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  • Tag: Humbert Humbert

    • Il viaggio di Nabokov alla volta di Lolita

      Posted at 11:50 am01 by ophelinhap, on January 13, 2017

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      Non è un segreto che Lolita, il capolavoro di Nabokov, sia per me uno dei libri più belli della storia della letteratura. A causa degli spinosi argomenti di cui tratta, è anche uno dei libri più fraintesi, più censurati, più boicottati, vittima di una campagna di odio basata su ipocrisia e fraintendimenti, a partire da questa celebre stroncatura comparsa nel 1958 sul New York Times, che lo definisce un libro depravato e disgustoso.

      In realtà, Lolita è molto di più della vicenda narrata: è la storia di un viaggio, quello iniziato a partire dalla fuga di Nabokov e della sua famiglia dalla Germania nazista e continuato con la loro esplorazione della parte orientale degli Stati Uniti; è un’epopea linguistica, l’esplosione dell’inglese di Nabokov nel suo periodo più maturo e fecondo, imperitura testimonianza degli eleganti virtuosismi a cui il raffinato russo è riuscito ad arrivare; sopra ogni altra cosa, Lolita è un impietoso, impassibile spaccato della vita e della società americana quali si erano presentate ai Nabokov alla fine degli anni quaranta.

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      Lolita nella bellissima edizione di The Folio Society

      Se nei romanzi precedenti Nabokov aveva elaborato la sua personalissima visione della Russia e dell’Europa, il suo romanzo americano diventa anche una sorta di diario della scoperta e della rielaborazione degli Stati Uniti, che lo scrittore aveva tanto sognato fin da ragazzino.

      Divorando chilometri, Stati, motel e galloni di benzina, Nabokov diventa più americano degli scrittori a stelle e a strisce: sicuramente li percorre più di un Fitzgerald, di uno Steinbeck o addirittura di un Kerouac, specializzandosi nell’esplorazione di stradine secondarie e sentieri meno trafficati, giungendo così a penetrare il cuore segreto e nascosto dell’America. C’è voluto un Russo, insomma, per confermare quello che Mark Twain già sapeva: l’America non è un luogo, è una strada. Il viaggio dei Nabokov attraverso l’America diventa così un tutt’uno con la folle corsa contro il tempo di Humbert e Lolita: una monumentale fuga attraverso quarantotto stati, tra anonimi motel e stradine isolate, per arrivare in New Mexico e riuscire a sposare l’irrequieta, infelice, languida ragazzina, che nel frattempo coltiva sogni e machiavellici piani di fuga.

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      Quello dei Nabokov è quindi un sogno americano on the road, alla volta dei vari college che offrono allo scrittore incarichi temporanei: dopo un breve soggiorno al Wells college (Aurora, New York) e al Wellesley College (in Massachussets) la famiglia al completo (Vladimir, la fedele moglie e aiutante Vera e il figlio Dimitri) parte nel 1941 alla volta di Palo Alto, dove Vladimir avrebbe insegnato all’università di Stanford. Né Vladimir né Vera se la sentono di guidare: si affidano quindi alla guida di Dorothy Leuthold, studentessa di Nabokov.

      Il loro primo viaggio on the road dura ben tre settimane: il sistema delle strade numerate è ancora relativamente recente, alcune di esse non sono nemmeno state asfaltate. Inoltre, i Nabokov fanno soste regolari e dormono ogni notte in un motel diverso. Gli anni Quaranta sono gli anni d’oro del motel, che si sostituisce all’hotel come simbolo del viaggio on the road per eccellenza. Sempre più persone viaggiano infatti in macchina, mentre gli hotel tendono invece a trovarsi in prossimità di stazioni ferroviarie. Il motel risponde invece alla necessità di fermarsi in un punto qualunque lungo la strada, quando si ha fame o inizia ad essere troppo buio o si è stanchi e si ha bisogno di riposare: Nabokov inizia ad appuntarsi i nomi di tutti i motel nei quali soggiorna, con tanto di rating (un precursore di Tripadvisor, insomma), e diventa un lettore assiduo delle guide e delle mappe dell’American Automobile Association.

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      Il cuore dell’intero viaggio è per Nabokov la sosta al Grand Canyon, che gli permette di indulgere nella sua più grande passione: la ricerca e lo studio delle farfalle. I Nabokov alloggiano al Bright Angel Lodge, ora parte dei National Historic Landmark, una classificazione ufficiale attribuita a luoghi o monumenti considerati di interesse storico a livello nazionale. Il Bright Angel Lodge era stato restaurato dall’architetto Mary Colter, che si era ispirata allo stile degli Hopi, una popolazione Navajo stanziata in Arizona.

      A Palo Alto, i Nabokov si stabiliscono a Sequoia Avenue 230, non lontano dal campus di Stanford. Qui Nabokov fa amicizia con Henry Lanz, un professore di origini finlandesi che, appena trentenne, a Londra, durante il caos della prima guerra mondiale, aveva sposato una quattordicenne. Nonostante Nabokov abbia sempre negato, Lanz potrebbe aver influito sulla nascita di Humbert Humbert, il tristo protagonista di Lolita, folle d’amore, di passione e di ossessione.

      Dopo l’estate passata a Stanford, i Nabokov tornano on the road, alla volta della California e dello Yosemite Park, tappa obbligata per un amante della natura come Vladimir, che aveva già visitato il Great Smoky Mountains National Park, l’Hot Springs National Park e il Grand Canyon nel viaggio precedente. La famiglia si reca poi a New York e da lì a Boston, dove per sette anni riesce ad andare avanti, anche se a stento, grazie ad incarichi irregolari offerti a Vladimir dal Wellesleyan College. I Nabokov fanno una vita molto frugale, ma non risparmiano sull’istruzione di Dimitri, prediligendo scuole private che gli possano permettere un’immersione a tuttotondo nella lingua, nella cultura e nella società americana. Si stabiliscono quindi a Cambridge, all’ 8 di Craigie Circle, tuttora meta di pellegrinaggi letterari degli aficionados di Nabokov, e lo iscrivono alla Dexter School, dove, a detta di Dimitri, non gli insegnano solo Cicerone e Cesare, ma anche ad eccellere negli sport, a perfezionare la stretta di mano, ad essere un buon cittadino americano.

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      Vladimir e Vera Nabokov

      Anche l’americanizzazione dei coniugi è in corso: Vera fa domanda per il porto d’armi, adducendo la necessità di difendersi dai pericoli durante le battute di caccia entomologiche nei territori più aspri ed isolati.

      Nel frattempo, Nabokov sperimenta un frustrante blocco dello scrittore, dovuto prevalentemente alla sua insoddisfazione nei confronti del suo livello d’inglese. Scrive a Edmund Wilson, critico letterario e amico di Nabokov fino alla pubblicazione di Lolita, che crea un solco tra i due artisti, di sentirsi pronto a scrivere qualcosa di grandioso, ma di non poterlo più fare in russo e non sentirsi ancora pronto a farlo in inglese. Nabokov ama profondamente il russo, che trova più immaginifico, intimo e poetico di qualsiasi altra lingua, in grado di rendere il mondo più luminoso e più affascinante. Per perfezionare l’inglese, Nabokov si butta a capofitto nella scrittura scientifica, sviluppando uno stile robusto e sicuro. Nel frattempo, le sue esplorazioni continuano nel Midwest e nel Sud, dove fa visita a una serie di campus che lo invitano a fare lezioni, scrivendo a Vera lettere piene di curiosità, incontri più o meno comici e sgomento nei confronti del razzismo esibito da abitanti di stati quali la Georgia o il South Carolina. Con Vera e Dimitri lo scrittore si reca invece nello Utah per passare l’estate in uno stabilimento sciistico a Sandy, vicino a Salt Lake City. Lo Utah entusiasma Nabokov: scrive di sentirsi nella terra delle aquile, lontanissimo da tutto e tutti, in un punto di osservazione privilegiato. Il figlio undicenne viene iniziato alla montagna e alle scalate, passione che, insieme a quella per le macchine da corsa, lo accompagnerà per tutta la vita.

      Tornato a Cambridge, Nabokov continua a perfezionare il suo inglese, dedicandosi nel corso degli anni a minuziose traduzioni letterarie dal russo all’inglese (come quella di Eugene Onegin di Pushkin).

      Nonostante tutti gli anni trascorsi nella East Coast, il cuore di Nabokov rimane ad Ovest: continua a studiare e a reinventare la sua America passando l’estate del ’46 in Colorado, con un Dimitri ormai tredicenne e ansioso di ritrovarsi all’aria aperta e dedicarsi a scalate e passeggiate.

      Dopo il Colorado, i Nabokov partono alla volta della Cornell University, a Ithaca, Rhode Island, che sarà la loro base per ben undici anni. Durante gli anni alla Cornell, Nabokov scrive parti di Lolita, di Pnin e del suo memoir Speak, memory, oltre a una manciata di storie, poesie, traduzioni – tra cui quella di Eugene Onegin di Pushkin.

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      Nabokov a Ithaca, NY, 1958

      A Ithaca, Dimitri diventa un adolescente difficile, testardo, dedito a bravate, amante delle ragazze. Non a caso, Lolita ha la stessa età di Dimitri e, come lui, viene mandata in una scuola privata, la Beardsley School una caricatura di scuola privata che ricorda un po’ la Pencey del giovane Holden, ubicata in una località non meglio specificata nel New England.

      La Beadsley ha assurde pretese posh e British e si vanta di essere molto avantgarde, attenta alla maturazione sessuale e sentimentale delle ragazze – uno dei crucci della preside, Miss Pratt, è che la piccola Lolita si mostra ostentatamente disinteressata nei confronti dal sesso, reprimendo quella che pare essere una curiosità morbosa. È probabile che per la Beardsley Nabokov si sia ispirato alla St Mark, una delle scuole frequentate da Dimitri, nei confronti della quale sia lui che Vera avevano espresso una viva insoddisfazione. Dimitri e le sue bravate ispirano anche quegli ormonali ragazzotti americani dalle cui grinfie Humbert è determinato a preservare la sua piccola Lo, che ha la capacità sorprendente di attaccare bottone con tutti i muscolosi, gelatinati avventori delle pompe di benzina.

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      Dominique Swain in Lolita, regia di Adrian Lyne

      Nabokov scrive Lolita nell’arco di di cinque anni, dal 1948 al 1953. La stesura è lenta, sofferta e piena di ripensamenti: più volte Nabokov tenta di bruciare bozze e appunti raccolti mentre Vera è al volante, affidando all’azione catartica del fuoco il materiale esplosivo che ha prodotto. La provvidenziale Vera impedisce la fatale distruzione, esortando risolutamente il marito a portare a termine l’opera, mentre sulla carta si delinea, sempre più chiaramente, la costruzione nabokoviana dell’America: un continente colonizzato dall’europeissimo Humbert, che si fa a sua volta colonizzare dal rossetto, dal profumo, dai giornalini e dalla musica di Lolita; un’America senza maschere e senza veli, così vera da dare concretezza e legittimità alla triste storia di Humbert e Lo, rivelata nelle sue contraddizioni e in quella stessa volgarità che conferisce a Nabokov, scrittore ormai americano, il diritto di smascherarla, scavando in argomenti scomodi, sordidi. Nabokov lo fa usando lo slang americano, respirando l’aria dei sobborghi, dei parchi nazionali, delle strade polverose, alla ricerca della giusta combinazione di verità e di clamore per fare breccia nell’immenso, inquieto pubblico americano; lo fa accompagnando Humbert e Lolita in un viaggio privo di speranza, nel quale vedono tutto e non vedono niente. Le sole cose che restano sono mappe piene di orecchiette, guide consumate e i laceranti singhiozzi della bambina, ogni notte, fino al sopraggiungere del sonno. Il viaggio, tra realtà e allucinazione, distrugge l’innocenza di Lolita e dell’America al tempo stesso, lasciando Humber Humbert solo e col cuore spezzato davanti alle desolanti conseguenze dell’irreversibilità del male e alla solitudine eterna.

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      Dominique Swain in Lolita, regia di Adrian Lyne

      Nabokov non è interessato a regalare emozioni al lettore, né a riempirgli la testa di idee: vuole regalargli brividi lungo la spina dorsale, vuole folgorarlo di piacere estetico, vuole incantarlo con la potenze della sua illusione creativa.

      Lolita diventa così una parodia del male resa reale dal dolore; qualunque sia la reazione del lettore, non riesce a distanziarsene, perché riconosce in ogni pagine le piaghe e le contraddizioni di un’America più vera, più schietta.

      Nell’economia delle peregrinazioni dei Nabokov/ di Humbert e Lolita, il Wyoming gioca un ruolo essenziale: lo scrittore vi fa ritorno per la terza volta nel 1952, tra i camion decorati di luci come enormi, allucinogeni alberi di Natale e le gigantesche balle di fieno. I Nabokov alloggiano nell’ormai defunto Lazy U Motel a Laramie, prima di approdare a Riverside, un polveroso villaggio con un garage, due bar, tre motel e una manciata di ranch, a un miglio dalle strade polverose e dai marciapiedi di legno della vetusta Encampment, odorosa di abbandono.

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      Afton, Wyoming (Janie Osborne per il New York Times)

      Nabokov passa il 4 luglio 1952 a Riverside, tra i festeggiamenti per l’Independence Day, che rieccheggiano in Lolita: durante la fuga, l’europeissimo Humbert osserva con costernazione e stupore il gran numero di fuochi d’artificio, dei quali ignora la causa.

      Da lì i Nabokov proseguono alla volta di Dubois, cittadina che, secondo Landon Y. Jones, sarebbe servita da ispirazione a Nabokov per la cittadina fittizia di Ramsdale (lo scrittore si sarebbe ispirato a Ramshorn, una strada molto rafficata e costellata di motel).

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      Riverside, Wyoming (Janie Osborne per il New York Times)

      Ramsdale avrebbe così dato  i natali a Lo, semplicemente Lo al mattino, ritta nel suo metro e quarantasette con un calzino solo, a Lola in pantaloni, a Dolly a scuola, a Dolores sulla linea tratteggiata dei documenti. Ma tra le mie braccia era sempre Lolita, conclude un Humbert ebbro d’amore e di ossessione: e resterà sempre Lolita nell’immaginario collettivo, richiudendo in sé il mistero della sua oscena innocenza, del suo fascino perverso, della sua capacità di seduzione troppo grande per i suoi anni e per la sua piccola vita.

      Quello di Lolita è un mistero insolvibile, impossibile da ridurre a chiavi di lettura quali il femminismo o la pedofilia, l’amore o la follia, il disgusto o l’adorazione; è un segreto vasto e profondo quanto l’intera America, destinato a continuare a incantare e depistare il lettore, trascinandolo con sé per le rosse strade polverose dello smisurato, camaleontico, impenetrabile West, regalando a Humbert Humbert e a Lolita, la coppia peggio assortita e più infelice della storia della letteratura, l’unica immortalità alla quale avrebbero mai potuto ambire.

      Per saperne di più:

      – Nabokov in America: On the Road to Lolita, Robert Roper, Bloomsbury USA

      – On the Trail of Nabokov in the American West, Landon Y. Jones, The New York Time

      – Lolita, Vladimir Nabokov, Adelfi edizioni, trad. a cura di G. Arborio Mella

      – Lolita, Vladimir Nabokov, edizione The Folio Society

      Soundtrack: la colonna sonora composta da Ennio Morricone per Lolita di Adrian Lyne, con Dominique Swain nei panni dell’immortale ninfetta e Jeremy Irons in quelli del tristo Humbert Humbert

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      Jeremy Irons e Dominique Swain in Lolita (1997)

      Posted in Letteratura americana | 5 Comments | Tagged Ennio Morricone, Eugene Onegin, Holden Caulfield, Humbert Humbert, Lolita, Nabokov in America: On the Road to Lolita, Pnin, Robert Roper, Speak memory, The New York Times, Vera Nabokov, Vladimir Nabokov
    • The rules of (literary) dating – un elenco semiserio di frequentazioni letterarie

      Posted at 11:50 am04 by ophelinhap, on April 22, 2015

      indexUn’educazione bovaristica e un’esposizione precoce a certi tipi di letture hanno l’indubbio svantaggio di generare aspettative che non potranno mai essere soddisfatte. Tuttavia, perché guardare il bicchiere mezzo vuoto? Se Jane Austen & company ci hanno insegnato qualcosa, è anche – e soprattutto – l’arte di percepire determinati segnali che, come campanelli d’allarme, gettano una nuova luce sul protagonista di una storia, rendendolo un eroe degno delle attenzioni della protagonista, un perfido cialtrone, un’insignificante macchietta.

      Perché allora non utilizzare questo “superpotere” anche nella vita di tutti i giorni? In fondo, la letteratura è imitazione della vita, no?

      Quindi vi propongo un inventario semiserio (che mi sono divertita un sacco a compilare) di tipologie di eroi/vili marrani in cui ogni lettrice che si rispetti è incappata, prima o poi, tanto tra le pagine di un libro che nella vita vera.

      In quale tipologia vi rispecchiate maggiormente? In ogni caso, niente panico: come scriveva Jane Austen alla nipote Fanny Knight

      Non andare di fretta; abbi fiducia, l’Uomo giusto alla fine arriverà; nel corso dei prossimi due o tre anni, incontrerai qualcuno più unanimemente ineccepibile di chiunque tu abbia già conosciuto, che ti amerà con un ardore che Lui non ha mai avuto, e che ti affascinerà in modo così totale, da farti sembrare di non aver mai veramente amato prima.

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      Tipologia A – Il Mr Darcy (Orgoglio e Pregiudizio, Jane Austen)

      Non è sicuramente il tipo adatto a fare il +1 ad un matrimonio, un compleanno, una cena di lavoro, nè il partner ideale per il corso di tango, dal momento che si rifiuta di ballare. A pensarci bene, non è solo il ballo il problema: la sua vita sociale è fortemente limitata dalla sua scarsa disponibilità a mescolarsi con la gente che non conosce, da quella sua tendenza a fare un po’ l’orso della situazione e a starsene in disparte, con un’espressione tra il serio e l’annoiato, studiando attentamente i titoli della libreria del padrone di casa di turno (probabilmente per criticarne segretamente gusti e scelte).

      Non ha un grandissimo senso dell’umorismo, è riservato e ha bisogno di (tanto) tempo per aprirsi, e accordare la sua fiducia: tempo che passerete cercando di capire cosa gli passi veramente per la testa. In fondo è un po’ come un riccio, irto e irsuto fuori, sorprendentemente dolce e gentile dentro. Onesto, leale, generoso, è sempre pronto a dare una mano, specie se si tratta di tirare fuori dai guai la fanciulla che occupa gran parte dei suoi (criptici) pensieri, magari a sua insaputa. Dire che ha un brutto carattere è un eufemismo: è spesso burbero e cupo, tremendamente orgoglioso (potremmo dire pieno di sé..): una volta persa, la sua stima è persa per sempre. Testardo fino all’esasperazione, non darà soddisfazione alle insicure in cerca di conferme: ma le sue (rarissime) dichiarazioni, lungamente represse, sono sincere e impetuose, e non ci si dimentica facilmente della sua ardente stima e ammirazione.

      Il Mr Darcy scrive inoltre bellissime lettere, ma le amanti del genere epistolare non dovrebbero nutrire illusioni: le sue missive sono infatti volte a riparare qualche suo errore di giudizio tremendamente stupido, che avrà diminuito infinitamente il suo valore agli occhi della Lizzie di turno, incline, a sua volta, a cadere vittima dei suoi pregiudizi. Ma, in fondo, il bel tenebroso piace anche per questo, no? Lunghe passeggiate all’aria aperta possono rivelarsi il metodo migliore per superare le (innumerevoli) controversie, perché, ammettiamolo, quando ci innamoriamo perdiamo tutti la ragione (vero, zia Jane?)

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      Tipologia B – L’ Heatchcliff (Cime tempestose, Emily Brontë)

      Ammettetelo: vi piacciono i bad boy, i tipi cupi, tormentati, misteriosi, irrequieti, inquieti, sempre fuori posto e fuori tempo. Se è cosi, Heathcliff, il selvatico e appassionato protagonista maschile di Cime tempestose, la cui complicata personalità, a cavallo tra bene e male, incarna quelle lande selvagge e desolate dello Yorkshire che fanno da sfondo alla sua storia d’amore con la capricciosa Cathy, fa al caso vostro.

      Non potreste mai invitarlo a mangiare la lasagna a casa di vostra madre la domenica, anche perché, diciamocela tutta, molto probabilmente non si presenterebbe (senza nemmeno avvisarvi): ma riuscirebbe comunque a farsi perdonare il bidone, perché il ragazzo sa farci con le parole, quando vuole.

      Non è di certo una persona convenzionale o ortodossa: gli piace distinguersi e fare l’alternativo, e poco gli importa dell’opinione altrui.

      Nessuno potrebbe mai capire il vostro amore: ma, anche se il mondo intero fosse contro di voi, non v’importerebbe, perché le vostre anime sono fatte esattamente della stessa sostanza. Il vostro amore non cambierà come le foglie d’autunno: piuttosto, somiglia alle rocce eterne che stanno sotto quegli alberi stessi, una fonte di piacere ben poco visibile, ma necessaria.

      Il problema è che, a volte, il suo comportamento fin troppo eccentrico e sprezzante potrebbe portarvi a vergognarvi di lui, e ad allontanarvi. In questo caso, l’Heatchliff sarebbe portato a farvi vedere la sua parte peggiore di sé: sprezzante, possessiva, gelosa, poco incline a perdonare e a dimenticare.

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      Tipologia C – Il Rhett Butler (Via col vento, Margaret Mitchell)

      (Vedi anche alla voce: potrei ma non voglio, vorrei ma non posso)

      Che strazio i se e i forse! Se non aveste sprecato tempo prezioso sospirando drammaticamente per qualcuno che, in fondo, non sarebbe mai stato quello giusto, forse vi sareste accorte prima di quel Rhett che vi stava accanto, aspettando solo di essere notato da voi.

      Il Rhett non corrisponde allo stereotipo di gentiluomo americano del Sud – anzi. Beve come una spugna, bestemmia come un camionista, non si sottrae mai a una rissa, e, francamente, se ne infischia dell’opinione altrui.

      Non si sdilinquisce in complimenti, dice sempre quello che pensa, è egoista ma generoso al momento opportuno, protettivo dei più deboli (Bella Waitling vi dice qualcosa?), e, udite! udite! Ama i bambini!

      La sua pazienza sconfina nella testardaggine: tuttavia, dopo aver superato un certo limite, francamente se ne infischia. Poco male: domani è un altro giorno, vero?

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      Tipologia D – Il Florentino Ariza (L’amore ai tempi del colera, Gabriel García Márquez)

      Il Florentino non è un tipo che si fa notare: è quasi insignificante, nascosto sotto un mantello dell’invisibilità di potteriana memoria. Eppure, ha un suo perché: scrive incantevoli lettere d’amore, e si distingue per la sua incredibile tenacia, che lo rende capace di attendere 51 anni, nove mesi e quattro giorni (beh, forse non così tanto: ma ho reso l’idea, no?), sfidando l’odore penetrante delle mandorle amare armato delle sua silenziosa pertinacia.

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      Tipologia E – Il Willoughby (Ragione e sentimento, Jane Austen)

      Fanciulle, fate attenzione: il Willoughby vi mentirà spudoratamente, negando davanti alla più palese evidenza; vi farà aspettare ore e ore (con conseguenti gastriti e insonnie) una sua chiamata (che non arriverà mai, ovviamente); vi farà credere di essere l’unica (ingenua, che crede che le “telefonate di lavoro” possano arrivare anche dopo mezzanotte). Arriverà perfino a chiedervi un ricciolo da tenere sempre con sé, e a farvi visitare (di nascosto, s’intende) la magione di sua zia che spera di ereditare, un giorno.

      Diciamocela tutta: è insopportabilmente affascinante, ha (o finge di avere) i vostri stessi gusti musicali e letterari, è sempre pronto a farvi da complice quando avete voglia di ridere di voi stesse e degli altri – specie di quel qualcuno timido e un po’ imbranato che cerca di ronzare dalle vostre parti (povero colonnello Brandon).

      Poi non dite che zia Jane non vi aveva messo in guardia: lettrice avvisata, mezza salvata.

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      Tipologia F – Il Rochester (Jane Eyre, Charlotte Brontë)

      Date retta a Charlotte Brontë: non uscite col vostro capo (o collega). Se proprio non riuscite a farne a meno (ah, l’ammmmore), cercate almeno di capire se avete a che fare con Il Rochester.

      Se fa finta di flirtare con fanciulle dal nome pretenzioso (Blanche, dico a te) e il suo comportamento oscilla schizofrenicamente tra il possessivo e il distaccato, è molto probabile che nasconda in soffitta qualche scheletro (o una moglie pazza).

      Tuttavia, se riuscite a fare breccia nel suo cuore di pietra, dirimere i nodi del suo oscuro e tormentato passato e raggiungere con lui un rapporto assolutamente paritario (senza aspettare che, per esempio, perda parzialmente la vista in un incendio per riconoscere che ha bisogno di voi, perché, per dirla tutta, è anche un po’ misogino) allora, lettrici, potreste anche arrivare a sposarvelo.

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      Tipologia G – L’Amleto (Amleto, William Shakespeare)

      V’ama, non v’ama, v’ama, non v’ama. Vi trova fin troppo belle, così belle che l’unico modo per preservare la vostra purezza e onestà è chiudervi in un convento. Ha problemi a casa (e che problemi, tra complesso di Edipo, di Medea, ecc.), il momento non è quello giusto, probabilmente frequenta compagnie (fantasmi) sbagliate (defunte).

      In ogni caso, i suoi problemi esistenziali sono decisamente più grandi di voi due messi insieme. Se passa troppo tempo a parlare da solo con un teschio in mano, non aspettate di fare la fine della dolce e bellissima Ofelia: scappate.

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      Tipologia H – L’Otello (Otello, William Shakespeare)

      Attenti alla gelosia, quel mostro dagli occhi verdi che dileggia il cibo di cui si nutre!

      Tutto va bene tra voi; eppure, per qualche oscuro, recondito motivo, L’Otello avverte l’insana necessità di controllare costantemente il vostro telefono (appena vi girate dall’altra parte), giocare al piccolo hacker col vostro account Facebook, chiedere a un amico di sorvegliarvi.

      L’Otello sembra forte, ma ha una personalità molto debole: è facile manipolarlo e convincerlo del fatto che due più due faccia cinque, a scapito della vostra relazione (e della vostra salute mentale).

      Ricordatemi se queste cose finiscono bene, ché ho un’amnesia temporanea.

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      Tipologia I – L’Humbert Humbert (Lolita, Vladimir Nabokov)

      Magari è amore a prima vista, ultima vista, eterna vista, ma lui vi sembra forse lievemente ossessionato dal suo primo amore pre-adolescenziale e non riesce proprio a smettere di parlarne?

      Scappate.

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      Tipologia J : Il Vronskij (Anna Karenina, Leo Tolstoj)

      Il Vronskij non è tipo da tirarsi indietro davanti a una sfida: quando si prefigge un obiettivo, niente può fermarlo. Quando vuole qualcosa, deve averla. Più è difficile ottenerla, più la vuole. Niente e nessuno (che sia un noioso marito burocrate, o una madre desiderosa di farlo sposare per soldi) possono distoglierlo dalla meta prefissa.

      Il fatto che sia estremamente affascinante è innegabile: tuttavia, la sua esteriorità patinata spesso nasconde una personalità narcisistica e superficiale, interessante e profonda quanto i discorsi motivazionali delle candidate a Miss Italia.

      Siete sicure di aver veramente trovato l’anima gemella, e di voler sacrificare tutto per lui?

      Potete leggere questo post in Inglese qui.

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      Versus

      Posted in Frammenti di un discorso amoroso, Letteratura e dintorni | 17 Comments | Tagged Amleto, Anna Karenina, aunt jane, Cathy Earnshaw, Charlotte Brontë, Cime tempestose, Emily Brontë, Fanny Knight, Florentino Ariza, Gabo, Gabriel García Márquez, Gone with the Wind, Hamlet, heathcliff, Humbert Humbert, Jane Austen, Jane Eyre, Janeite, L'amore ai tempi del colera, Lev Tolstoj, Lizzie Bennet, Lolita, Margaret Mitchell, Mr Darcy, Ofelia, Otello, Ragione e Sentimento, Rhett Butler, Rochester, Rossella O'Hara, Scarlett O'Hara, Sense and Sensibility, Shakespeare, Via col Vento, Vladimir Nabokov, Vronskij, Willoughby, Wuthering Heights
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