultimo, ma non ultimo, una nuova rubrica che in nuce esiste già da mesi, ma che tra una cosa e l’altra è sempre rimasta in bozza: Con un Libro in Valigia. Ogni volta che parto per un viaggio, che sia di settimane o di due giorni, mi porto sempre in valigia un numero proporzionato di libri che poi tengo sempre in borsa. L’intento di questa rubrica sarebbe quello di raccontare i miei viaggi attraverso i libri che mi hanno accompagnato nell’avventura.
      Insomma, di carne al fuoco ce n’è tanta e spero di non perdermi per la strada.
      (Te lo auguro, grazie della chiacchierata!)

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      Posted in Guestpost e interviste | 0 Comments | Tagged Agatha Christie, È finito il nostro carnevale, Dacia Maraini, Dan Brown, Dave Eggers, Espiazione, Ian McEwan, Eugenia Phelan, Fabio Stassi, Francesca Baro, Il Club dei Libri, Il giovane Holden, Io sono Charlotte Simmons, Tom Wolfe, JD Salinger, Jonathan Safran Foer, Kathryn Stockett, Ken Follett, La lunga vita di Marianna Ucria, La macchia umana, Philip Roth, La peste, Albert Camus, La scopa del sistema, David Foster Wallace, Le ore, Le regole della casa del sidro, John Irving, Michael Cunningham, Principianti, Raymond Carver, Revolutionary Road, Richard Yates, Skeeter, The help, Un albero cresce a Borooklyn, Betty Smith, Via col vento, Margaret Mitchell
    • Cocktail letterari, tra libri e bollicine

      Posted at 11:50 am07 by ophelinhap, on July 14, 2015

       

      tequila

      Avvertenza: un numero considerevole di cocktail è stato consumato per scrivere questo post. Quali sacrifici non si fanno in nome della ricerca…

      Image courtesy of http://bit.ly/1LIAEzc

      Image courtesy of http://bit.ly/1LIAEzc

      Siete tutti in vacanza? Siete tutti al mare, come sembrerebbe dal flusso di foto vacanziere su Instagram? Su, ditemi di no, per favore.

      Da queste parti, purtroppo, le tanto agognate vacanze quest’anno non sembrano altro che un sogno lontano, difficilmente destinato a concretizzarsi. E per me estate è sinonimo di temperature tropicali, sale sulla pelle, capelli spettinati, quella sabbia bianchissima e ostinata che sembra resistere a ogni tentativo di lavaggio, acque verdazzurre, e un Mojito al tramonto.

      In assenza di tutti  – o quasi – gli elementi citati, mi consolo con un paio di cocktail.. letterari. Ma andiamo con ordine.

      La parola “cocktail” sembra aver fatto la sua comparsa per la prima volta nel 1798 nell’edizione del 20 marzo di un giornale satirico, l’ormai defunto The Morning Post and Gazetteer, nell’ambito di una curiosa vicenda: il proprietario della taverna Axe & Gate, tra Downing e Whitehall, vince la lotteria e, estatico, cancella tutti i debiti dei santi bevitori frequentatori della sua bettola. Quattro giorni dopo, il giornale rilascia un elenco di tutti i bevitori i cui debiti erano stati cancellati dalla fortuita vincita alla lotteria, e, sorpresa sorpresa, molti erano noti uomini politici, tra cui William Pitt, il più giovane primo ministro britannico, che avrebbe dovuto pagare due bicchierini di un bibitone chiamato “l’huile de Venus”, uno di “perfeit amour” e tre quarti del (molto meno francese) “cock-tail, volgarmente chiamato ginger”.

      L’origine del “cock-tail” è in effetti molto poco romantica: il termine veniva usato per indicare quei cavalli la cui coda mozzata indicava che non erano purosangue, ma di razza mista. Un rimedio molto comune nei manuali di veterinaria dell’epoca era curare le coliche dei cavalli con un mix di acqua, avena, gin e zenzero; quindi, la prossima volta che la gastrite vi fa piegare in due, o la colite non vi lascia tregua, dimenticatevi Malox, Gaviscon&co: un G&T e passa la paura.

      Il termine “cocktail” viene battezzato con la pubblicazione della prima guida per bartender, nel 1862, ad opera di Jerry Thomas, principal bar tender al Metropolitan Hotel di New York, che nell’introduzione si vanta di fornire chiare indicazioni su come preparare drink mischiando tutte le bevande conosciute negli Stati Uniti, insieme a quelle britanniche, francesi, tedesche, italiane, russe e spagnole, dal punch al julep (giulebbe), creando combinazioni infinite. Ambizioso, il nostro Mr Thomas! Se siete curiosi, trovate la sua guida integrale qui.

      Agli inizi del XX secolo, i cocktail smettono di avere il ruolo di mere comparse e assurgono a protagonisti, anche grazie alla diffusione dei cocktail party negli anni immediatamente successivi alla prima guerra mondiale: c’è bisogno di dimenticare gli orrori della guerra, di leggerezza, di ricominciare a ridere e a celebrare la vita. Quindi via libera alle spalle scoperte, ai tagli di capelli à la gamine delle flapper, alla musica degli anni ruggenti, all’alcool che scorre a fiumi sfidando il Volstead Act, che introduce il proibizionismo negli States (dal 1919 al 1933).

      Lentamente, ma inesorabilmente, i cocktail fanno la loro comparsa anche sulla scena letteraria, dominata in precedenza dal nettare di Bacco e qualche altro liquore. Negli scrittori russi – Tolstoy e Checkov in testa – i personaggi indulgono spesso e volentieri nei piaceri dell’alcool, bevendo vino – e vodka, da – come se non ci fosse un domani.

      Gli scrittori americani si distinguono nella promozione di bollicine&co.: è difficile non associare Fitzgerald al gin, che sosteneva di preferire agli altri alcolici perché non faceva puzzare l’alito (Zelda avrà ringraziato). A Fitzgerald spetta anche l’invenzione del verbo “to cocktail”, coniugato per la prima volta in una lettera a Blanche Knopf, moglie dell’editore Alfred A. Knopf. E chi altri avrebbe potuto creare un tale neologismo, introducendo nel linguaggio un assaggio degli eccessi dei Roarin’Twenties, se non lo scrittore che ne è la perfetta incarnazione, dandy, playboy, brillante, ammirato e sregolato?

      Present: I cocktail, thou cocktail, we cocktail, you cocktail, they cocktail.

      Imperfect: I was cocktailing.

      Perfect or past definite: I cocktailed.

      Past perfect: I have cocktailed.

      Conditional: I might have cocktailed.

      Pluperfect: I had cocktailed.

      Subjunctive: I would have cocktailed.

      Voluntary subjunctive: I should have cocktailed.

      Preterit: I did cocktail.

      (Fonte: Open Culture)

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      Faulkner, da uomo del Sud tutto d’un pezzo, aveva una marcata preferenza per il mint julep (menta, ghiaccio, zucchero e bourbon).

      Il cocktail preferito di Hemingway era invece il mojito (anche il mio, Ernest, anche il mio. Vedi che sarei stata una perfetta quinta moglie?), un mix di zucchero di canna, rum e menta, che preferiva consumare a La Bodeguita del Medio, ormai iconico ristorante tipico cubano, arrivando da una lunga giornata di pesca al marlin, il bestione protagonista de Il vecchio e il mare. Ernest non disprezzava nemmeno il daiquiri (lime, rum bianco, sciroppo di zucchero, ghiaccio tritato); sulla parete de La Bodeguita campeggia una famosa frase di Hemingway, Mi mojito en la Bodeguita, mi daiquiri en La Floridita (storico ristorante di pesce e cocktail bar dell’Avana vecchia). Pare che il vecchio Ernest si cimentasse anche nella creazione di nuovi bibitoni, come il Papa doble (un daiquiri fatto col rum, succo di lime, maraschino e succo di pompelmo) e Morte nel pomeriggio (nome più che azzeccato per un mix letale di champagne e assenzio). Tuttavia, le abitudini alcoliche di Hemingway sono così leggendarie che è difficile delimitare dove finisca la realtà e inizi la mitologia: altre fonti sostengono che, essendo diabetico, lo scrittore preferisse drink senza zucchero e non disdegnasse un martini dry.

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      Il Martini è uno dei protagonisti assoluti della scena letteraria, dalla sua comparsa in Casino Royale di Ian Fleming nel 1953: James Bond lo preferisce molto forte, e la sua ricetta personale prevede tre unità di Gordon’s, una di vodka, mezza di Kina Lillet, una scorzetta di limone, da consumare in un bicchiere da champagne ampio e profondo a sufficienza.

      Tornando a Hemingway, i protagonisti della sua (alcolica) Fiesta consumano (in grande abbondanza) Martini, vino, grappa, assenzio, birra, brandy, Anis del Mono, Izzarra – un liquore basco – e il Jack Rose (applejack – un brandy invecchiato nel legno – granitina e succo di lime), che Jack Barnes ordina mentre aspetta l’affascinante e crudele Brett, ammiratrice di toreri e indossatrice di titoli nobiliari. Bung-o! (Ndrm: è il prosit utilizzato da Brett nelle sue libagioni).

      All’irrequieta Dorothy Parker sono stati attribuiti questi celeberrimi versi

       I like to have a martini, Two at the very most. After three I’m under the table, After four I’m under my host.

      (Apprezzo un martini/ due al massimo/ al terzo sono sotto il tavolo/ al quarto sotto il mio ospite).

      L’ironica poesiola è quasi certamente spuria, nata a seguito di una sua dichiarazione dopo un cocktail party particolarmente riuscito:

      Enjoyed it? One more drink and I’d have been under the host!

      (Se mi è piaciuto? Un altro drink e sarei finita sotto il mio ospite!)

      Il mito del martini di Miss Parker ha portato addirittura alla creazione di un bicchiere da martini che porta il suo nome; in realtà, si vocifera che Dottie preferisse lo scotch.

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      Parker martini glass

      Il martini fa la sua comparsa anche ne Il giovane Holden: Carl Luce, amico del protagonista, lo consuma molto secco e senza olive, mentre Holden preferisce dissetare le scapigliate nottate newyorkesi con scotch&soda.

      L’indimenticabile Holly Golightly di Colazione da Tiffany ama il martini, i Manhattan, che consuma col suo “Fred baby”, i cocktail di champagne e il White Angel (vodka, gin, vermouth). E come dimenticare le orge alcoliche delle feste decadenti di Jay Gatsby? Tra tanti, il gin rickey, un mix di gin, succo di lime e acqua gassata), mentre la frivola Daisy Buchanan condivide con Faulkner la passione per il mint julep.

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      Vi è venuta sete, di cocktail e di libri? Poco male: Tim Federle, attore, scrittore e giornalista, ha compilato una deliziosa guida alle gozzoviglie letterarie, Tequila Mockingbird: cocktails with a literary twist, in cui gioca con gli ingredienti dei cocktail, adattandoli a romanzi e ribatezzandoli. Tequila Mockingbird contiene anche una guida di base per i bartender in erba, drinking games letterari, abbinamenti drink-gruppi di lettura e una miniguida a spuntini da hangover, ovviamente letterari: ad esempio, Alice’s Adventures in Wonder Bread (pane bianco con formaggio svizzero e patè di funghi) o The Deviled Egg Wears Prada ( una variante un po’ esotica delle uova ripiene, con humus, paprika e limone).

      Vi lascio con un paio di cocktail letterari suggeriti da Federle: consumate con moderazione!

      Cocktail d’autore n.1: Rye and Prejudice (da Pride and Prejudice, Orgoglio e Pregiudizio, Jane Austen)

      • tre once* di succo di pompelmo
      • 1/3 di oncia di rye whiskey (whisky di segale)

      Versate gli ingredienti su un bicchiere riempito a metà di ghiaccio, mescolando come se aveste a che fare con un cuore innamorato, pieno di complicazioni.

      Cocktail d’autore n.2: Love in the time of Kahlua (da Love in the time of Cholera, L’amore ai tempi del colera, Gabriel Garcìa Marquez)

      • 1 oncia di rum
      • ½ oncia di liquore al caffè (tipo il Kalhua)
      • 2 once di panna
      • cannella o noce moscata a piacimento

      Mescolate rum, liquore al caffè e ghiaccio, aggiungendo poi la panna e spezie a volontà, per un drink pieno di passioni non corrisposte ed esplosive.

      Cocktail d’autore n.3: Romeo and Julep (da Romeo e Giulietta, William Shakespeare)

      • 6 rametti di menta fresco
      • un cucchiaino da tè di zucchero di canna
      • ½ oncia di schnapps alla pesca
      • ½ oncia di bourbon
      • una lattina di bevanda gassata al limone o al lime

      Mescolate il tutto on the rocks finché lo zucchero si sarà sciolto, poi aggiungete la bevanda al limone/lime e preparatevi ad innamorarvi, velocemente, inesorabilmente.

      Cocktail d’autore n.4: Huckleberry Sin (da Le avventure di Huckleberry Finn, Mark Twain)

      • 5 mirtilli, lavati
      • 2 once di vodka ai frutti di bosco
      • una lattina di gassosa

      Pestate i mirtilli in un barattolo di vetro. Aggiungete ghiaccio a piacimento, la vodka e la gassosa. Sedetevi sui gradini del portico, e godetevi il tramonto (facendo attenzione alle zattere di banditi scalzi che risalgono il fiume).

      Cocktail d’autore n.5: Infinite zest (da Infinite jest, David Foster Wallace)

      • 2 once di vodka
      • un’oncia di limoncello
      • ½ oncia di succo di limone

      Shakerate per bene gli ingredienti e versateli in un bicchiere da cocktail, aggiungendo ghiaccio a piacimento, per un drink giallo come un pallina da tennis.

      Cocktail d’autore n.6: Gone with the wine (da Gone with the Wind, Via col Vento, Margaret Mitchell)

      Dosi per 6 drink (ideale per un gruppo di lettura, o quello che volete voi):

      • una bottiglia di vino rosso
      • 2 once di brandy alla pesca
      • 2 cucchiai di zucchero
      • una pesca, tagliata a pezzettini
      • un’arancia a spicchi
      • 2 bicchieri e mezzo di ginger ale (soft drink a base di estratto della radice di zenzero, bella fredda

      Versate il vino e il brandy in una caraffa, insieme allo zucchero e ai pezzi di frutta. Lasciate a macerare in frigorifero per almeno un’ora. Quando qualcuno degli ospiti si riferirà ad Ashley come una ragazza (non avendo chiaramente letto il libro né – sacrilegio! – visto il film), togliete la caraffa dal frigo, aggiungete la ginger ale e fate sbollentare gli ardenti spiriti, ché domani è un altro giorno

      Cocktail d’autore n.7: The Rye in the Catcher (da Catcher in the Rye, Il giovane Holden, JD Salinger)

      Dosi per 6 drink (ideale per un gruppo di lettura, o quello che volete voi):

      • ½ bottiglia di rye whiskey (whisky di segale)
      • 4 once di succo d’ananas
      • 2 once di succo di limone
      • un litro di ginger beer (letteralmente birra allo zenzero, una bevanda composta da zenzero, zucchero, acqua, succo di limone e lievito)

      Mescolate whisky e succhi di frutta, aggiungendo ghiaccio in abbondanza. Aggiungete gradualmente la ginger beer, shakerate e chiamate a raccolta i vostri amici: è tempo di scacciare quei fastidiosissimi mean reds, e andare avanti.

      Cocktail d’autore n.8: The Portrait of a pink lady (da The Portrait of a Lady, Ritratto di signora, Henry James)

      Dosi per 12 drink (ideale per un gruppo di lettura, o quello che volete voi):

      • un litro di gin
      • 3 tazze di limonata rosa (per il colore, si posso aggiungere alla limonata tradizionale fragole o succo di mirtillo q.b.)
      • 6 once di granitina (succo di melograno più zucchero granulato)
      • un litro di gassosa

      Mescolate tutti gli ingredienti, tranne la gassosa, in una zuppiera da punch. Aggiungete giaccio a piacimento e la gassosa come tocco finale per un rimedio ideale per le pene d’amore, per il rimorso di aver scelto l’uomo sbagliato, di non aver capito se alla fine l’erba era più verde oltre l’Atlantico, o meno.

      *Un’oncia equivale a circa 2,96 cl

      Ancora assetati di cocktail e di libri? Poco male: The Reading Room offre una lista di quindici abbinamenti drink/romanzi (per citarne uno, Il grande Gatsby e il French 75, un mix di gin, champagne, sciroppo, limone e ghiaccio.) Nunc est bibendum!

      Image courtesy of http://bit.ly/1HCL43y

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      Courtesy of http://bit.ly/1HBKxgr

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      Soundtrack: A little party never killed nobody, Fergie (The Great Gatsby soundtrack)

      Posted in Letteratura e dintorni | 5 Comments | Tagged Carl Luce, Casino Royale, Charlotte Brontë, cocktail, cocktail letterari, Colazione da Tiffany, Daisy Buchanan, David Foster Wallace, DFW, Dorothy Parker, Ernest Hemingway, Faulkner, Fiesta, Francis Scott Fitzgerald, Gabriel García Márquez, Henry James, Holden Caulfield, Holly Golightly, Huckleberry Finn, Ian Fleming, Il giovane Holden, Il grande Gatsby, Infinite Jest, James Bond, Jane Austen, Jane Eyre, JD Salinger, L'amore ai tempi del colera, Margaret Mitchell, Mark Twain, martini, mint julep, mojito, orgoglio e pregiudizio, pride and prejudice, Ritratto di Signora, Romeo e Giulietta, Shakespeare, The Reading Room, Truman Capote, Via col Vento, Zelda Fitzgerald
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