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Frammenti di letteratura, poesia, impressioni
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    • Il vino è poesia in bottiglia

      Posted at 11:50 am05 by ophelinhap, on May 4, 2015

      drink-1_1000x677

      Credit: Matt Taylor-Gross

      Non so voi, ma la cosa che mi rilassa di più dopo una giornata lavorativa lunga e storta (ultimamente, l’80% delle mie giornate) è prendere in mano un libro di poesie.

      La poesia sortisce un effetto su di me che la prosa non riesce a eguagliare: quando sono molto triste o molto scossa, stanca o con la sinusite, felice o innamorata, quando sono talmente irrequieta da non trovare pace per due minuti di seguito, i versi riescono a infondere in me calma, accettazione, prospettiva. Più semplicemente, mi regalano una boccata d’aria, un pensiero di bellezza. La stessa cosa succede quando mi metto a scribacchiare poesie.

      La seconda cosa che mi rilassa di più è un bicchiere di vino, rigorosamente bianco. Non amando la birra né i superalcolici e non potendo bere vino rosso, sono diventata incredibilmente esigente dico a te, Chablis) e sempre più interessata agli abbinamenti eno-letterari.

      In fondo, dovrebbe funzionare un po’ come con lo champagne e le fragole, no? Scegliere la poesia giusta non può che valorizzare un buon vino, e viceversa.

      Ho chiesto quindi aiuto alla mia amica Cinzia Bonfà, master sommelier e giornalista (potete leggerla su bibenda.it o Cosedellaltrogusto.it, seguirla su Twitter e su Instagram).

      Io ho scelto le poesie e l’accompagnamento musicale, Cinzia ha fatto il resto.

      Buona lettura (con moderazione).

      Ndrm (nota della redazione mia): il titolo del post è una citazione di Robert Louis Stevenson, tratta dal suo memoir di viaggio The Silverado Squatters, cronistoria del suo viaggio di nozze con Fanny Vandegrift a Napa Valley, California nel 1880.

      Patrizia Cavalli

      E se mi guardi davvero e poi mi vedi?

      Io voglio che stravedi non che vedi!

      (da Datura, Einaudi editore)

      L’abbinamento di Cinzia:

      Mi piace la destabilizzazione perché mi scuote e mi fa sentire viva e lo Champagne Franck Pascal Cuvée Emeric Extra Brut, dosato al minimo, lo ha fatto in modo prima elegante e poi impetuoso, presentando una personalità poliedrica.

      Assorta nel brillìo di un tulle dorato ne scrutavo anche gli indolenti riflessi ramati nascosti da un sottilissimo perlage.

      Un biodinamico lunatico, questa Cuvée Emeric di sole uve Pinot Meunier, perché cambia d’abito velocemente in un crescendo di profumi provocanti quali il pain grillé, la cotognata e richiami di terra umida e un che di metallico. Affascinante e ingannevole poesia dei sensi…

      Soundtrack: Joni Mitchell, A case of you

      Patrizia Valduga

      Cos’è l’amore che mi mandi intorno?

      Libido narcisistica con tanto di biglietto di ritorno.

      Cosa farfugli di fusione mistica?

      Ochetta che s’impanca…

      L’amore è in ciò che manca, è l’Io che manca.

      (da Lezione d’amore, Einaudi editore)

      L’abbinamento di Cinzia:

      Il Ruinart Blanc de Blancs è un abbraccio tra l’eleganza e la potenza dello Chardonnay in purezza.

      Dorato, brillante con perlage che si eleva al cielo ma che rimane ancora un po’ sul bordo del calice; rimane lì in attesa di finire il suo meraviglioso respiro. La cremosità e il lungo ricordo del passaggio nel palato edificano un “sì”, un sì all’attimo fuggente, a ciò che non ritorna, a quel treno che passa una volta e che con “lui ” (#Champagne) può ritornare.

      Soundtrack: Between the bars, Elliot Smith

      Edgar Lee Masters

      Sarah Brown

      Maurizio, non piangere, non sono qui sotto il pino.

      L’aria profumata della primavera bisbiglia nell’erba dolce,

      le stelle scintillano, la civetta chiama,

      ma tu ti affliggi, e la mia anima si estasia

      nel nirvana beato della luce eterna!

      Va’ dal cuore buono che è mio marito,

      che medita su ciò che lui chiama la nostra colpa d’amore: –

      digli che il mio amore per te, e così il mio amore per lui,

      hanno foggiato il mio destino – che attraverso la carne

      raggiunsi lo spirito e attraverso lo spirito, pace.

      Non ci sono matrimoni in cielo,

      ma c’è l’amore.

      (dall’ Antologia di Spoon River, a cura di Fernanda Pivano, Einaudi editore)

       

      L’abbinamento di Cinzia:

      Luce 2000 di Luce della Vite, Frescobaldi.

      Il tempo addolcisce le asperità, il dolore e anche i ricordi nella vita, così fa anche con il vino dove il tempo arrotonda, leviga, ammorbidisce creando sfericità nei sapori e negli odori. Pennellate rubino con riflessi granato. Spaziatura dolce, chiodi di garofano, tabacco su una distesa di confettura di fragole. Il calore bilanciato da una bella freschezza e i tannini ammorbiditi dal tempo rendono questo vino splendido e il suo ricordo sempre vivo.

      Soundtrack: Fabrizio De André, Non al denaro non all’amore né al cielo (Si, l’intero disco, ispirato appunto all’antologia di Spoon River)

      Posted in Frammenti di poesia, Frammenti di un discorso amoroso, Guestpost e interviste | 9 Comments | Tagged American literature, Chablis, Cinzia Bonfà, Datura, edgar lee masters, Einaudi, Enoletteratura, Fabrizio De André, Fanny Vandegrift, Fernanda Pivano, Guestpost, Joni Mitchell, Lezione d'amore, memoir, Patrizia Cavalli, Patrizia Valduga, poesia, Poesia americana, Poesia Italiana, Poetry, Robert Louis Stevenson, Sarah Brown, Spoon River, The Silverado squatters
    • Un’ora con…Valentina M. di Travel Upside Down

      Posted at 11:50 pm10 by ophelinhap, on October 26, 2014

      Valentina è una delle prime persone che ho conosciuto attraverso il blog. Insieme abbiamo lanciato #letteredamore2013, iniziativa che consisteva nello scrivere una lettera (rigorosamente a mano: niente ausilii digitali!), o nel riproporre una lettera d’amore celebre, sempre manoscritta, messa dentro un libro lasciato in un luogo pubblico, per regalare parole di amore e di speranza e sensibilizzare il più possibile alla lettura e alla scrittura. È solare, creativa, un po’ hippie, piena di energia positiva, gli occhi allenati alla ricerca di bellezza da immortalare nelle sue foto (si è già parlato delle sue incantevoli foto su Instagram qui). È innamorata della sua Sardegna, che racconta con freschezza ed entusiasmo sul suo blog, Travel upside down, facendone scoprire angoli e pezzetti più nascosti, meno conosciuti, meno turistici. Quello di Valentina non è un solo un blog di viaggi: a ogni luogo Valentina abbina pensieri, citazioni, immagini, impressioni, portando il lettore in pellegrinaggio lungo la via Francigena, in un paesino fantasma sardo, tra gli hippie della Valle della luna, tra nebbia e fantasmi nell’Appennino ligure. Siete pronti a viaggiare con lei?

      Come nasce Travel upside down?

      Travel Upside Down è un piccolo mondo colorato nato tre anni fa su ispirazione del momento. Volevo raccontare la mia vita in Estonia per lavoro ed era un modo per mettere su “carta”, o meglio su “web”, le mie impressioni e raccontare le avventure che vivevo in un paese lontanissimo dal mio. Nel tempo si è evoluto, sia graficamente sia nel mio modo di narrare e narrarmi. Pian piano è diventato uno spazio sempre più personale; le foto hanno lasciato spazio non solo ai propri colori, ma anche a impressioni e post sempre più intimi. Ora il blog rappresenta uno spazio creativo di cui adoro prendermi cura, creato a immagine e somiglianza del mondo che ho in mente e quindi ricco dei miei colori.

      Chi c’è dietro Travel upside down?

      Chi c’è dietro Travel Upside Down? Io direi dentro Travel Upside Down…. Lì dentro c’è la vita di una persona che preferisce celarsi dietro immagini e parole, piuttosto che raccontarsi in maniera chiara e diretta. Credo che descriversi a volte sia davvero difficile, soprattutto quando la propria personalità è complicata e caratterizzata da centinaia di sfumature diverse. La creatività è un modo per parlare di sé senza essere banali e permette di mettere in luce una piccola parte della propria mente. C’è una parola sarda che mi descrive alla perfezione: “areste” (agreste, della campagna, selvaggio, indomito). A questa parola sono legati molti tratti di me.

      Lo scaffale d’oro di Valentina

      Adoro la malinconica solitudine dei libri di Murakami Haruki, quel senso di smarrimento dei suoi personaggi e il modo in cui lui racconta la vita. L’esistenza per lui è qualcosa di difficilmente delineabile, dove il confine tra i sentimenti è sempre sfocato e molte situazioni rimangono sospese nel cuore dei personaggi. Ultimamente, mi sto appassionando anche alla scrittrice spagnola Anais Nin e sono completamente affascinata dal suo modo di scrivere così poetico e allo stesso tempo realista. Fa un uso delle parole impeccabile. Credo che Anais Nin vivesse nel mio stesso mondo. Leggere i suoi libri è qualcosa di molto profondo perché condividiamo la stessa linea immaginativa. Inoltre m’identifico sempre con chiunque ami esplorare il mondo attorno a sé, in qualsiasi modo possibile, attraverso i viaggi, l’arte, la scrittura o qualsiasi attività in cui bisogna mettere in moto le proprie capacità e il proprio senso dell’avventura.

      Se Travel upside down fosse una canzone…

      …sarebbe un misto tra: The Easybeats, “Good Times” e Cat Stevens, “If you want to sing out”. I’m gonna have a good time tonight, Rock n’ Roll music gonna play all night, Come on baby it won’t take long, Only take a minute just to sing my song.” The Easybeats “Well, if you want to sing out, sing out And if you want to be free, be free ‘Cause there’s a million things to be You know that there are And if you want to live high, live high And if you want to live low, live low ‘Cause there’s a million ways to go You know that there are.”

      Valentina, la scrittura e la fotografia

      Il rapporto con la scrittura è abbastanza complicato, ma in senso positivo. Mi chiedo spesso quali siano i confini entro i quali voglio restare per rispettare la mia personalità molto riservata. Spesso mi chiedo se quello che scrivo possa rendere al meglio quello che sento; e, infatti, non riesco a scrivere a comando ma solo quando mi sento particolarmente ispirata. La fotografia invece è per me un mondo più semplice e immediato. Credo che dalla galleria fotografica di una persona si possano capire tante cose in base al modo in cui coglie situazioni, persone e sfumature.

      Progetti in cantiere

      Ogni giorno è una nuova occasione per creare progetti e mantenersi vivi.

      Posted in Guestpost e interviste | 6 Comments | Tagged Guestpost, Instagram, un'ora con
    • Un’ora con…Valentina di Bellezza rara

      Posted at 11:50 am09 by ophelinhap, on September 30, 2014



      Dopo la chiacchierata con Giulia di The Blooker e quella con Alessandra di Una lettrice, questa mi sta particolarmente a cuore, perché Valentina l’ho effettivamente conosciuta e vista due volte in quel di Greyville, e ho quindi avuto modo di toccare con mano la sua freschezza, il suo entusiasmo, la sua passione per le cose che dice, che scrive, che fa. Perché incontrarsi nel mondo virtuale offre possibilità pressoché infinite, eliminando limiti spazio – temporali, ma non può sostituire una chiacchierata davanti a coca-cola e insalata durante la giornata più piovosa del luglio più piovoso della storia 😉

      Genesi ed evoluzione di Bellezza rara

      Valentina ha creato Bellezza Rara nel 2010, mossa dal desiderio di parlare di bellezza, soprattutto della bellezza trovata nei luoghi visitati prima di diventare mamma, nel corso dei suoi viaggi di lavoro.

      Per due anni è stato uno spazio che Valentina riempiva sporadicamente con una manciata di post, principalmente sulle sue città del cuore, New York e Lisbona, che hanno messo prepotentemente radici nella sua memoria (e il terzo post su Bellezza rara, La mia New York, fa venire voglia di abbandonare tutto, fare la valigia e partire per la Grande mela, guardandola con gli occhi innamorati di Valentina).

      Poi, a marzo 2012, in seguito a un momento difficile in ufficio, ha scritto il primo post molto personale, in cui parlava del rapporto famiglia-lavoro. Bellezza Rara ha così fatto un primo ingresso nel territorio del mommy – blogging. Valentina stessa non sa se definirlo propriamente un mommyblog, o, almeno, non sa più se definirlo così, dato che più passa il tempo più si sente in imbarazzo quando parla di sua figlia, che ora ha cinque anni e una sua personalità da rispettare e tutelare. Per questo motivo, da un po’ di tempo, Valentina preferisce scrivere quasi esclusivamente delle sue esperienze e dei suoi ricordi.

      (Mia personalissima opinione off the record: Bellezza rara è molto più di un mommyblogo un blog di viaggio: è un contenitore di storie scritte col cuore, di dichiarazioni d’amore a Torino, di ricordi al sapore di Lisbona, di New York e di nostalgia, di bellissime lettere che Valentina scrive a G., la sua nana riccioluta. Ecco, per esempio un paio di giorni fa ho letto questo post, e mi sono commossa, perché in poche righe ho trovato tutta la bellezza che cercavo.).

      Bellezza Rara è Valentina. È tutto ciò che ha dentro. Ricordi, sogni, passioni. Ed è soprattutto quell’impulso irrefrenabile di scrivere che ogni tanto sente e che non può non assecondare.

       

      Lo scaffale d’oro di Valentina

      Il bar delle grandi speranze di JR Moheringer

      Fiestadi Ernest Hemingway

      La stradadi Cormac McCarthy

      Un amoredi Dino Buzzati

      Un uomodi Oriana Fallaci

      Dice Valentina del suo rapporto con la lettura:

      Quando ero al liceo classico divoravo i libri di Oriana Fallaci e sognavo di diventare quel tipo di donna: coraggiosa, anarchica e forte. Sognavo di diventare una giornalista di guerra, ma soprattutto sognavo di essere la Fallaci di Un uomo: innamorata e pronta a lottare contro tutto il mondo per il suo uomo e per il suo amore. Poi ho scelto Economia e Commercio e una vita decisamente più tranquilla della sua, ma quel modo di vivere le passioni mi è rimasto nell’anima.

       

      Se Bellezza Rara fosse una colonna sonora…

      sarebbe di sicuro di Ennio Morricone, che Valentina adora.

      In particolare, sarebbe quella di C’era una volta in America.

      Se fosse una canzone…ma Bellezza Rara è una canzone! Il nome del blog deriva da una canzone brasiliana che la fanciulla ascoltava sempre ai tempi del suo Erasmus a Lisbona e che per lei è diventata sinonimo di felicità, spensieratezza, leggerezza.

       

      Valentina e la scrittura

      Valentina racconta storie. Storie che catturano attimi di bellezza (quella bellezza rara, appunto, che poi è titolo ed essenza del suo blog).

      Ho chiesto a Valentina di raccontarmi un po’ come vive la scrittura, cosa significa per lei, qual è il suo rapporto con le sudate carte (o il sudato pc J):

      Ho sempre amato scrivere, ma l’ho sempre ritenuta una passione e nulla più. Da qualche anno ho capito che anche lo scrivere ha le sue regole e soprattutto è una passione che va coltivata e arricchita, e quindi ho cominciato a frequentare corsi di scrittura e a leggere i grandi della letteratura dai quali vorrei imparare. Per me la scrittura è come l’amore con il quale decidi di costruire una famiglia: richiede passione e istinto ma anche tanto impegno.

      E sui suoi progetti in cantiere:

      Ho in cantiere un ebook che uscirà a ottobre con Zandegù: sarà una guida turistica molto speciale. Diciamo che sarà una guida a un certo tipo di sentimenti 🙂

      Poi ho in cantiere un romanzo che non so quando finirà, ma mi sta tenendo molta compagnia. Parla di Arturo e Sara, e del loro corto circuito un giorno di aprile.

      E poi mi piacerebbe tanto scrivere qualcosa sulla mia città, Torino, che adoro fotografare e descrivere, ma non ho ancora ben inquadrato l’idea.

      (N.B: Valentina scrive anche su #lamiatorino e riempie il suo profilo Instagram di foto meravigliose che mi fanno venire una voglia matta di scoprire questa meravigliosa città che, ahimè, non ho mai visitato).

      Insomma, che aspettate? C’è tanto da leggere, e il tempo è sempre troppo poco 😉

      PS: Un grazie speciale a Valentina che ha avuto il coraggio di venirmi a trovare nel mio ufficio sperduto in mezzo al nulla, sotto la tormenta.

      PS2: Ecco un assaggio delle bellissime foto di Valentina, tra Torino, Stati Uniti e Portogallo.

       
       

       
       

       

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    • Making sense of suicide with Sylvia Plath: un articolo di Katie Crouch (parte seconda)

      Posted at 11:50 pm09 by ophelinhap, on September 27, 2014

       
      Avevamo lasciato Katie, Henry e Lucinda a disagio in una bettola da quattro soldi.
      Ah, per chi si fosse perso la prima parte: Katie Crouch è una scrittrice americana, autrice del best-seller Abroad, ha scritto un articolo che ho letto su BuzzFeed e, che per una serie di motivi, non riuscivo a smettere di leggere. Ne ero affascinata.
      Ho chiesto a Katie il permesso di tradurlo in Italiano, e questa è la seconda parte (qui la prima parte).
      Perché Sylvia Plath, allora, e cosa c’entrano Henry, Lucinda e Kate?
      L’articolo di Katie è una lettera a Sylvia Plath, un racconto, e una confessione.
      E’ una riflessione sul suicidio di Sylvia – della Sylvia persona, la Sylvia ragazza, quella che si nasconde dietro la maschera della poetessa tanto amata e celebrata, dalla vita romanzata.
      E’ una riflessione sul suicidio in generale, e sul suicidio di Henry.
      Henry è un amico di Katie, un suo ex collega, compagno di sbronze, sigarette e risate clandestine, nascoste dalla quattro pareti discrete del bagno unisex.
      Henry è di un’intelligenza brillante e instancabile, che gli permette di distaccarsi dalla vuotezza e dalla scarsità di stimoli dell’agenzia pubblicitaria per cui lavora insieme a Katie e di rifugiarsi nei libri, nella musica elettronica, nella cultura giapponese.

      Henry, come Sylvia, vive la vita all’estremo. Henry, come Sylvia, brucia d’amore: amore per Lucinda, la moglie che non gli apparterrà mai veramente, perché ama essere guardata dagli altri uomini, adorata, venerata mentre si spoglia in un night club.

      Mentre traducevo la storia di Henry, a un certo punto nella mia playlist è partita Pyramid song dei Radiohead, e, complice il fatto che ho da poco finito di leggere The Bell Jar, mi sono sentita estremamente coinvolta nel dramma di Henry e in quello di Sylvia, e in quello di Katie, il suo senso di colpa per non essere riuscita a salvare il suo amico, la sua insonnia.
       
      The bell jar, suspended, a few feet above my head. I was open to the circulating air. (The Bell Jar,  Sylvia Plath)
      (La campana di vetro, sospesa a qualche centimetro dalla mia testa. Ero aperta all’aria che circolava)

      E ho pensato a quanto sia facile perdersi, sentirsi soli. Perdere la speranza.
      Sentirsi quasi invisibili, in un guazzabuglio di condivisione e di “mi piace”, dove l’apparenza conta sempre di più, e ci si dimentica di guardare cosa c’è sotto la campana di vetro.

      E mi è venuta in mente la pubblicità di una macchina con navigatore incorporato, che diceva qualcosa tipo: in un mondo pieno di indicazioni, riesci ancora a perderti?
       
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      “Okay” ho detto allora”. La moglie aveva questa piccola pochette sbrilluccicosa di cui Henry si prendeva cura come se si trattasse di un cucciolo. Mi ricordo che lo osservavo – stringeva la borsetta così forte che la sue nocche erano bianchissime – e pensavo che nessuno mi avrebbe mai amato così.

      Henry e Lucinda erano diversi dal resto dei miei amici. Avevo provato a farli incontrare tutti, ma era un miscuglio troppo strano. La coppia non sciava, non amava i Wilco (gruppo rock alternativo basato a Chicago, Illinois, ndr), non viaggiava con un branco di ragazzi equipaggiati REI (marca americana di equipaggiamento e abbigliamento sportivo, ndr) dalla testa ai piedi. Uscivano di rado, e quando venivano alle feste stazionavano nell’angolo della stanza, come fantasmi. Eppure amavo questo loro separarsi dagli altri. Li trovavo affascinanti.

      Ho poi scoperto che, in realtà, non sapevo niente di Henry. Avevo una mia visione romanzata della sua vita: l’ amico musicista e la moglie spogliarellista di certo vivevano in un loft da artisti a South of Market (quartiere di San Francisco, ndr).

      Il giorno in cui sono passata da loro ho scoperto che l’appartamento di Henry altro non era che uno studio piccolo e sporco a Tenderloin (quartiere di San Francisco, ndr).

      Avevo detto a Henry che sarei passata, ma pareva se lo fosse dimenticato. Ha aperto la porta in pigiama, l’aria corrucciata.

      “Ciao” mi ha detto. Il posto era freddo e cupo. Un gatto mi osservava dal letto.

      “Ciao”.

      “Non l’hai mai chiamata”.

      “Cosa?”

      “Lucinda. Per la storia.”

      “Oh. Mi dispiace”. Gli ho dato I soldi per i miei dieci dollari di fumo (ero passata per quello). “La chiamerò, stanne certo”.

      È passato del tempo prima che la chiamassi. Sono andata a sciare; sono andata per locali con gli altri copywriter. Il mio ragazzo era un repubblicano, il che mi aveva portato, in qualche maniera misteriosa, a seguire un corso su come cucinare i soufflés. Alla fine, mossa dalla noia più che dal senso di colpa, ho chiamato Lucinda. Era dolce al telefono, la voce infantile che suonava come quella di una bimba di otto anni.

      Lucinda è arrivata in ritardo al nostro appuntamento al Café Vesuvio, vicino al locale dove lavorava.

      È arrivata arrossata e senza fiato, molto più carina nella luce del pomeriggio rispetto alla sera in cui l’avevo conosciuta. Abbiamo bevuto un paio di bicchieri e  ho acceso un piccolo registratore che ancora conservo in uno scatolone di robe vecchia a casa di mia madre, dove mi sarei trasferita qualche anno più tardi, dopo quello che alcuni hanno definito un esaurimento nervoso.

      Lucinda mi ha raccontato che aveva sempre desiderato fare la ballerina. Quando era andata a Las Vegas insieme a Henry, lui l’aveva portata a vedere delle showgirl.

      “Ma io non ero interessata a ballare”.

      “Ti piaceva solo l’idea di essere guardata?”

      “Adorata”.

      Dopo un po’ mi ha portato al club dove lavorava. Sedute nello spogliatoio, abbiamo fumato e chiacchierato con le altre ragazze. Spettegolavano e si pavoneggiavano allo specchio nelle loro vestaglie di seta. Io prendevo appunti, minuziosamente. Cambio del turno. Vestaglie. Molte sono studentesse di arte. Scarpe. Lucinda si è alzata e ha preso un paio di stivali go-go bianchi (la Go-go dancing è un tipo di danza erotica, con ballerine o ballerini spesso vestiti con abiti succinti e questi stivali, nata nei primi anni ’60 quando le donne al Peppermint Lounge di New York hanno cominciato a salire sui tavoli e ballare il twist, ndr) dallo scatolone degli oggetti di scena. Si è spogliata in silenzio e si è messa i tacchi alti, poi si è avvicinata allo specchio e ha dipinto di rosso le sue morbide labbra da geisha.

      “Dai, mettiti gli stivali” he detto, girandosi verso di me.

      La sua indifferenza. Nessuna discussione, nessun esasperante dovrei farlo, o no?

      Ho chiuso la cerniera degli stivali, poi ho seguito il bagliore delle sue spalle per il corridoio. Abbiamo messo via le sigarette e siamo passate sotto la porticina che dava sul palcoscenico. Le altre ragazze stavano già ballando. Ci hanno fatto un cenno.

      Non ho oltrepassato la tenda: sono rimasta lì a sbirciare. Faceva freddo, e l’aria sapeva di candeggina. Ma niente di tutto questo aveva importanza in presenza di Lucinda. Volteggiava, faceva piroette,  scivolava via leggera, furtiva. Le altre ragazze ci provavano, ma in confronto a lei non erano che bamboline di carta. La gamba di Lucinda arrivava fino al suo orecchio e oltre, in un’altra dimensione. Nonostante il vetro fosse unidirezionale, riuscivo a intravedere le sagome delle teste che si muovevano su e giù vicino alla sua finestra.

      Alla fine – dopo dieci minuti? Venti?  – ha fluttuato nella mia direzione.  “Dovrebbero riscaldare di più questo posto”, ha osservato. Abbiamo smezzato una sigaretta, poi è andata di nuovo a ballare. Ho pensato che non avrei mai raccontato quest’esperienza al mio ragazzo. Poi ho pensato a Henry, a dove poteva essere. Forse a casa, fatto, col suo gatto, a leggere Murakami? O forse a guardare la porta, aspettando che la sua iridescente moglie tornasse?

      Dopo qualche altra esibizione siamo tornate nei camerini, ci siamo vestite insieme, poi siamo scappate via ridendo sul marciapiede. La mia gola era intasata dal fumo delle sigarette. Lucinda ha aperto la giacca e ha tirati fuori gli stivali bianchi, facendo scivolare la borsetta di lustrini dalla spalla.

      “Li ho rubati per te” ha detto, con quella sua voce.

      E’ stato uno di quei rari momenti di purezza. Sai di cosa sto parlando, vero Sylvia? Una piccolissima pausa nel corso degli eventi; un istante che significa tutto e niente allo stesso tempo. Ho pensato a Henry in ufficio alle sei del mattino, quando fuori è ancora buio, per guadagnarsi un paio di ore insieme a sua moglie. In quel momento tutta la loro storia assumeva un senso, com’è successo a te quando hai incontrato Ted.

      Lucinda. Era impossibile non amarla.

      Conosciamo la tua storia, Sylvia, e la sua parabola. La passione soprannaturale, la pazzia, il vortice che ti ha risucchiato. Quindi sappiamo come va a finire questa storia, vero? Dopotutto, ti ho già detto che mi ricordi il mio amico Henry. Il modo in cui ti sei aperta a un’altra persona, permettendo che ti abitasse. Il fatto che tu abbia modellato la tua vita intorno a lui. Alcune femministe impazziscono per quello che tu hai fatto per Ted. Dicono che tu sei un pessimo esempio, una pessima madre. Sono una femminista e sono una mamma, ma conosco amore e pazzia. Le parole che ci hai lasciato riescono a pulire ogni macchia, per me. Forse divento più disposta al perdono col passare del tempo, a causa dei miei errori. In ogni caso, non ti critico.

      Il collasso di Henry è iniziato col disastro che ha colpito l’altra costa del Paese l’11 settembre 2001. C’è voluto circa un mese  perché l’agenzia iniziasse a risentirne il pieno impatto. Il corso di yoga è stato cancellato. C’è stata una riunione durante la quale non si è parlato più di “famiglia”. Sarebbero stati invitati dei consulenti a giudicare la nostra produttività.

      Il nostro receptionist si è sparato. La mascotte della compagnia si è ammalata di un cancro canino ed è morta. Un giorno, verso la fine di novembre, il mio computer è stato messo sotto chiave, le mie cose in uno scatolone di cartone. Henry, che doveva essere stato il primo a ricevere la notizia dato che veniva in ufficio prestissimo, se n’era già andato.

      E’ stato l’inizio di cose molto spiacevoli, Sylvia. Le metà femminile della coppia dai pantaloni di pelle se l’è svignata con un consulente d’investimento. La metà maschile, abbandonata ed arrabbiata, ha molestato una produttrice e si è fatta licenziare dal consiglio di amministrazione.

      Un flagello istantaneo. Nessuna possibilità di tornare a lavorare. Mi sono iscritta alle liste di disoccupazione , poi ho scritto circa cinquecento parole sul mio pomeriggio con Lucinda e le ho mandate a Henry. Non mi ha mai detto niente, quindi ho dedotto (a ragione) che non fossero granché.  Tutti si affrettavano a lasciare la città: il mio ragazzo, molti dei miei amici. Tornavano sulla costa est a lavorare per le loro famiglie o si iscrivevano nuovamente all’università.

      Henry e Lucinda non se ne andavano. Quello che li differenziava dal resto dei miei amici non era, ovviamente, il loro fascino, ma il fatto che non venissero da famiglie benestanti, e non avessero una rete di sicurezza per scongiurare lo scenario peggiore. Ma Lucinda aveva ancora il suo lavoro, quindi sembravano a posto. A volte andavamo a cena insieme in ristorantini vietnamiti da quattro soldi dalle parti loro. Henry e io parlavamo di libri, Lucinda mangiucchiava distrattamente.

      Ma qualcosa stava cambiando. Henry era sempre più magro, sempre più arrabbiato.

      Una sera ci siamo incontrati per un drink, solo io e lui. Aveva due grosse ombre bluastre sotto gli occhi. Lucinda era passata dallo spogliarello al porno, mi ha detto. Ora faceva lap dance, e altre cose di cui non voleva parlarmi. Non poteva chiederle di fermarsi: lei voleva farlo. E lui viveva dei soldi che sua moglie guadagnava compiacendo altri uomini.

      Mi sembra di ricordare di aver lasciato la città senza nemmeno aver rivisto Henry. So che sembra assurdo, visti i nostri precedenti.

      Il fatto è che non mi ricordo bene questo pezzo della storia. Ero così spaventata, non avevo un piano B. Non era così strano, in quel periodo, sparire senza dire niente. Erano in così tanti a partire che le feste d’addio erano ormai diventate una barzelletta. Forse sono passata a salutarlo, forse no. È passato così tanto tempo…

      Una cosa però me la ricordo. L’ho chiamato e gli ho lasciato un messaggio. Ricordo anche che, circa un mese dopo, anche lui mi ha lasciato un messaggio, Sylvia. Me lo ricordo ancora, parola per parola.

      Mi ha detto che era disperato. Che non aveva soldi. Che Lucinda stava pensando di lasciarlo. Che stava lavorando in un negozio di alimentari.

      “Conosci qualcuno?” ha chiesto alla macchina. Qualcuno che possa aiutarmi?

      Non lo conoscevo. Era la verità. Non conoscevo nessuno che avesse bisogno di droga, o di un programmatore, o di una lap dance. Ma era il mio amico, e, nel corso degli ultimi tre anni, ero stata quella che l’aveva fatto ridere senza una ragione. Quindi si, conoscevo qualcuno che poteva aiutarlo. Io.

      Ma c’è una cosa. Ci puo’ essere una cosa, vero Sylvia? Ci puo’ essere, e c’era: mio padre.

      Quando ero piccola, a volte mio padre mi portava nel nostro gazebo per parlarmi. Avevamo una bella casa, Sylvia, simile alla casa a Winthrop dove hai vissuto quand’eri piccola.

      Il gazebo era caldo e giallo. Mettevamo cracker salati con formaggio cremoso in un vecchio piatto scheggiato, in equilibrio precario su un cuscino in mezzo a noi. Mio padre mi raccontava che alcune persone ce la facevano a superare le avversità; altre, inevitabilmente, non ci riuscivano.

      Nel secondo caso, è importante allontanarsi, anche se si tiene molto alle persone in questione. È come quando una persona sta per annegare: pur non volendolo, ti porta giù con sè.

      È una cosa istintiva, mi diceva mio padre, bevendo chissà cosa on the rocks da una tazza di tè.

      Quando ero più giovane veneravo quest’uomo, nonostante i suoi problemi  e i suoi difetti, come tu veneravi Otto.  Ti ricordi che non sei mai riuscita a riprenderti dalla sua morte? Ti quel senso di perdita, di vuoto, che ha dato origine ad Ariel?

       

      You stand at the blackboard, daddy

       In the picture I have of you

       A cleft on your chin instead of your foot

       But no less a devil, no not

       Any less the clack man who

       Bit my pretty heart in two.

      (dalla poesia Daddy, ndr)

       

      Sylvia, Henry mi ha chiamato perché aveva bisogno di me. Stavo per rispondere. Poi ho pensato a mio padre, a quello che mi aveva detto, anche se sapevo che era solo un ubriacone.

      Non posso aiutare Henry in nessun  modo, ho pensato.

      Ma era solo il piano da quattro soldi di una scrittrice che voleva essere perdonata. Da te, da Henry. Da se stessa.  Avevamo torto, io e mio padre. Henry era il mio amico. Avrei dovuto richiamarlo.

      Ieri notte ero a letto con mia figlia. Ha tre anni. Non penso alla maternità tanto quanto ci pensavi tu, Sylvia. Le tue poesie sull’essere madre non erano tra le mie preferite, Sylvia. Preferisco fare più che pensare.  Per me, la maternità non è un miracolo: è la vita, semplicemente.  Ho una bambina, e ci amiamo. E tiriamo avanti.

      Ma ieri notte lei mi ha guardato e mi ha chiesto “io, tu e papà non moriremo mai, vero? Daisy – il nostro cane rauco – potrebbe morire, ma noi no, vero?”

      Non ero pronta a parlare di morte. Era tardi. Forse non mi andava, per pigrizia. Così ho fatto qualcosa che non avrei dovuto fare: le ho mentito.

      “Esatto” le ho detto. “Non moriremo.  Andrà tutto bene. Bevi un po’ d’acqua”.

      Roviniamo le persone, Sylvia. Figli, amici. Li roviniamo anche senza infilare la testa in un forno quando loro sono nella stanza accanto.

      Quando sono tornata, San Francisco era un posto diverso, più ragionevole. La gente aveva di nuovo lavori normali. Le grandi compagnia fatte di scaldapiedi e corsi di yoga, le stesse che ora considero specialmente pericolose, si erano tutte concentrate nella Silicon Valley. Non avevo chiamato più chiamato Henry e Lucinda; nemmeno loro l’avevano fatto. Eppure a volte pensavo a loro, reliquie estratte dal mio passato, come farfalle che volteggiavano intorno allo stesso spillo.

      Nel corso di uno di quei pomeriggi californiani dorati e luminosi sono passata dalle parti del club dove lavorava Lucinda. Sono entrata e ho chiesto di lei, usando il suo nome di scena, ma l’uomo al bancone mi ha detto che se n’era andata.

      Tornata a casa, li ho chiamati. I loro numeri erano cambiati, le email tornavano indietro.

      Qualche settimana più tardi ho incontrato la curatrice della cultura aziendale del posto dove lavoravo. Era ancora più bella, ancora più nervosa, ancora single. Abbiamo ricordato i vecchi tempi, parlato degli ex-colleghi. “Devo chiamare Henry” ho detto. Sono passati anni dall’ultima volta che l’ho sentito. Devo proprio chiamarlo”.

       

      La curatrice ha sorriso, ma era quel sorriso nervoso, inappropriato. Il sorriso forzato e involontario delle cattive notizie.

      “Oh, Henry è morto. Non lo sapevi?”

      No, non lo sapevo.

      Allora mi ha raccontato quello che era successo. Lucinda l’aveva lasciato. Henry non aveva più un soldo. Quindi, dopo anni di droghe e depressione, aveva affittato un macchina, guidato fino a Land’s End, chiuso i finestrini e acceso una griglia a carbone sul sedile del passeggero.

      “Apparentemente è un metodo molto popolare per suicidarsi, in Giappone” mi ha detto.

      Quello che è successo dopo è vago, sfocato. Credo di essermi messa a piangere. Credo la curatrice abbia cercato di essere empatica, ma fosse solo a disagio.

      Dopo un po’ se n’è andata. E io ho smesso di dormire.

      Per un bel po’ sono stata ossessionata dai dettagli. La data. Il posto. Dove fosse finita la macchina.

      Ho cercato Lucinda, nei vari night club e su Internet.

      Ho chiamato di nuovo la curatrice, perche’ mi avava detto di aver sentito dire che Lucinda si fosse iscritta ad una scuola per estetisti.

      “Ma dove?” le ho chiesto. “Qui?”

      Non lo sapeva, mi ha detto, un po’ impaziente. Le dispiaceva. Era una storia davvero triste.

      “Sono andata con lei al club dove lavorava, una volta”.

      La curatrice ha riso, fingendo interesse.

      “Nient’altro che stivali bianchi” le ho detto. Ho cercato di spiegarle la storia, ma non l’ha capita.

      I blissfully succumbed to the whirling blackness that I honestly believed was eternal oblivion.

      (Mi sono abbandonata con enorme sollievo al vortice nero che credevo essere oblio eterno).

       

      Questo è quello che hai scritto del tuo primo tentativo di suicidio, Sylvia. Voglio dire la volta che hai preso le pillole e ti sei nascosta in quella sottospecie di scantinato a casa di tua madre. Immagino che Henry abbia fatto la stessa cosa, mentre il monossido di carbonio deprivava il suo cervello di ossigeno. Abbandonarsi al vortice nero. A dirlo così, sembra quasi piacevole.

      Ma ho paura, Sylvia. Probabilmente l’avrai capito: sono una fifona. E la cosa che mi spaventa di più è il sospetto che non sia poi tanto piacevole, abbandonarsi al vortice. Ho paura che a entrambi sia mancata l’aria fino a soffocare, o che il sangue sia uscito a fiotti dal naso mentre il cervello esplodeva, o, peggio ancora, che abbiate capito troppo tardi che non volevate farlo. Che volevate vivere.

      Forse questo è il mio problema. Questo mio blocco mentale per cui non riesco a concepire che essere privi di vita sia meglio di essere vivi.

      Non riesco proprio a immaginarmi il sollievo dell’oblio, Sylvia, proprio come non posso comprendere dove finisca l’universo. È come in un puzzle di Escher (incisore e grafico olandese conosciuto principalmente per le sue incisioni su legno e litografie che tendono a presentare costruzioni impossibili ed esplorazioni dell’infinito, ndr): voglio che Henry abbia il suo lieto fine; so che non può più averlo; pensando alla sua fine, torno all’inizio. Ci si mette ovviamente di mezzo anche il senso di colpa, perché forse avrei potuto fare qualcosa. Inoltre, non riesco proprio a convincermi che per Henry abbandonarsi all’oblio possa essere stato meglio delle risate con me, chiusi in bagno.

      Probabilmente non ti sarei piaciuta, Sylvia. Tendo a semplificare le cose. Ricordi? Le uova.

      Henry non l’avrebbe mai fatto, semplificare le cose. E, considerando quello che hai scritto, nemmeno tu, credo.

      La differenza principale tra Henry, me e te l’ho capita solo dopo tutti questi anni. Io non vivo la vita con la passione e la profondità con cui voi l’avete vissuta. Non “sento” così tanto, e questo mi fa sopravvivere.

      Quando vago per casa la notte non vado dall’altra parte del precipizio. Svuoto la mente, e spero.

      Quindi questo è quello che auguro a te, poetessa, genio. Questo è quello che auguro a Henry, l’amico che non ho salvato. Spero che voi abbiate avuto ragione a proposito del vortice nero. Spero che l’oblio sia stato una benedizione. E spero che, in quel posto oscuro, i vostri cuori rinsecchiti, appassiti a causa del troppo amore, abbiano finalmente trovato il sangue che cercavate. Così, mentre l’aria abbandonava i vostri polmoni, il resto del vostro corpo sarà stato finalmente in grado di fiorire, di esplodere, di  incendiarsi.
       
       
      Posted in Letteratura americana, Letteratura e dintorni, Ophelinha legge | 8 Comments | Tagged American literature, Guestpost, Literature and Beyond, non se ne parla mai abbastanza, Poetry, Storie dietro la storia, Sylvia Plath
    • Un’ora con..Alessandra di Una lettrice

      Posted at 11:50 pm08 by ophelinhap, on August 20, 2014

      Dopo la chiacchierata virtuale con Giulia di The Blooker, è la volta di un’altra delle mie blogger preferite: Alessandra di Una lettrice, paladina di  #libribelli, posti da favola dove leggere, alla costante ricerca di attimi di inattesa, incalcolabile felicità. Ed è stata veramente una bella chiacchierata, come se fossimo state sedute in una sala da tè una di fronte all’altra e non a centinaia di km di distanza, a dimostrazione del fatto che, nonostante abusi, soprusi e fraintendimenti, la rete unisce, davvero, e affacciarsi alla propria finestrella virtuale paga, perché si possono incontrare spiriti affini, anime belle, compagni di sbronze, di merende e di letture.

      Genesi di Una lettrice

      Una lettrice nasce nel marzo del 2013 a seguito di un gruppo di lettura reale (si, la regia mi conferma esistono ancora..e sono di una bellezza confortante. Pensate al Bookeater club di Zelda was a writer…). Il gruppo di lettura era nato sul social network Anobii, dove le recensioni dei libri letti venivano pubblicate.
      Tuttavia, le recensioni su Anobii sono accessibili solo agli altri utenti iscritti; quando il profilo twitter di Alessandra ha iniziato a crescere, molti follower non iscritti ad Anobii hanno iniziato a chiederle consigli su questo o quel libro. Ergo, Alessandra ha deciso di portare le sue recensioni (o i suoi commenti, come ama definirli) fuori da Anobii e di dare vita ad un blog.
      Il suo profilo Anobii vanta più di 400 libri e molti commenti, quindi la nostra prode lettrice ha deciso di non riportarli tutti pedissequamente, ma di effettuare una selezione: nasce così #libribelli.

      #LIBRIBELLI

      Scrive Alessandra nel suo blog:

      Bello è una parola svuotata di ogni significato, ma nell’accezione in cui la uso nel tag #LIBRIBELLi significa “libri che vale la pena leggere”.
      In Italia in media si pubblicano 61mila titoli all’anno, cresce il fenomeno del selfpublishing e è difficile orientarsi. Io, che sono una lettrice quasi di professione, ho trovato e trovo difficoltà nel momento in cui mi chiedo “e ora, cosa leggo?”. Ho sviluppato negli anni un’abilità nel capire in primis quali libri non leggere.
      Ho pensato, di contro, di categorizzare con #LIBRIBELLI quelli che vale la pena leggere.


      Potere trovare l’elenco di #LIBRIBELLI (in costante aggiornamento) e le relative recensioni qui.
      Lector in fabula

      Alessandra nasce praticamente lettrice: cresce in una casa stracolma di libri, i suoi genitori sono due accaniti lettori. La nostra eroina sostiene sostiene che non ci sia miglior insegnamento che il comportamento: ha iniziato a leggere per imitazione e la lettura è diventata presto una fedele compagna, permettendole di evadere dalla noia del quotidiano casa-scuola, visitando posti lontani, conoscendo nuove epoche storiche, immergendosi in nuove realtà, assaporando sentimenti sconosciuti. Sostiene Alessandra (sostiene):

      La lettura è sempre stata una mia amica, anche se non credo che i libri contengano la verità.

      Alessandra non ha libri del cuore, o meglio, ne ha avuti diversi in ogni fase della sua vita: Le cronache di Narnia di C.S. Lewis da bambina, Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen da adolescente, Lettere a Lucilio (sull’amicizia) di Seneca da ventenne. Il libro per i trenta le manca, perché è diventata trentenne da pochissimo 😉
      I libri che consiglia per l’ombrellone (o l’aereo, o la campagna, o la montagna, o la pausa pranzo per chi non è in ferie) sono:
      1. Il conte di Montecristo di Alexandre Dumas, per sognare
      2. I Middlestein di Jami Attenberg
      3. La storia di un matrimonio di Andrew Sean Green
      4. Tokyo orizzontale di Laura Messina
      5. A neve ferma di Stefania Bertola
      Una lettrice in cerca di personaggio

      Tutte le volte che apre un libro, Alessandra vi ritrova un pezzetto di se stessa. Inoltre, si professa troppo mutevole e camaleontica per immedesimarsi in un solo personaggio.
      E’ un po’ come per i tatuaggi: come Alessandra non crede che potrebbe farsene uno e vivere tutta la vita rinchiusa dentro un solo disegno, così non riesce a racchiudere tutta la sua esperienza di lettrice dentro un unico personaggio. Finora 😉
      Una lettrice e la scrittura

      Alessandra scrive.
      Scrive sul blog. Scrive email alle persone care. Scrive post it per il suo ragazzo. Scrive biglietti d’auguri e scrive lunghissimi elenchi puntati sulla sua moleskine. Scrive molte e-mail di lavoro e ha scritto 45000 tweet.
      Scrive un sacco di whatsapp, ma solo a sua sorella.
      Soprattutto, Alessandra si definisce – con quella semplicità e modestia che ho imparato a scoprire e ad apprezzare, nei limiti del remoto – una lettrice.
      Una ragazza che ha fatto dei libri sia la sua professione – imparando anche come nascono, come si fanno in modo concreto – che la sua passione.
      Una lettrice, felice del fatto che i suoi amati libri le abbiano dato la possibilità di conoscere persone nuove. Persone belle. Persone che amano i libri.

      Una lettrice e i social

      Alessandra è molto social 😉 (e al tempo stesso molto riservata: sembra un ossimoro, ma non lo è, e anch’io ne sono la testimonianza vivente).
      Ha account un po’ ovunque: oltre ai già citati Twitter e Anobii, ama Pinterest (sbirciate il suo board “esprimi un desiderio“: è adorabile!) ed è attiva su Facebook e LinkedIn.
      Le piace essere parte attiva sui social e scrivere qualcosa di suo, invece di essere parte passiva che osserva e critica: a sentire Alessandra, per fare la vecchietta affacciata alla finestra che spia i ragazzi che si baciano per strada mancano ancora almeno 50 anni;P
      Questo non significa che condivide tutto di sè, anzi; come si è detto prima, è estremamente riservata e pronta a condividere solo alcune sfere della sua vita, l’amore per i libri e per la lettura in primis.

      Nel blogroll di Alessandra…..

      – fuck you very much (non lasciatevi trarre in inganno dal titolo: è un blog di fotografia 😉
      – All things stylish, un blog di fotografia, arte e stile, dai colori tenui e delicati, di sogno;
      – The tao of Dana, il bog di una ragazza americana che si occupa di feng shui e positività;
      – il mitico Brain Pickings di Maria Popova (ne abbiamo parlato anche qua e qua)
      ..insomma, la fanciulla ha una sezione feedly molto ricca e variegata! Qui trovate un elenco più esaustivo dei blog Alessandra – approved.
      Una Lettrice e la poesia
      La soave fanciulla si è innamorata di Neruda quando viveva in Spagna, e non l’ha più mollato. Ama a pari merito – e consiglia – le Odi elementari e Venti poesie d’amore e una canzone disperata.
      Progetti in cantiere

      1) Il progetto sulla felicità
      Da un po’ di tempo, Alessandra ha iniziato e leggere e a indagare il concetto di felicità. Prima ha sperimentato – per gioco – il progetto #100happydays . Quando quest’ultimo è terminato, con sua grande soddisfazione, ha deciso di impegnarsi a cercare ogni giorno un momento felice: una sorta di gioco della felicità, che – fortunatamente – di Pollyanna ha ben poco 🙂
      2) Space clearing e decluttering
      Sono due iniziative volte a liberare spazio fisico in casa, in ufficio in macchina et alia, per dare modo ad altre cose di entrare. Cose nuove. Cose belle. Cose che verranno 🙂 (lasciando sempre un angolino libero per l’inatteso, l’inaspettato, il sorprendente)
      Dice Alessandra a proposito di questo suo progetto:

      Decluttering significa liberare spazio. è una cosa fisica: nel senso che tendiamo ad accumulare troppi oggetti che non usiamo e ciò blocca le energie di crescita e di positività. Si tratta di imparare a lasciar andare. Ho fatto molta beneficenza e ho regalato oggetti, libri, vestiti, un quadro. ma è anche una cosa mentale. Io per esempio ho fatto decluttering della parola dovrei.
      Ho iniziato ad osservare quando la uso e ho inizato a sostituirla con Potrei o Vorrei. ti cambia la prospettiva delle cose che fai ed è molto liberatorio. Insomma queste pratiche servono per accumulare benessere.

      Imparare a lasciar andare…sarei la prima a dovermi ispirare ad Alessandra, io che vivo nel passato e non butto via proprio niente..
      Potete leggere i post di Alessandra sulla felicità qui e sul decluttering qui.

      Happy reading con Una lettrice!


      • 04/08/2014 15:2
      Posted in Guestpost e interviste | 3 Comments | Tagged Bookworms, Guestpost, Si legge e si racconta di libri, un'ora con
    • Un’ora con…Giulia Depentor di The Blooker

      Posted at 11:50 pm07 by ophelinhap, on July 29, 2014
      Giulia Depentor e il suo ukulele (foto tratta dal suo blog, The Blooker)

      Succede che, ad affacciarti da una finestrella virtuale, ti si aprono davanti miglia e miglia di oceano, fino ad arrivare ad un continente sognato, desiderato ma non ancora visitato, se non col pensiero: la Nuova Zelanda.
      Succede che i libri sono la cosa che ami più al mondo, e ti capita di incontrare (sempre affacciandosi dalla famosa finestrella) qualcuno che ci lavora ogni giorno, tra i libri, li scrive, i libri, e…li indossa anche, i libri.
      Succede che, dopo una lunga giornata di pioggia, conosci via Skype una ragazza spontanea e simpatica, che si è appena svegliata dall’altra parte dell’oceano, in un continente di cui parla e racconta nel suo blog The Blooker.
      Avrete già capito di chi parlo: dell’eclettica Giulia, effervescente come un flute di champagne, divoratrice di libri e giramondo, blogger e scrittrice, creatrice (insieme a Elena, grafica e ballerina di swing, Francesco, fotografo e “omino delle consegne”,e Alessio, digital strategist) dell’ormai mitica Bookstee.
      Ecco un po’ di cose che Giulia mi ha raccontato.

      Auckland and other stories
      Giulia vive da circa un anno ad Auckland, insieme ad Alessio, al suo ukulele, a un pugno di libri (e un e-book reader). Ha un lavoro bellissimo, interamente adatto al suo personaggio: lavora in una bellissima libreria di edizioni rare e libri di seconda mano, con tanto di polvere, clienti eccentrici pieni di storie, fantasmi..e edizioni straordinariamente, strepitosamente belle. Potete leggere delle avventure di Giulia come libraia sul blog Zelda was a writer, dove Giulia cura la sezione “The Bookstore Chronicles“. Giulia dice del suo lavoro “Lavorare in una libreria è terribilmente faticoso e solo ora mi rendo conto che è un mestiere per pochi. E io sono una di quelli. Respiro il profumo dei libri vissuti e segretamente mi commuovo di nuovo perché sono esattamente dove ho sempre desiderato di essere”.
      Prima di sbarcare in Nuova Zelanda, Giulia, originaria di San Donà del Piave, ha vissuto a Parigi, Barcellona e Berlino, mossa dalla curiosità di scoprire ed esplorare, dal desiderio di avvicinarsi all’altro, dalla sua sete di avventura. Le piacerebbe che le prossime peregrinazioni la portassero dalle parti degli Stati Uniti.
      I suoi viaggi sono intrinsecamente legati alla sua scrittura: ha iniziato il suo secondo romanzo (che ha finito recentemente di scrivere) nel 2009 a Parigi, dove ne ha “incontrato” la protagonista: una ragazza che si sveglia sperduta, spaventata e senza memoria in un albergo nei pressi di Place des Vosges e….(e ci fermiamo qui: spoiler alert!). A Barcellona Giulia ha fatto tante altre scoperte, ma ha perso l’ispirazione per la sua storia, che ha fortunatamente ritrovato nel 2011 a Berlino, dove ha lavorato come giornalista free-lance, e ad Auckland, dove si è prefissa l’obiettivo di scrivere almeno un pagina al giorno ed è riuscita così a portare a termine la sua seconda impresa letteraria (brava, Giulia!)
      Nel suo primo romanzo, Non vedo l’ora che venga domenica, Giulia si improvvisa giornalista d’assalto e indaga su uno scomodo fatto di cronaca nera, avvenuto proprio nella sua San Donà del Piave: la tragica storia di Mario Rorato (San Donà di Piave 1961-1970), bambino sandonatese avvicinato e circuito, durante una domenica all’oratorio Don Bosco da Antonio Pastres, un giovane di Marghera, che lo porta sulla golena del Piave (oggi parco fluviale) e gli toglie la vita.
      Il pdf del romanzo di Giulia è disponibile qui.

      Bookstee mon amour
      Saranno ben pochi coloro che non hanno mai sentito parlare dell’ormai mitica Bookstee, la maglietta che permette di tenere letteralmente vicino al cuore libri preferiti, indossandoli con orgoglio, dichiarando al mondo intero il vostro amore per la lettura, la letteratura, i vostri autori preferiti.
      Tutto nasce quando Giulia vive a Berlino e Elena, la mente grafica della faccenda, a Stoccolma. Giulia invia all’amica il suo “scaffale d’oro”, i suoi libri del cuore, e Elena li riproduce su una maglietta, che regala a Giulia per il suo compleanno. Siamo nel 2013 e la Bookstee è nata, anche se i nostri quattro eroi (Giulia, Alessio, Elena e Francesco) si rendono conto ben presto delle difficoltà legate alla realizzazione, alla produzione, alla distribuzione, al copyright.
      La distribuzione è ora centralizzata in Italia, dove Francesco spedisce in giro scaffali d’oro su cotone a lettori ansiosi. Il team Bookstee sta sviluppando nuove, bellissime magliette a tema (Beat Bookstee, Coast to coast bookstee, Horror bookstee, classici italiani, poeti maledetti, letteratura francese, Hipster Bookstee, futuristi italiani, Dalla Russia con amore, Dandy Tee, Born in the USA, Fantascienza, Distopie).
      Confidenza dell’ultimo minuto: pare che, nonostante le lunghe liste d’attesa, il momento migliore per ordinare la Bookstee sia a fine settembre, ergo…affrettatevi, lettori!

      foto credits Francesco Margaroli, del team Bookstee
      Giulia con la sua Bookstee

      Libri passati, presenti e futuri
      L’ultimo libro che Giulia ha letto è stato La Romana di Alberto Moravia, che ha risvegliato in lei la nostalgia del vecchio continente, dell’Italia che alla fine tutti noi expat tanto amiamo, delle sere d’estate di biciclette e gelati.
      Sul suo scaffale d’oro troneggiano:
      – Il piacere, Gabriele D’Annunzio
      – Cent’anni di solitudine, Gabriel Garcìa Márquez
      – Il nome della rosa, Umberto Eco (la leggenda racconta che la nostra eroina, viaggiando in treno da San Donà a Padova, fosse talmente assorta nella lettura della scena dell’assassino nascosto nella biblioteca – labirinto da essersi spaventata quando uno sconosciuto ha avuto l’ardire di toccarla sulla spalla per chiederle di spostare lo zaino…)
      – Il gattopardo, Tomasi di Lampedusa (felicemente riscoperto e rivalutato)
      – Il diavolo in corpo, Raymond Radiguet
      – Il giardino dei Finzi Contini, Giorgio Bassani
      – Norwegian Wood, Murakami
      – Il giovane Holden, J.D. Salinger
      – La coscienza di Zeno, Italo Svevo
      – Molto forte, incredibilmente vicino, Jonathan Safran Foer

      Ai libri dello scaffale d’oro della sua Bookstee, Giulia aggiungerebbe:
      – Il bar delle grandi speranze, J. R. Moehringer
      – A sangue freddo, Truman Capote
      – Festa mobile, Ernest Hemingway

      Poesia e dintorni
      La poesia preferita di Giulia resta X agosto di Pascoli, con tutti gli echi d’infanzia perduta che non mancano di commuoverla puntualmente, insieme a Verrà la morte e avrà i tuoi occhi del grande Pavese. Ama molto ee Cummings

      Nel blogroll di Giulia…
      – …l’immancabile Camilla di Zelda was a writer, per la quale Giulia cura anche una rubrica, The Bookstore Chronicles;
      – il blog di Paolo Cognetti, Capitano mio capitano;
      – il blog della Paris Review, appuntamento fisso per ogni lit-nerd (ne ho parlato anche qui);
      – Brain Pickings, bibbia di curiosità letterarie e scientifiche (qui altre informazioni in merito);
      – The Italian Game, a cura di Ivan Carozzi;
      – All the Saints you should know, che alimenta la parte un po’ gotica di Giulia e la sua passione per i cimiteri.

      Se Giulia fosse un personaggio..
      ..sarebbe Andrea Sperelli, il giovane dandy decadente de Il Piacere, con la sua ricerca del bello in ogni cosa e la sua fatica nell’amare, per davvero. So truly decadent.

      Il mio scaffale d’oro è ancora in fase di costruzione (è così difficile scegliere….), ma spero le vacanze mi siano di consiglio….quali sono i vostri scaffali d’oro? E cosa aspettate a farli diventare una Bookstee?
      Potete ordinarla qui.

      Grazie a Giulia per la lunga chiacchierata, e a presto!

      Bookstee inglese su Etsy

      Posted in Guestpost e interviste | 4 Comments | Tagged Bookworms, Guestpost, Si legge e si racconta di libri, un'ora con
    • Continua il viaggio: un’iniziativa di Tiziana Bergantin

      Posted at 11:50 am11 by ophelinhap, on November 26, 2012

      Un breve post per farvi conoscere un’iniziativa che ho trovato davvero creativa e divertente, ideata da Tiziana Bergantin, blogger a Il sogno nel bagaglio.

      Avete mai giocato, magari quando durante un temporale mancava la luce e ci si riuniva tutti intorno al caminetto alla luce delle candele, ad inventare una storia e farla continuare, un pezzo alla volta, agli altri? Lasciando la narrazione sempre in sospeso, interrompendola in un punto focale,  con una parola chiave. Ne venivano fuori storie grottesche, un guazzabuglio di eventi di cui era difficile seguire il filo logico, e questo rendeva il tutto ancora più divertente.

      E’ così che Tiziana ha pensato questo piccolo esperimento di scrittura collettiva, che ha come tema il viaggio e vede come protagonisti Monica, Luca e Marco.

      Oggi è il mio turno e tocca a me continuare la storia…la trovate sul blog di Tiziana

      http://www.ilsognonelbagaglio.it/2012/11/continua-il-viaggio-ophelinha.html?showComment=1353890682400#c2582388484851271426

      Aspetto con ansia di leggere le prossime vicissitudini della sfortunata Monica e..se ne avete voglia, contattate Tiziana, e continuate il viaggio anche voi!

      Posted in Ophelinha scrive | 5 Comments | Tagged Guestpost, Racconti
    • Giocando con la poesia: Sogno in seppia

      Posted at 11:50 am10 by ophelinhap, on October 14, 2012

      Cose belle. Che succedono anche in queste notti bianche, vuote e infinite.
      Succede che in una di queste notti scrivo una poesia, Sogno in Seppia.

      Le lunghe nottate insonni
      stese davanti a me come lenzuola inamidate
      fredde e distanti come un risveglio solitario
      a cercare i tuoi occhi da gatto
      nel fondo del bicchiere di vino ambrato.
      Il rincorrersi senza mai raggiungersi
      il cercarsi senza mai trovarsi
      la consapevolezza della tua assenza
      lontana come il tuo riflesso colpevole nello specchio
      mentre chiudevo la porta guardandoti con la coda dell’occhio.
      Di tutto questo
      non resta altro che un calice vuoto
      un libro in brossura
      l’eco ovattata della tua voce
      e il ritratto in seppia di una notte mai vissuta.
      Di tutto questo
      forse ho solo sognato.
      Forse non sono stata.
      Forse non sei stato.

       

      La stanza di Emily Dickinson (Amherst, MA)

       

      Succede che conosco un’anima bella, come fortunatamente mi accade ultimamente, con la quale condivido l’amore per la poesia e la passione sfegatata per Anna Karenina: la bravissima poetessa Titta Schiraldi.
      Succede che decidiamo di giocare con le parole e i versi, i sentimenti e le emozioni e di scrivere una poesia a quattro mani. E da quei versi, scritti di getto in una notte insonne come questa, è nata un’altra poesia.

      Le lunghe notti insonni
      stese davanti a me come lenzuola inamidate
      fredde e distanti
      come un risveglio solitario
      a cercare i tuoi occhi cangianti
      nel fondo del bicchiere di vino ambrato.

      Il rincorrersi senza mai raggiungersi
      il cercarsi senza mai trovarsi.

      Di tutto questo
      non resta altro che un calice vuoto
      un libro in brossura
      l’eco ovattata della tua voce
      e il ritratto in seppia di una notte mai vissuta.

      Avrei voluto raccogliere il libro
      sul quale stai lavorando,
      fino a tarda notte, é caduto a terra.

      E toglierti gli occhiali, pianissimo
      sei stanco,
      ti sei addormentato così,
      senza difese.

      Solo parole, conosco solo parole di te.
      Mi resta
      la consapevolezza della tua mancanza
      e mentre chiudo la porta
      sul tuo riflesso colpevole nello specchio
      siamo già come oggetti desueti
      lontani
      inservibili.

      Di tutto questo
      forse ho solo sognato.
      Forse non sono stata.
      Forse non sei stato.

      Ma se deve essere assenza
      che sia almeno la nostra.

      (@OphelinhaP & Titta Schiraldi) 

       

      Cose belle, che succedono in notti bianche come questa. Che ti fanno sentire infinitamente meno sola.
      Che ti fanno capire che sei circondata di poesia, e che se ti impegni riesci a trovarla anche dove meno te l’aspetti.
      Che catturano e cristallizzano per un attimo istanti di pura bellezza. I sempre nei mai, come li chiamerebbe la Burbery ne L’Eleganza del Riccio.

      Posted in Frammenti di poesia, Frammenti di un discorso amoroso, Ophelinha scrive | 11 Comments | Tagged Anna Karenina, Guestpost, In the mood for love, Le notti bianche, Nininho, Poetry
    • Guest post: Spazio piano, Martin Esposito

      Posted at 11:50 pm09 by ophelinhap, on September 10, 2012

      La vita disegna geometrie strane, agli angoli piu’ nascosti delle quali, se si e’ fortunati, si riescono a incontrare belle persone. Che magari vedi una volta sola ma continui a sentire tutta la vita. Che magari riesci a rivedere a intervalli di lustri, tra scali e fusi orari, e la conversazione riprende come se non fosse stata mai interrotta. Forse non si tratta di “amicizia” nel senso letterale del termine, ma sicuramente di celesti corrispondenze, di sinergie tra “anime belle”.

      Oggi il mio spazio virtuale ospita una di queste persone, frutto di incontri fortuiti, tra l’altro nello scenario del mio luogo dell’anima, Londra: Martin Esposito, bilingue, interprete e traduttore, poeta, blogger a heartbeat in the city (http://bigcitymartin.blogspot.be/).

      L’ordine degli attributi non e’ casuale: bilingue, perche’ credo la breve storia qui riportata illustri la sua condizione di individuo “diviso” tra Nord e Sud, tra Albione e la terra del sole. Una divisione che in realta’, piu’ che confondere il senso di individualita’ e di appartenenza, lo arricchisce.
      Interprete e traduttore, perche’ l’ho conosciuto in questa capacita’, in tempi piu’ leggeri quando anch’io speravo di inseguire il mio amore per le lingue e le parole.
      Poeta, una veste in cui l’ho conosciuto solo recentemente. Sul suo blog e’ a disposizione la sua raccolta Twelve Haiku. Per darvi un assaggio, vi riporto di seguito i miei preferiti…

      Desireless (a lover’s haiku)

      caught in the last light

      I can just make out her steps

      through late winter snow

      Sunset (a haiku for letting go)

      once more she has been

      temporarily in love

      with afternoon skies

      

      Vi lascio ora alla lettura di questo breve racconto, un frammento di memoria, un briciolo di un’infanzia a fare da ponte tra due culture,

                Spazio piano

      Nei paesi del nord Europa, fin dalla mia infanzia ogni coperto a pranzo e a cena (e anche al mattino) veniva contrassegnato da una piccola tovaglietta rettangolare, all’americana, di plastica o sughero. Veloce e sempre pronta all’uso, segnava il posto, rallegrava la tavola con i suoi disegni e colori, in genrere arabeschi con alberi o uccelli. Si puliva efficacemente con un panno umido. Vi si consumavano veloci merende, colazioni certamente non latine, pasti fatti di pietanze già sporzionate, biscottini, pane tostato. Accanto si poggiava il sottobicchiere, rigorosamente coordinato. Geometrico, logico, ergonomico.


      Negli stessi anni, le tavole del Mediterraneo si presentavano ai commensali velate di grandi tovaglie in tessuto, povere. La tradizione le vuole a quadretti. Esse univano le grandi famiglie lasciando spazio al centro per il piatto da portata e soprattutto per il pane. Utilizzandola all’aperto sul terrazzo della casa al mare o alla vigna volava via, si sporcava, veniva tirata dai gomiti meno leggeri e dai bambini. Inevitabilmente si macchiava di vino. Alla fine del pranzo la si scrollava sommariamente, col pretesto della pulizia, ma con la consapevolezza che fosse bandiera, il segnalare a chi ci circonda per via che anche oggi si è mangiato, e col cuore rapito dall’imprescindibile superstizione la quale prescrive che non manchi omaggio e nutrimento anche all’amica terra. Che aveva accolto nel suo abbraccio le poche ore di riposo dalla fatica della nostra esistenza.


      E la nostra esistenza, nonostante i tempi, non è mai cosa soltanto pratica.

      Posted in Guestpost e interviste | 4 Comments | Tagged Guestpost, Poetry, Racconti
    • Guest post: le segretarie di Giulietta Capuleti

      Posted at 11:50 am03 by ophelinhap, on March 28, 2012
      Olivia Hussey in Romeo e Giulietta di Franco Zeffirelli

       

       

      But who are you that advancing in the darkness of the night you stumble upon my most secret thoughts?
                            (William Shakespeare, Romeo and Juliet)

       

      Claire Danes in Romeo+Juliet di Baz Luhrmann

      Love is the only inspiration 
                                       
                                     (Shakespeare in Love)

       

      Gwyneth Paltrow e Joseph Fiennes in Shakespeare in Love

      Vorremmo l’amore fosse una cosa semplice; ma non lo è, e il più delle volte dobbiamo affrontare questa realtà. As simple as that. Come se fosse facile.
      Nella mia visione masochista-romantica-bovaristica-contorta, non solo l’amore è l’unica fonte di ispirazione: l’amore infelice lo è ancora di più. Perchè un amore infelice – perchè non corrisposto, perchè contrastato, perché reso difficile dalle distanze, dai tempi, dalle tempistiche, dalle aspettative diverse – fa rifugiare nella scrittura. Le parole fanno innamorare, le parole fanno ammalare, le parole fanno guarire: non mi stancherò mai di sostenerlo. Le parole sono causa e rimedio dello stesso male.

      Scrivendo questo post, mi è capitato di ripensare alla parole di Lionel Trilling sulla Lolita di Kubrik. Trilling, critico letterario statunitense tra i piu influenti, definì il romanzo di Nabokov la prima grande storia d’amore del XX secolo, per quel senso di estraniazione che i protagonisti di tutte le grandi storie d’amore vivono, al pari di Romeo e Giulietta, Anna Karerina, Madame Bovary, per quell’elemento di illecito o quello che è considerato illecito al tempo in cui la vicenda è ambientata.
      In generale, secondo Nabokov, all the great love stories have been scandalous, perché sono andate a sconvolgere un ordine sociale prestabilito.

      E chi sono i due giovani, giovanissimi amanti per antonomasia, che si sono opposti ad un’inutile, vuota faida familiare, che hanno vissuto il loro acerbo amore fino alle estreme conseguenze, fino alla morte, o, come preferisco pensare, fino all’eternità? Ma ovviamente Romeo Montecchi e Giulietta Capuleti, ormai nell’immaginario collettivo rappresentazione dell’amore infelice per eccellenza.

      Se tutti conoscono la tormentata vicenda dei due giovani amanti veronesi, non tutti sanno che è possibile scrivere a Giulietta (a meno che non abbiate visto il  film Letters to Juliet…)
      Per raccontarle cose che non osiamo confessare nemmeno a noi stessi. Per chiederle consiglio. Per cercare di mettere i nostri pensieri nero su bianco, nel tentativo di riordinarli, di fare chiarezza, di sentirci più leggeri. Perché scrivere è catartico, sempre.

       

      Amanda Seyfried in Letters to Juliet

      A rispondere provvedono le solerti segretarie di Giulietta, alle quali abbiamo accennato qualche post fa. Per sapere tutto, ma proprio tutto sull’attività di queste donne meravigliose – sono tutte volontarie – vi rimando all’apposito sito).

      Lascio ora la parola a Giulietta stessa:

      Logo del Club di Giulietta

       

      Sono una delle “segretarie” che prestano la penna a Giulietta, immortale eroina veronese e simbolo di amore eterno. Il Club di Giulietta opera da molti anni per accogliere appunto la corrispondenza che arriva a Verona da ogni angolo del pianeta.

      Siamo un gruppo di donne volontarie, di varie età ed esperienze. Ogni lettera viene letta, tradotta e a tutte diamo una risposta personale in tutte le lingue, secondo le nostre conoscenze. Io sono la più “antica” fra di noi e dalle mie mani sono passate migliaia di lettere e mail … Mi occupo delle missive in lingua italiana e francese e dei casi più “difficili”. Chi scrive oggi a Giulietta? Persone di ogni provenienza, sesso, età e cultura. Ogni lettera è un piccolo spaccato di vita, una finestra sull’immaginario, un flash sulle emozioni, un ponte che annulla distanze geografiche e culturali.

      Si scrive quando il livello di razionalità si abbassa, spesso di notte, quando forte è il potere del sogno, del desiderio, del dolore o della solitudine. Perché Giulietta non giudica, non ha pregiudizi, come potrebbe essere altrimenti? Sono guest star per un po’ in questo blog e avrò il piacere di ascoltarvi e di rispondervi. Non vi rivelo il mio vero nome, immaginatemi come desiderate e chiamatemi semplicemente Giulietta…

      Dopo aver parlato con lei, non riuscivo a togliermi dalla testa come ci si dovesse sentire, leggendo tutte quelle lettere, tutte quelle storie, alcune sicuramente di amori felici (Wislawa docet), ma tante altrettanto sicuramente devastanti. E mi è venuto in mente quello che Ralph dice a Isabel in Ritratto di Signora, prima di morire:

      Il dolore è profondo, ma poi passa, alla fine… sta passando ora. L’amore resta… io credo che non sia giusto che un errore generoso come il tuo debba costarti tanta sofferenza… E ricordati questo: che se sei stata odiata, sei stata anche amata…
      (Ritratto di Signora, Henry James)

      Soundtrack:

      Romeo and Juliet (Dire Straits)

      Romeo+Juliet – Talk show host (Radiohead)

      Il Club di Giulietta (quale sarà la nostra?)
      Posted in Guestpost e interviste | 10 Comments | Tagged Guestpost, Lettere d'amore, Literature and Beyond, Movies, segretarie di Giulietta
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