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  • Tag: Il cavoletto di Bruxelles

    • Il Calendario dell’Avvento Letterario #1: Natale in casa Shirley-Cuthbert

      Posted at 11:50 am12 by ophelinhap, on December 1, 2017

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                                         Questa casella è scritta e aperta da me medesima.

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      Istruzioni per leggere questo post:

      Scegliete la poltrona più comoda che avete – quella in cui vi rannicchiate dopo una giornata infinita con un buon libro e un bicchiere di vino. Collocatela nel punto più festoso della casa – possibilmente di fronte all’albero di Natale, se, come me, non avete resistito alla tentazione di addobbarlo il prima possibile. Munitevi di una tazza capiente, capace di contenere una dose generosa di eggnog (come insegna il buon vecchio Edgar Allan Poe), di vin brûlé o della cioccolata calda più festosa che abbiate mai bevuto, con gli immancabili marshmallow e bastoncini di zucchero a righe bianche e rosse, che mettono subito allegria.

      Toglietevi le scarpe, sciogliete i capelli, mettere da parte pensieri e preoccupazioni e fate partire la vostra playlist natalizia preferita. Siete quasi pronti.

      Cos’è il Calendario dell’Avvento Letterario e come funziona:

      Il Calendario dell’Avvento Letterario è un progetto nato nel 2015, volto a rivisitare l’attesa dell’Avvento in chiave alternativa e imprevedibile. Il Natale è un periodo di condivisione, e io e gli altri blogger partecipanti vogliamo donare a tutti voi spunti, curiosità, aneddoti natalizi raccontati dai nostri scrittori del cuore o vissuti dai nostri personaggi letterari preferiti. Ogni giorno, uno di noi vi farà compagnia aprendo una casella del Calendario: in cambio, vi chiediamo di regalarci qualche momento del vostro tempo, fermarvi a leggere e a lasciare un commento e visitare i siti degli altri blogger partecipanti, tutti incredibilmente preparati e talentuosi.

      Ecco, ora siete pronti ad aprire la prima casella insieme a noi.

      libri

      Il Natale è un sempre un po’ magico. Tuttavia, negli anni, tante cose contribuiscono ad offuscare il suo incanto: la retorica stagionale smaccatamente buonista e melensa; la strumentalizzazione capitalistica della festa, che diventa una corsa al regalo ‘obbligato’, mettendo il secondo piano la bellezza di donare; la sfilza infinita di obblighi familiari e non, i pranzi e le cene infinite, spesso condite di contrasti e incomprensioni; la spinta a dover essere necessariamente e continuamente felice perché su, è Natale, siamo tutti più buoni, più allegri, più in pace con il mondo.

      No, mantenere e condividere la magia non è facile; per questo, nella prima casella del nostro calendario letterario, vorrei aiutarvi a riscoprirla grazie a una delle mie eroine letterarie preferiti: Anne Shirley, la celeberrima Anna dai capelli rossi.

      Anne non ha avuto una vita facile: orfana, con un passato di solitudine e abusi e due trecce di capelli infuocati che sono la sua pena più grande e l’hanno etichettata come diversa ed emarginata, fuori dai canoni di bellezza della profonda provincia canadese.

      Nonostante tutto, Anne ha un carattere meraviglioso: fantasioso, creativo, curioso, positivo, ma non di quella positività irritante che mi ha fatto odiare le varie Pollyanne della letteratura per ragazzi. La ragazzina dai capelli rossi è infatti anche collerica, estremamente suscettibile e permalosa quando si parla del suo aspetto fisico e dei suoi capelli rossi, votata a attacchi di malinconia che la fanno precipitare ‘negli abissi della disperazione’.

      Quando Anne arriva a casa di Matthew e Marilla Cuthbert, due fratelli di mezz’età, è affamata d’amore. Il suo desiderio più grande è fare parte di una famiglia, convenzionale o non convenzionale che sia. Anne vuole sviluppare un senso di identità, trovare un posto nel mondo che le appartenga e a cui appartenere, essere compresa e accettata per quello che è, con tutte le sue stranezze ed eccentricità. Non è infatti una ragazzina come le altre: avida lettrice, sogna di avere un nome da eroina romantica (Cordelia è il suo preferito), si esprime con un lessico così forbito e ricercato da risultare a volte buffa e riesce a trasformare la realtà che la circonda grazie alla sua mirabolante fantasia.

      Non è facile per i solitari, timidi, riservati fratelli Cuthbert accettare la ragazzina; tuttavia, loro malgrado, Anne entra prepotentemente nei loro cuori e nella loro vita, sconvolgendola completamente.

      C’è una cosa che Anne, cresciuta a pane e vestiti di seconda mano troppo logori e troppo corti, poi abituata da Marilla a indossare vestitini semplici e spartani (che mortificano la sua vanità), ha sempre desiderato: un vestito con le maniche a palloncino, la sua idea di perfetta beatitudine e felicità terrena.

      SI avvicina il Natale e il timidissimo Matthew compie due gesti impensabili: si oppone alla volontà di ferro di Marilla e decide di regalare ad Anne il vestito dei suoi sogni, costringendosi ad entrare in un negozio per signore e ad interloquire con una commessa. La cosa non va nel migliore dei modi, a causa della sua proverbiale timidezza che gli impedisce di parlare con le donne; fortunatamente entra in campo la signora Lynde, formidabile vicina ed ex acerrima nemica di Anne, che si offre di cucire il prezioso vestito.

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      La mattina di Natale, Anne riceve il primo regalo al suo risveglio: la fattoria di Green Gables è coperta di neve, che ricama diademi di perle sull’albero di ciliegio tanto caro alla ragazzina.

      Quando arriva in cucina per la colazione, Matthew, con gli occhi bassi e senza parole, le allunga il suo dono: una nuvola di lanetta e seta marrone, con tanto di pizzi, fiocchetti di seta e due enormi maniche a sbuffo che avrebbero fatto la gioia di ogni ragazzina.

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      Tra la commozione generale, Anne indossa il suo primo vestito elegante per la sua prima recita di Natale, nella quale brilla per il talento drammatico e per quella sicurezza che le deriva dal sentirsi bella, amata e completamente accettata per la prima volta nella vita. Matthew le dona infatti molto più di un vestito: le dona il sorriso, la consapevolezza di far parte di una famiglia che la ama e la appoggia ad ogni costo, un posto nel mondo da chiamare casa.

      Le dona la magia del Natale: un sentimento effimero ed intangibile che abita nel cuore dei fortunati che riescono a provarlo per un periodo di tempo limitato, uno stato di grazia in cui il benessere e la felicità di coloro che amiamo sono il regalo più bello che possiamo ricevere.

      Questa è la magia che vi auguro di riscoprire e condividere, per questo Natale e per tutti quelli a venire.

      Bonus extra: Sigrid de Il cavoletto di Bruxelles ci regala dei buonissimi shortbread degni del tea party organizzato da Anna e da Diana, la sua migliore amica (le due finiscono per ubriacarsi con una bottiglia di liquore di ribes, scambiandolo per sciroppo). La ricetta è tratta dal ricettario letterario Anne of Green Gables Cookbook, curato da Kate MacDonald.

      Ingredienti:

      • una tazza di burro morbido (250 ml)
      • due tazze di farina (500 ml)
      • mezza tazza di zucchero a velo (125 ml)
      • un pizzico di sale
      • un ml di lievito

      Metodo: preriscaldare il forno a 180 gradi. Lavorare il burro fino a ottenere una crema. Aggiungere gradualmente lo zucchero. Mescolare la farina, il sale e il lievito. Aggiungere gli ingredienti secchi alla crema di burro. Stendere l’impasto col mattarello a circa 6 mm di spessore e ritagliare i biscotti.  Cuocere per 20-25 minuti , fino a quando i bordi sono dorati.

      Il consiglio di Sigrid: Questa è senza ombra di dubbio una delle ricette piu burrosissime che io abbia mai fatte. Il risultato però è, in effetti, delizioso, perfetto per occasioni particolari e preziose. Due note di cucina: 1) dopo aver impastato, l’impasto va tenuto al freddo per almeno due ore; 2) è più facile stendere l’impasto fra due strati di carta forno; 3) se in qualsiasi momento dela manipolazione l’impasto diventa appiccicoso, rimetterlo in frigorifero per 10 minuti prima di procedere.

      biscotti

      Bonus extra (bis): una serie di regali non obbligati (letterari e non) per far sorridere le Anne della vostra vita.

      • Un vestito degno di Anne Shirley, per volteggiare a Natale e tutti i giorni dell’anno (Son De Flor)
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      Sondeflor

       

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      Son de flor

       

      La borsa perfetta per portare i libri alle feste (Rory Gilmore docet)

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      Edizioni da collezione del capolavoro di Lucy Maud Montgomery

      • The Folio Society

      the folio society

      • Puffin in Bloom series, Penguin Random House

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      • Puffin Classics, V&A Collectors Edition

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      • Penguin Classics; Deluxe edition

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      • Puffin Classics

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      Soundtrack: Gee I’m Glad I’m No-One Else But Me (dal musical Anne Of Green Gables)

       

      Posted in Letteratura e dintorni | 8 Comments | Tagged #AvventoLetterario, Anne Shirley, Anne With An E, Il Calendario dell'Avvento Letterario, Il cavoletto di Bruxelles, Marilla Cuthbert, Matthew Cutbert, Penguin, Puffin in Bloom, Sigrid Verbert, Son de Flor, The Folio Society
    • Il cibo nei romanzi di Jane Austen

      Posted at 11:50 am01 by ophelinhap, on January 10, 2017
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      Sally Lunn Buns – Photo credits Il Cavoletto di Bruxelles

      I romanzi e le lettere di Jane Austen sono cosparsi di riferimenti a pietanze, cene, picnic, tè, che riflettono le abitudini, il carattere, i sentimenti, le ambizioni, le ansie, le piccolezze della costellazione di personaggi che animano il suo mondo. Tuttavia, si tratta di riferimenti spesso esigui: se le eroine della Austen sono spesso troppo prese dal turbine di eventi – romantici e non – che le coinvolgono per raccontarci cosa hanno mangiato o i loro cibi preferiti, zia Jane sopperisce a questa mancanza di informazioni con le più dettagliate descrizioni presenti nelle sue lettere, che contribuiscono a farci capire l’importanza che la società georgiana (specie i ceti sociali più alti) attribuisce a cosa si mangia – e a quando lo si mangia.

      Nelle sue lettere, Jane si dimostra interessata alla vita domestica a tuttotondo, descrivendo pasti, pietanze, ghiottonerie ricevute in regalo da parenti e amici. La sua prima casa, Steventon Rectory nello Hampshire, la inizia alle dolcezze della vita rurale: suo padre è uomo di chiesa e fattore, dedito all’allevamento di maiali e mucche. Sua madre si occupa del pollame, della produzione di latte, dell’orto e del giardino. La famiglia Austen riesce così ad essere autosufficiente, con l’eccezione di beni quali caffè, tè, arance, limoni e spezie. A venticinque anni, Jane si trasferisce con la famiglia a Bath, e le sue lettere iniziano a fare riferimento alla difficoltà di trovare latticini e carne di qualità – nonché all’annoso problema dei prezzi.

      Tra i contributi più significativi, si annoverano senza dubbio quelli che arrivano da Martha Loyd, intima amica di Jane e sua sorella Cassandra che nel 1805 – dopo la morte del padre – va a vivere con le due sorelle e la madre, prima a Southampton, poi in un cottage a Chawton, nello Hampshire. È proprio a Chawton che Martha Lloyd inizia a compilare il suo libro di ricette, regalandoci così un’interessante, variegata panoramica delle pietanze che Jane consuma con la famiglia e gli amici. Dai suoi scritti, il cibo emerge anche come elemento di identificazione sociale: la gentry, che in periodo georgiano è in piena ascesa, mira infatti a differenziarsi dalle classi inferiori, adottando la moda di pranzare – e soprattutto cenare –sempre piu tardi. Se ci si alza tra le sei e le otto, la gentry inizia a fare colazione dalle nove in poi.

      A colazione si servono tè, caffé e cioccolata, pane e panini caldi e freddi, torte, pound cake (così chiamata perché si prepara con un pound di burro, uno di zucchero, uno di farina e uno di uova), pane tostato con burro, buns (Jane Austen scrive alla sorella Cassandra il 3 gennaio 1801 dicendole di essersi rovinata lo stomaco con i Bath buns, ricchi di burro e di zucchero) e Sally Lunn Buns, un incrocio tra panino e brioche.

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      Sally Lunn Buns – Photo credits Il Cavoletto di Bruxelles

      In Northanger Abbey, Catherine, ospite dei Tilney a Bath, rimane impressionata dalla quantità e dalla raffinatezza dei cibi serviti a colazione: tra i suoi preferiti campeggiano la cioccolata calda e la brioche, di cui parla a profusione una volta rientrata a casa, tanto che sua madre la sgrida, convinta che il soggiorno dai Tilney le abbia messo in testa ingiustificate idee di grandezza. La madre della Austen, ospite di sua cugina a Stoneleigh Abbey nel Warwickshire, descrive una colazione che può darci un’idea del banchetto dei Tilney: tra i cibi che le vengono offerti figurano cioccolata, caffè, tè, pound cake, toast, pane e burro e torte di frutta secca. La colazione diventa più consistente per lavoratori e viaggiatori: prima di lasciare Mansfield Park per recarsi a Londra, William Price mangia maiale e mostarda e Henry Crawford uova sode.

      Il pranzo è un’innovazione vittoriana, introdotta quando la cena viene posticipata dal pomeriggio alla sera; tuttavia, è presente anche in epoca georgiana, seppure non abbia un nome né una fascia oraria fissa. In Orgoglio e pregiudizio, quando Lydia e Kitty vanno incontro a Jane e Lizzie di ritorno da Londra, si fanno offrire da loro un pranzo freddo al George Inn, a base di carne e insalata.

      Come ci ha insegnato Downton Abbey (anche se ovviamente parliamo di momenti storici molto diversi), cambiarsi prima di cena è un momento topico per le signore della casa, che richiede circa un’ora, ma arriva anche a un’ora e mezzo nel caso di Miss Bingley e Mrs Hurst in Orgoglio e pregiudizio. La cena è infatti il momento per mettere in mostra la propria toeletta, i vestiti e le acconciature più alla moda; anche gli uomini cambiano d’abito, specie dopo battute di caccia o altre escursioni all’aria aperta.

      Tè, caffè e dolci vengono serviti circa un’ora dopo la cena, una volta che i signori hanno bevuto il loro porto, fumato i loro sigari e si sono ricongiunti alle signore. Se la cena ha luogo in campagna, ci si intrattiene giocando a carte, suonando o improvvisando un ballo, mentre in città si va a teatro e si cena intorno alle nove. La cena può essere estremamente semplice e consistere di pane e formaggi o un assortimento di piatti freddi, oppure arrivare ad essere una cosa seria, un pasto di varie portate calde servite alla francese: tutte le pietanze della prima portata vengono servite insieme, con il pesce e la zuppa ai due capi della tavola.

      In Orgoglio e pregiudizio, la signora Bennet invita Mr Bingley, con un misto di pretese di grandeur e accenni ad un’intimità che spera si sviluppi presto, a una cena in famiglia. L’invito si concretizza solo alla fine del libro, e la signora Bennet si rivela decisa a servire due portate. Potrebbe sembrare una soluzione modesta, al ribasso, che cozza con le sue pretese di grandeur: in realtà, una portata singola nel periodo georgiano arriva ad occupare l’intero tavolo, in un tripudio di zuppe, pesce, arrosti, torte, fricassee, ragù. Può essere seguita da una seconda portata di dolce e salato e dal dessert (frutta, frutta secca e sweetmeats, per i quali non serve un cambio di coperto). Non si tratta ovviamente di una modesta cena in famiglia, che avrebbe più verosimilmente un’unica portata: la struttura della cena ha un valore allusivo – come spesso succede con le scene di cibo nei romanzi della Austen – e riflette le mire espansionistiche di mamma Bennet, decisa ad avere Bingley come cognato a qualsiasi costo, anche quello di far beccare alla sua primogenita, la bella Jane, un brutto raffreddore pur di far sì che venga ospitata a casa dell’amato. La cena a casa Bennet riassume quelle che sono le patate bollenti della perfetta ospite georgiana: fare bella figura con i vicini più altolocati, stabilire la propria posizione sociale servendo selvaggina e cacciagione, le pietanze dei signorotti della gentry, e introdurre una nota di raffinatezza facendo l’occhiolino ai cuochi e alle pietanze francesi.

      Sempre in Orgoglio e pregiudizio compare una misteriosa zuppa bianca, una pietanza apparentemente laboriosa e di lunga preparazione (Bingley, in procinto di organizzare un ballo a Netherfield, affida la tempistica alla preparazione della zuppa bianca della sua governante, la signora Nicholls; solo quando quest’ultima avrà preparato zuppa a sufficienza Bingley potrà mandare gli inviti). La zuppa bianca ha posto non pochi grattacapi ai traduttori del romanzo, a partire dalla prima traduzione di Giulio Caprin del 1932, dove la Nicholls diventa Nicolò e la zuppa la sua barba bianca. Vi rimando a questo articolo di Giuseppe Ierolli per le ulteriori peripezie della zuppa bianca nelle varie traduzioni del romanzo.

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      White soup  – Photo credits Il Cavoletto di Bruxelles

      Emma è il romanzo che contiene maggiori riferimenti al cibo, che assume anche una funzione di coesione sociale all’interno della comunità in cui la protagonista vive. Offrire cibo a chi ne ha più bisogno è l’atto di carità cristiana più naturale ed immediato, l’elemento che avvicina le famiglie più abbienti a quelle bisognose: la condivisione diventa così uno dei motori che tengono insieme il tessuto sociale dell’universo dei romanzi austeniani.

      Le due signorine Bates, probabilmente i personaggi meno abbienti descritti dalla Austen, ricevono, cucinano e condividono vettovaglie con una gratitudine e una generosità tale che il loro amore per il cibo arriva incensurato al lettore. Sono estasiate oltre ogni dire quando il signor Woodhouse regala loro un pezzo di maiale o Knightley le omaggia di un sacco di mele; commentano con eccitazione i diversi modi in cui hanno intenzione di cucinare il maiale e condividerlo con i vicini, e cercano una soluzione per usare le mele in modo tale da stuzzicare il capriccioso appetito dell’elusiva nipote, Jane Fairfax.

      Le due signorine non possiedono un forno, quindi mandano pane e torte a cuocere da Mrs Wallis, la panettiera del vicinato.

      La frutta è uno dei simboli più forti nei romanzi della Austen, emblema di prosperità e di felicità per le sue eroine – basti pensare alla frutta in serra di cui Elizabeth godrà a Pemberley, alle fragole di Knightley a Downell Abbey, alla frutta secca presente in abbondanza nella torta nuziale della novella signora Weston, che pone all’ipocondriaco padre di Emma il dilemma della sua difficile digestione; la stessa Jane scrive alla sorella Cassandra nell’ottobre 1815 “good apple pies are a considerable part of our domestic happiness”, le torte di mele sono un elemento integrante della felicità domestica: e come darle torto?

      Se tutto questo parlare di cibo vi ha messo fame e volete cimentarvi a preparare alcune pietanze in salsa Regency, ecco due ricette gentilmente offerte da Sigrid de Il Cavoletto di Bruxelles, che per l’occasione ha indossato crinoline e cuffietta e ha ricreato in cucina lo spirito dei romanzi di zia Jane, scattando anche tutte le foto presenti nel post.

      Correte a indossare le vostre toelette migliori, e buon appetito!

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      Sally Lunn Buns – Photo credits Il Cavoletto di Bruxelles

      Sally Lunn Buns

      Questi panini, che sono un delicato incrocio fra panino e brioche, eterei a sufficienza per sposarsi con burro e marmellata senza che l’insieme risulti altro che delizioso e leggero, a quanto pare arrivano da Bath, UK, dove li avrebbe sfornati per prima una fornaia francese, Solange Luyon. Contrariamente alle classiche brioche francesi, l’impasto delle Sally Lunn non è appesantito o arricchito con tanto burro, contiene invece della panna, che rende i panini più golosi e ricchi del pane classico, ma in un modo diciamo discreto e appena percettibile. Ho realizzato questi panini utilizzando la Pasta madre, riporto qui sotto entrambi i procedimenti, sia per il lievito di birra che per la lievitazione naturale.

      Per 12 panini

      farina 00 225g

      farina manitoba (o 00) 225g

      panna fresca 280ml

      uova 2

      zucchero 2 cucchiai

      sale 1 cucchiaino

      lievito di birra granulare 7g

      vaniglia macinata mezzo cucchiaino

      1 tuorlo e poco latte per spennellare

      1. Se usate il lievito di birra a cubetto scioglietelo nella panna che tiepida. Mescolare la farina con il lievito granulare, la vaniglia, il sale e lo zucchero. Versare, in mezzo, le uova e la panna, e impastare per circa 6-8 minuti o finché l’impasto sia elastico e morbido (se risulta troppo secco, aggiungete un goccio di acqua, troppo colloso, aggiungete poca farina). Formare una palla, coprire con della pellicola e lasciar lievitare in luogo tiepido per circa 2 ore.
      2. Riprendere l’impasto, dividerlo in 12 porzioni, formare dei panini tondi e sistemarli su una teglia da forno rivestita con carta forno, lasciando circa 10cm fra un panino e l’altro. Spenellare con il tuorlo sbattuto con del latte, e lasciar riposare per 45 minuti.
      3. Infornare a 200° e lasciar cuocere per 12-15 minuti o finché i panini saranno ben dorati. Sfornare e lasciar raffreddare su una griglia. Servire a temperatura ambiente, con abbondante burro o clotted cream e marmellata.

      Per la versione con il lievito madre:

      Lievito madre (100% idratazione) 230g

      farina 00 175g

      farina manitoba (o 00)175g

      panna fresca 155ml

      uova 2

      zucchero 2 cucchiai

      sale 1 cucchiaino

      vaniglia macinata mezzo cucchiaino

      1 tuorlo e poco latte per spennellare

      1. Mescolare le farine con la vaniglia, lo zucchero e il sale, aggiungere le uova, il lievito madre e la panna tiepida. Impastare per 6-8 minuti o finché l’impasto sia elastico e morbido (se risulta troppo secco, aggiungete un goccio di acqua, troppo colloso, aggiungete poca farina). Formare una palla, sistemarla in una ciotola di ceramica, coprire con della pellicola e lasciar lievitare a temperatura ambiente per circa 2 ore. Trasferire in frigorifero e lasciar riposare per 12 ore.
      2. Riprendere l’impasto, dividerlo in 12 porzioni, formare dei panini tondi e sistemarli su una teglia da forno rivestita con carta forno, lasciando circa 10cm fra un panino e l’altro. Spenellare con il tuorlo sbattuto con del latte, e lasciar riposare per 4-5 ore.
      3. Infornare a 200° e lasciar cuocere per 12-15 minuti o finché i panini saranno ben dorati. Sfornare e lasciar raffreddare su una griglia. Servire a temperatura ambiente, con abbondante burro o clotted cream e marmellata.
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      Sally Lunn Buns – Photo credits Il Cavoletto di Bruxelles

      White soup

      Di base ho usata la ricetta del Telegraph, con qualche piccola modifica.

      Pensavo di ammodernare il tutto usando del brodo pronto fino a quando ho capito che lo charme e nutrimenti di questa zuppa proviene proprio dal brodo fatto in casa, quindi alla fine, per quanto possa sembrare lungo e noioso (nemmeno tanto in realtà), il brodo di carne va fatto dal principio. L’altra piccola modifica che ho apportata è che invece di legare la zuppa con del pane, ho usato della brioche (questo perché mi piaceva molto l’idea del contrasto fra il brodo ricco e sostanzioso, e poi le aggiunte cremose e dolci (panna, mandorle) che si fanno prima di servirlo. Ho resistito, contrariamente alle indicazioni del Telegraph, a rimettere la carne bollita nella zuppa: non credo che all’epoca si fosse fatto, credo che il punto di questa zuppa sia proprio di sembrare delicata e sensibile ma di avere nel contempo una robusta sostanza nascosta (molte proprietà nutrienti della carne si trovano ormai nel brodo) quindi aggiungerci la polpa bollita sembrava cosa rozza da fare (puoi invece usare la carne, tritata con pane, uova, patate bollite, formaggio e buccia di limone per fare delle ottime polpette di bollito alla romana ;)) Nell’insieme, zuppa gradevole e elegante, una bella scoperta, grazie Jane! 😉

      Polpa di vitello 400g

      pancetta 50g

      sedano 2 coste

      cipolla 1

      carote 2

      grani di pepe 10

      un cucchiaio di sale

      un mazzetto di erbe fresche (ho usato origano, salvia, timo e alloro)

      Tagliare tutti gli ingredienti grossolanamente, sistemarli dentro una pentola capiente, coprire con dell’acqua fredda, poi portare a ebollizione. Lasciar sobbollire il brodo per 2 ore circa, poi filtrare il tutto, mettere da parte la carne di vitello e buttare il resto. Lasciar riposare il brodo al fresco per una notte.

      Mandorle spellate 100g

      brioche 2 fette

      panna 3dl

      tuorlo 1

      Il giorno dopo, togliere le eventuali impurità in superficie del brodo. Versarlo dentro una pentole, aggiungere le mandorle e la brioche, e portare a abolizione. Lasciar cuocere piano per 30 minuti. Frullare con il frullatore a immersione, poi filtrare di nuovo in modo da eliminare le mandorle e il pane non sciolto. Riversare nella pentola e portare a ebollizione. Poi, a fiamma bassissima, aggiungere la panna nella quale avrete sciolto il tuorlo, mescolare con un cucchiaio di legno per qualche minuto, senza far bollire. Spegnere, aggiustare sale e pepe, e servire subito.

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      White soup – Photo credits Il Cavoletto di Bruxelles

       

      Per saperne di più

      • Il cibo nel mondo di Jane Austen, Mara Barbuni, Jane Austen Society of Italy
      • Un santo innevato?No, una governante ai fornelli, Giuseppe Ierolli, I libri in testa
      • Dinner With Mr. Darcy: Recipes Inspired by the Novels of Jane Austen, Pen Vogler, Cima Books
      Posted in Letteratura e dintorni | 5 Comments | Tagged Cassandra Austen, Dinner with Mr Darcy, Elizabeth Bennet, Emma, Il cavoletto di Bruxelles, Jane Austen, Janeite, Mansfield Park, Mara Barbuni, Martha Lloyd, northanger abbey, orgoglio e pregiudizio, Pen Vogler, pride and prejudice, ricette letterarie, Sigrid Verbert
    • Il Calendario dell’Avvento Letterario#23: le mince pies di Jane Eyre

      Posted at 11:50 am12 by ophelinhap, on December 23, 2015

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      Questa casella è aperta da me medesima e da Sigrid de Il cavoletto di Bruxelles

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      Quando ho chiesto a Sigrid se aveva voglia di preparare una ricetta letteraria natalizia per il nostro Calendario dell’Avvento, mi ha proposto una serie di elementi e di ingredienti per dare un twist à la cavoletto alle ricette più tradizionali.
      Un ingrediente in particolare mi ha immediatamente colpito; un frutto, che già racchiude in sé – come la madeleine di proustiana memoria – memorie e profumi di casa: la castagna.
      Oltre a far parte dell’immaginario personale e familiare, la castagna è un frutto carico di suggestioni e ispirazioni letterarie. Il primo riferimento letterario che mi ha fatto venire in mente è Jane Eyre, l’amatissimo romanzo di Charlotte Brontë; in particolare, ho ripensato a quel castagno che fa da sfondo all’amore tra Jane e Rochester.

      Un amore forte e resistente ma travagliato, difficile, nodoso come i rami dell’albero stesso.
      Rochester, il misterioso, cupo e inevitabilmente affascinante datore di lavoro di Jane, le dichiara il suo amore sotto questo grande castagno, che, durante la notte, viene colpito e spezzato in due da un fulmine.

      L’albero potrebbe rappresentare l’amore tra Jane e Rochester, e il fulmine la rabbia di Bertha, la moglie segreta di Rochester, segregata nell’attico a causa della sua infermità mentale (per una rilettura della storia di Bertha in chiave post-coloniale, vi suggerisco Wide Sargasso Sea  di Jean Rhys); in questo caso, Rochester sarebbe la metà che resta, legata da un vincolo coniugale da cui non si può liberare, e Jane la metà che fugge, scegliendo di spezzarsi il cuore pur di non cadere nella tentazione di diventare l’amante di Rochester, e mantenere così intatta la purezza del suo amore.
      Il castagno potrebbe anche essere Rochester: lui stesso si paragona all’albero, consumato, rovinato, spezzato, mentre Jane è una pianta giovane, in piena fioritura. Facile capire perché queste mince pies à la cavoletto siano diventate quasi immediatamente le mince pies di Jane Eyre, dedicate al suo coraggio e alla sua inflessibile determinazione che le regala quel lieto fine tanto adatto al clima natalizio che ci circonda: lettore, lo sposai.
      La seconda suggestione letteraria legata alla castagna deriva da una scena del celeberrimo Un Canto di Natale di Dickens:

      “Nel momento in cui la mano di Scrooge si posò sulla maniglia, una voce strana lo chiamò per nome e gli disse di entrare. Obbedì.
      Era proprio la sua stanza, non c’era dubbio, ma aveva subito una trasformazione sorprendente. Le pareti e il soffitto erano talmente coperti di vegetazione, da farli sembrare un vero e proprio bosco in cui da ogni punto luccicavano bacche lucenti. Le foglie dell’agrifoglio, del vischio e dell’edera riflettevano la luce come tanti piccoli specchi e nel caminetto ardeva un fuoco così potente, come quella triste pietrificazione di un focolare non aveva mai conosciuto ai tempi di Scrooge e Marley né per molti e molti inverni passati. Ammucchiati sul pavimento, in modo da formare una specie di trono, erano tacchini, oche, selvaggina, pollame, cosciotti, grandi pezzi di carne, porcellini da latte, lunghe ghirlande di salsicce, pasticci di carne, pudding, barilotti di ostriche, castagne arrosto roventi, mele rosse, arance succose, pere succulenti, torte smisurate e ciotole fumanti di punch, che annebbiavano la stanza col loro vapore delizioso”.
      (Newton Compton, trad. a cura di Emanuele Grazzi)

      Difficile immaginare una scena da cenone natalizio più evocativa di quella descritta da Dickens, vero?

      Lascio ora la parola a Sigrid, alla sua ricetta che sa tanto di Natale e alle sue foto.

      mincepies4_s.jpg_effected

      Per l’impasto:

      farina 00 170g

      burro freddo 100g

      zucchero semolato 1 cucchiaio

      tuorlo 1

      Sbriciolare il burro nella farina fino a ottenere un composto sabbioso. Aggiungere il tuorlo e lo zucchero, due cucchiai d’acqua, e impastare velocemente. Avvolgere in pellicola e lasciar riposare al fresco per 30 minuti.

       

      Per il ripieno

      uvetta 100g

      uvetta di corinto 100g

      cranberries secchi 50g

      whiskey 40ml

      limone mezzo

      arancia mezza

      castagne precotte 80g

      zucchero di canna scuro 100g

      burro 30g

      cannella mezzo cucchiaino

      mela piccola 1

      Grattugiare la buccia del limone e dell’arancia e tenere da parte. Mescolare la frutta secca con il whiskey e il succo della mezza arancia, e lasciar riposare per 20 minuti. Aggiungere poi lo zucchero, il burro fuso, la cannella, le castagne grossolanamente tritate e la mela grattugiata. Mescolare il tutto, versare il composto in un vasetto, chiudere e lasciar riposare per una notte prima di utilizzare.

      Per le mince pies:

      Stendere l’impasto, ritagliare dei dischetti leggermente più grandi dei vostri stampini, farcire con un cucchiaino di ripieno, ritagliare poi dei dischetti, stelline o fulmini di pasta e porre questi ritagli sopra il ripieno, Cuocere in forno a 180°C per 20-25 minuti finché le tortine siano dorate.

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      Posted in Letteratura e dintorni | 2 Comments | Tagged #AvventoLetterario, Bertha, Charles Dickens, Charlotte Brontë, cucina letteraria, Emanuele Grazzi, Il Calendario dell'Avvento Letterario, Il cavoletto di Bruxelles, Jane Eyre, Jean Rhys, Letteratura post-coloniale, libri in cucina, Newton Compton, ricette letterarie, Rochester, Scrooge, Sigrid Verbert, Un Canto di Natale, Wide Sargasso Sea
    • Il Calendario dell’Avvento Letterario#16: un Natale Regency con Jane Austen

      Posted at 11:50 am12 by ophelinhap, on December 16, 2015

      bannervale

      Questa casella, aperta da me medesima, è dedicata a Jane Austen, nata il 16 dicembre 1775, e corredata da una strenna gastro-letteraria offerta da Sigrid de Il cavoletto di Bruxelles.

      janefruitcake

      Inghilterra, fine XVIII secolo: dopo l’embargo del Natale imposto dai Puritani, si ricomincia a festeggiare la stagione dell’agrifoglio e dello Yule, il ceppo natalizio messo ad ardere nel caminetto la notte di Natale.
      Prima dell’epoca Regency non era stata certo the season to be jolly, la stagione dell’allegria, come predica un famoso Christmas carol: nel 1644, Oliver Cromwell aveva deciso di bandire il Natale, sostenendo che favoriva piaceri dei sensi e della carne in grado di obnubilare l’essenza religiosa della festività. I Puritani, in generale, non amavano il Natale perchè lo associavano alla chiesa di Roma, e sostenevano che nelle Sacre Scritture non ci fosse alcuna menzione del 25 dicembre: si trattava semplicemente di un tentativo della chiesa cattolica di incorporare la festività pagana del solstizio d’inverno, svuotandola della sua valenza profana e attribuendogliene una sacra, incoraggiando al tempo stesso i fedeli agli eccessi. I canti di Natale erano stati proibiti, e chiunque si fosse azzardato a cucinare un’oca, una torta o un pudding natalizio sarebbe stato punito con la confisca del bene incriminato e multe salate.

      Fortunatamente, Jane Austen e sua sorella Cassandra vivono nell’era georgiana (1714 – 1830), ben più liberale e permissiva nei confronti del Natale. Il periodo georgiano prende il nome dal primo dei  quatto Hannover ad essere insignito della corona reale in suolo britannico, George I. Il periodo della reggenza degli Hannover, da George I a George IV, viene per l’appunto chiamato regency. E, parlando di Regency, si parla di Jane Austen quasi per antonomasia, identificando il momento storico con la pubblicazione e diffusione dei suoi romanzi, che a loro volta definiscono canoni di abbigliamento e di comportamento che diventeranno tratti essenziali dello stesso periodo regency.

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      Jane e Cassandra, come le altre ragazze dell’epoca, decorano la loro casa (il rettorato di Steventon) di agrifoglio, alloro, rosmarino ed edera. Anche la frutta fresca – specie arance, mele e limoni – viene usata per decorare, sia per il suo profumo, sia come indicatore dello status sociale della famiglia, in grado di permettersi frutta fuori stagione o addirittura in possesso di una serra riscaldata. Si inizia a decorare la casa il giorno della vigilia di Natale: farlo prima porta male.

      kissing bough

      georgian dining room

      A Natale iniziano i dodici giorni di Natale (vi ricordate il Christmas carol di cui vi parlavo qualche casella fa?), che culminano nella Twelfth night, la dodicesima notte, che celebra l’arrivo dell’Epifania. Dalle sue lettere, sappiamo che Jane Austen festeggiava i dodici giorni di Natale: un turbinio di giochi, come sciarade e tableaux vivants (rappresentazioni di quadri viventi), balli e pietanze tipicamente natalizie, come le mince pies (la cui origine risale addirittura all’epoca delle Crociate) nella variante con e senza carne, la Twelfth Night cake, un sacco di punch diversi e l’immancabile Christmas pudding, di cui torneremo a parlare più tardi.

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      Ogni famiglia si prepara a ricevere un flusso costante di ospiti: in particolare, giovani in età da matrimonio – o quantomeno da fidanzamento – di ritorno da università, rettorati, reggimenti, navi della marina inglese. Così il Natale regency, oltre ad essere la stagione della gioia, dei balli e dell’agrifoglio, diventa la stagione del match-making: è il momento di sistemare quelle fanciulle in età da marito che rischiano di vedersi condannate a una vita solitaria di zitelle dai mezzi limitati (ad essere sinceri, quello che sembra più preoccupare le fanciulle dell’epoca è la mancanza di mezzi più che la mancanza di marito. Erano delle Bridget Jones in crinoline e mussoline, insomma).

      The mistletoe or Christmas gambols, c1796 British Museum 1884

      The mistletoe or Christmas gambols, c1796 British Museum 1884

      Il Natale del 1795 è particolarmente significativo per Jane Austen: a vent’anni si innamora per la prima volta, e si ritrova per la prima volta col cuore spezzato (ironico come le due cose tendano ad andare insieme…)
      L’oggetto della sua infatuazione è il giovane, affascinante Thomas Langlois Lefroy, di origini irlandesi, studente di legge, venuto in Inghilterra a trascorrere il Natale con sua zia, Madam Lefroy.

      Tom Lefroy
      Jane è giovane, carina, fresca, entusiasta, vivace, molto più disinibita, impulsiva e incline al flirt di quello che si potrebbe pensare.
      Claire Tomalin, autrice della biografia Jane Austen: A Life, scrive della Austen:
      “(Jane) was already greatly admired among the many gentlemen of the neighborhood, and it was to become a moot point with her whether flirtation or novel-writing afforded her greater delight. On the whole, she rather inclined to believe that it must be flirtation…”
      (Jane era già oggetto dell’ammirazione di molti gentiluomini dei dintorni, tanto che viene  da chiedersi se lei stessa traesse più piacere dai flirt o dalla scrittura. Nel complesso, propendeva per il flirt…)

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      Galeotti sono i balli, che a Natale sono più numerosi che mai e offrono intrattenimento alla gentry di campagna e ai loro ospiti. I balli sono una delle poche occasioni in cui si può parlare privatamente con persone dell’altro sesso, complici il rumore e la confusione di sale affollate e una prossimità fisica più unica che rara. Ci sono comunque tutta una serie di norme sociali da rispettare: non si può danzare con una fanciulla che non si conosce senza prima aver chiesto di essere presentati; ballare con uno sconosciuto può portare una ragazza alla rovina sociale; se una ragazza rifiuta di ballare con qualcuno che non le garba, deve rifiutare di ballare con tutti gli altri (per questo, in Orgoglio e pregiudizio, Elizabeth Bennet acconsente alla richiesta dell’odioso cugino Collins, che la prenota per due danze –  il numero massimo di balli concesssi con lo stesso partner).

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      A vent’anni, Jane adora i balli; segue le ultime mode e tendenze in fatto di abbigliamento e capigliature ed è instancabile, vantandosi con la sorella Cassandra di aver danzato venti balli di fila, senza fermarsi nè stancarsi. Jane e Tom flirtano apertamente nelle sale da ballo – e non solo – attirando l’attenzione di tutti e diventando oggetto di pettegolezzi e preoccupazioni per le rispettive famiglie. Jane sa che il soggiorno di Tom nello Hampshire è limitato nel tempo: ma ha deciso di innamorarsi, e niente riesce a farla desistere dal suo proposito, nemmeno la mancanza di prospettive  concrete dei due innamorati.

      Jane sembra convinta dell’affetto e delle costanza del suo innamorato, tanto da scrivere alla sorella Cassandra – che la rimprovera per la sua imprudenza – di aspettarsi una proposta di matrimonio da Tom nel corso dell’ultimo ballo a cui avrebbero partecipato tutti e due, ad Ashe. Le preannuncia, scherzosamente, che ha intenzione di rifiutare, a meno che lui non riununci ad indossare un cappotto bianco, per via del quale Jane l’ha preso in giro più volte.
      Tuttavia, il ballo tanto atteso, nei confronti del quale Jane ha nutrito tante speranze, è destinato a spezzarle il cuore: Tom non vi parteciperà, costretto dalla sua famiglia a partire immediatamente per  Londra per evitare i danni e le conseguenze di un fidanzamento tra due giovani quasi del tutto sprovvisti di mezzi. La famiglia di Tom era povera, la sua istruzione era pagata da un vecchio zio benestante; la stessa Jane non aveva di certo una dote che potesse permetterle di sposarsi per amore.
      I due sono destinati a non rivedersi mai più. Lo stesso fatidico venerdì del ballo rovinato, del fidanzamento mancato, Jane scrive alla sorella Cassandra:
      “At lenght the day is come on which I have to flirt my last with Tom Lefroy, and when you receive this it will be over. My tears flow as I write at the melancholy idea”
      (Alla fine è giunto il giorno che ha messo termine al mio flirt con Tom Lefroy, e, quando riceverai questa mia lettera, tutto sarà già finito. Alla sola idea, lacrime di malinconia scorrono copiose mentre scrivo).

      Dal film

      Dal film “Becoming Jane”

      Da quel famigerato Natale del 1795, Jane porta con sé l’amara consapevolezza della vulnerabilità, del desiderio, della passione amorosa, delle farfalle nello stomaco, della speranza, del dolore della perdita. Scrive Michiko Kakutani, celeberrimo e temuto critico del New York Times:

      “No doubt the disappointment of this love affair galvanized feelings of vulnerability and defensiveness that Austen felt as a child. It was in the months after Lefroy’s departure from Hampshire that Austen turned incresingly to writing”.
      (Non c’è dubbio che la delusione amorosa abbia galvanizzato un senso di vulnerabilità e impotenza che la Austen nutriva fin da piccola. Proprio nei mesi successivi alla partenza di Lefroy dallo Hampshire, la Austen si dedica sempre di più alla scrittura).

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      Jane è stata bruciata: ha amato ed è stata lasciata, senza nemmeno poter vedere Tom un’ultima volta, senza nemmeno dirgli addio. Se lui chiama la prima figlia Jane Christmas Lefroy, lei trasforma passione amorosa e dolore in grande letteratura, condendo il tutto di una buona dose delle sua inimitabile ironia.

      Mi piace pensare che il cuore spezzato di Jane abbia trovato sollievo tra le braccia dell’amata sorella Cassandra e quelle materne. Mi piace pensare che Jane sia stata assorbita dai preparativi degli ultimi giorni delle festività natalizie, e abbia preferito essere attiva, scendendo ad aiutare in cucina, magari preparando il bread pudding di mamma Austen, che oggi potete provare a preparare anche voi, grazie a Sigrid de Il cavoletto di Bruxelles . Sigrid, ispirandosi a questa ricetta in versi di mamma Austen, ha ricreato la sua propria variante di bread pudding con un twist à la cavoletto.
      La ricetta e le foto che seguono sono opera delle manine, della cucina e della macchina fotografica di Sigrid.

      Il bread pudding di Mrs Austen

      brioche del giorno dopo 420g
      latte 500ml
      burro 100g
      uvetta di Corinto 100g
      zucchero 100d
      tuorli 3
      acqua di rosa 3 cucchiai
      cardamomo macinato mezzo cucchiaino
      chiodi di garofano 3
      noce moscata una grattugiata
      una bustina di tè nero

      1. Preparare una tazza di tè, versarla sull’uvetta e lasciare in ammollo per 10 minuti.
      2. Tagliare la brioche a cubetti e versarli in una teglia da forno.
      3. Portare il latte a ebollizione insieme al cardamomo e ai chiodi di garofano.
      4. Preparare una crema inglese: sbattere i tuorli con lo zucchero, fino a ottenere un composto di color chiaro. Versarci sopra il latte (dal quale avrete tolto i chiodi di garofano), mescolare bene con la frusta, poi riversare il tutto nel pentolino del latte e mescolare con un cucchiaio di legna a fuoco basso (attenzione, il composto non deve bollire) fino a quando la crema si sarà leggermente addensata. Spegnere, incorporare il burro tagliato a pezzettini, l’acqua di rosa e la noce moscata.
      5. Scolare l’uvetta e mescolarla con i dadini di brioche. Versare la crema profumata sui dadini di brioche, coprire e lasciar riposare per un paio d’ore o una notte intera.
      6. Infornare il tutto a 180°C per circa 50 minuti o fino a quando si forma una crosticina in superficie. Servire tiepido, cosparso di zucchero a velo.

      breadpudding1_s (2)

      breadpudding3_s (2)

      breadpudding2_s (2)

      Soundtrack: Deck the halls, un altro dei miei Christmas carols preferiti (deck the halls with boughs of holly, tis the season to be jolly)

      Per saperne di più:

      A Jane Austen Christmas: Celebrating the Season of Romance, Ribbons and Mistletoe, Carlo De Vito

      Bonus extra: un’infografica sul Natale inglese

      anglotopia-christmas-infographic1.png

      Posted in Letteratura e dintorni | 13 Comments | Tagged #AvventoLetterario, A Jane Austen Christmas, Anglofilia, Ashe, Becoming Jane, bread pudding, Bridget Jones, Carlo Devito, Cassandra Austen, christmas carols, Christmas pudding, Claire Tomalin, Crociate, Deck the halls, Elizabeth Bennet, era georgiana, Hampshire, Hannover, i dodici giorni di Natale, il bread pudding di Mrs Austen, Il Calendario dell'Avvento Letterario, Il cavoletto di Bruxelles, Jane Austen, Jane Austen: a life, ma dove vai se l'infografica non ce l'hai, Madam Lefroy, Michiko Kakutani, Mr Collins, Natale 1795, Natale inglese, New York Times, Oliver Cromwell, orgoglio e pregiudizio, Puritani, Regency, sciarade, Sigrid Verbert, Steventon, Thomas Langlois Lefroy, tis the season to be jolly, Twelfth night, Twelfth Night cake, Twelve nights of Christmas, Yule
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