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  • Tag: Faber & Faber

    • Il Calendario dell’Avvento letterario #1: Natale con Bridget Jones

      Posted at 11:50 am12 by ophelinhap, on December 1, 2018

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      Questa casella è scritta e aperta da me medesima

      Calendario dell’Avvento letterario: posologia e istruzioni per l’uso

      Il Calendario dell’Avvento Letterario è un progetto nato nel 2015, volto a rivisitare l’attesa dell’Avvento in chiave alternativa e imprevedibile. Il Natale è un periodo di condivisione, e io e gli altri blogger partecipanti vogliamo donare a tutti voi spunti, curiosità, aneddoti natalizi raccontati dai nostri scrittori del cuore o vissuti dai nostri personaggi letterari preferiti. Ogni giorno, uno di noi vi farà compagnia aprendo una casella del Calendario: in cambio, vi chiediamo di regalarci qualche momento del vostro tempo, fermarvi a leggere e a lasciare un commento e visitare i siti dei blogger partecipanti, tutti incredibilmente preparati e talentuosi.

      Effetti collaterali

      Attenzione: il Calendario dell’Avvento letterario può avere effetti collaterali, nella fattispecie: una strana tendenza all’allegria e alla leggerezza; un’irresistibile spinta a canticchiare canzoni di Natale; un precipitoso e rovinoso aumento delle vostre wishlist natalizie di libri; una spasmodica necessità di consultare Google maps per cercare il mercatino di Natale più vicino; una pericolosa tendenza ad alimentarsi esclusivamente di pandoro, mince pies ed eggnog; infine, un’irrefrenabile voglia di indossare esclusivamente maglioni di Natale e vestitini da elfo.

      Poi non dite che non vi ho messo in guardia. Pronti?

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      At Christmas little children sing and merry bells jingle,

      The cold winter air makes our hands and faces tingle

      And happy families go to church and cheerily they mingle

      And the whole business is unbelievably dreadful, if you’re single.

      (Wendy Cope, da Serious Concerns, Faber&Faber)

      Ah, la magia del Natale. Le decorazioni, le luci, l’atmosfera, i maglioni con le renne, i mercatini, il vin brûlé, l’incanto nell’aria, eccetera eccetera. Cosa succede invece se sei una single che ha superato i trenta, con un lavoro poco soddisfacente e qualche chilo di troppo, perennemente vessata dalla genitrice, dalla società e dall’orologio biologico?

      E l’intera faccenda, se sei single

      È dura veramente.

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      La protagonista della casella di oggi è la single più famosa del mondo, così buffa, goffa e spontanea da offrire una boccata d’aria fresca in una società in cui siamo circondati sempre più da modelli di perfezione – reale o artefatta che sia. Quindi, per questo Natale, dimenticatevi i profili Instagram di influencer bellissime, dagli outfit all’ultima moda abbinati a quelli dell’immacolata progenie, al design della casa – possibilmente scandinavo –  e all’ultimo food trend a disposizione: infilate il maglione natalizio più osceno che avete a disposizione – se si illumina ancora meglio, accendete Love Boat e aprite una buona bottiglia di vino mentre cantata a squarciagola All by myself. Pronti?

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      Il diario di Bridget Jones inizia a capodanno, con i buoni propositi del caso: fumare meno, bere meno, mangiare meglio, andare in palestra, leggere di più, evitare di procrastinare. Soprattutto, evitare di innamorarsi di uomini disfunzionali, intolleranti alle relazioni, bugiardi, inaffidabili, inattendibili. I Mr Wickam della situazione, insomma. D’altro canto, l’intero diario può essere considerato un omaggio a Orgoglio e pregiudizio: c’è la signora Bennet, interpretata da Pam Jones, la petulante, sguaiata, inopportuna, ipercritica madre di Bridget; c’è il perfido Wickam, impersonato da Daniel Cleaver, affascinante playboy che, guarda caso, è anche il capo di Bridget; e poi c’è ovviamente Lui, Mark Darcy, serio e impettito avvocato difensore dei diritti umani.

      Mark Darcy vota Tory, vive in un’enorme casa a Holland Park, ha frequentato una boarding school e l’università di Cambridge e ha la puzza sotto al naso; Bridget vota Labour, sogna di lavorare in televisione e ha paura di finire sola e divorata da un pastore alsaziano. I due hanno in comune la provenienza dal paesino di Grafton Underwood, dove si re-incontrano in occasione di un buffet natalizio a base di tacchino al curry. Bridget accusa i postumi di una sbronza, Mark ha un orrendo maglione natalizio regalatogli da un’amica della madre: le reciproche prime impressioni non lasciano presagire niente di buono, proprio come nel caso del primo incontro tra Ms Darcy ed Elizabeth Bennet.

      1. Don’t see him. Don’t phone or write a letter.
      2. The easy way: get to know him better.

      (Wendy Cope, Two Cures for Love)

       

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      Perché Bridget Jones e Wendy Cope insieme? Perché la Cope è considerate la paladina delle donne single. Perché è stata una delle prime poetesse a dar voce alla solitudine, al senso di isolamento rispetto ai colleghi uomini, all’alienazione che può derivare dal vivere sola in un appartamento londinese, lavorando da casa e non avendo nessuno a cui ricorrere quando la lavatrice si rompe e l’appartamento è sommerso d’acqua. Perché Londra a Natale può diventare un percorso ad ostacoli, un non-luogo ostile pieno di famiglie felici che vanno a pattinare al Natural History Museum e che sono in fondo la raison d’etre dell’intero apparato natalizio;

      E l’intera faccenda, se sei single

      È dura veramente.

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      Come Bridget, anche Wendy, prima di conoscere a 41 anni il suo futuro marito, ha collezionato una sfilza di appuntamenti insoddisfacenti e amori deludenti, che l’hanno portata ad assumere una posizione disincantata nei confronti delle relazioni, senza perdere però ironia e sarcasmo, come nei versi riportati di seguito, in cui la poetessa paragona gli uomini a quei maledetti bus sempre in ritardo che poi arrivano tutti insieme quando meno te l’aspetti:

      Bloody men are like bloody buses —
      You wait for about a year
      And as soon as one approaches your stop
      Two or three others appear.

      A differenza di Bridget, la Cope non sogna fiori d’arancio e vestiti bianchi; la poetessa, un’icona del femminismo, nutre seri dubbi nei confronti dell’istituzione matrimoniale e, quando incontra il suo Mr Darcy (il poeta Lachlan Mackinnon) non vorrebbe convolare a nozze. I due di sposano solo dopo vent’anni di convivenza, quando il parlamento inglese non porta avanti la proposta di legge sulle coppie di fatto. Sul femminismo, la Cope dichiara:

      I would call myself a feminist, and I think things have improved, but there are still things that depress me. High heels, for example. The fact that, after all we’ve been through, women are still persuaded to wear those ridiculous shoes just appalls me. The idea of young women being against feminists because they think they’re ugly old women also makes me very cross. They’ve benefited from feminists.

       (Mi definirei una femminista, e penso che la situazione sia migliorata, ma ci sono ancora cose che mi deprimono. I tacchi, per esempio. L’idea che, dopo tutto quello che hanno passato, le donne si lascino ancora persuadere a portare quelle scarpe ridicole mi sconvolge. Anche il fatto che ci siano ragazze che criticano le femministe perché pensano che siano solo delle brutte vecchiacce mi fa arrabbiare. Hanno beneficiato delle femministe).

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      Ma è una casella dell’Avvento letterario, non dovremmo parlare di tacchino arrosto e panettoni invece che disquisire sul femminismo? Giuro che, almeno nella mia testa, è tutto collegato, ma per farvi capire devo passare attraverso un libro che va anche a finire dritto dritto nelle vostre letterine a Babbo Natale e nelle liste regali: si tratta di una raccolta di articoli sul femminismo, intitolata Feminists do not wear pink (and other lies). La raccolta, curata da Scarlett Curtis, affronta quello che è da una parte un luogo comune, dall’altra un apparente ossimoro, come traspare anche dalle parole della Cope: se mi metto i tacchi e i vestitini alla moda, se il mio colore preferito è il rosa e rifuggo dalle magliette con gli slogan, posso comunque citare la Solnit e definirmi una femminista?

      La risposta delle giornaliste, scrittrici e attrici che contribuiscono alla raccolta è un univoco, roboante SI. E quale personaggio compare nella raccolta, con una serie di pagine di diario inedite? La nostra Bridget Jones, ovviamente.

      Bridget ha due amiche molto strette, Shazzer e Jude. La prima è un’accesa femminista, la seconda un’inguaribile romantica, invischiata in una relazione un po’ morbosa con il Perfido Richard.

      Nel Diario di Bridget Jones, sia Bridget che Jude sono abbastanza a disagio con il femminismo ‘stridente’ di Shazzer: agli uomini non piacciono le femministe agguerrite (e nemmeno quelle pacate…)

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      In Feminists don’t wear pink, Bridget riflette sul perché esitasse a definirsi una femminista, e, alla luce di #MeToo, ripensa agli abbracci un po’ troppo stretti dello ‘zio’ Geoffrey al buffet natalizio a base di tacchino al curry e alle attenzioni ‘speciali’ dei suoi colleghi (e superiori) Daniel Cleaver/ Wickam e Fitzherbert (non a caso soprannominato Fitzpervert).

      La Bridget degli anni ’90 ha un lavoro, un appartamento e un gruppo stretto, forse anche troppo co-dipendente, di amici: forse allora, anche se il buffet natalizio a base di tacchino al curry non avesse fatto scattare una serie di eventi che avrebbero portato Bridget e Darcy prima ad odiarsi, poi ad amarsi, tra i problemi con la giustizia di Pam Jones e le bugie di Danier Cleaver/Wickam, quella di Bridget non sarebbe stata poi una brutta storia. Se Darcy non avesse superato il suo orgoglio e Bridget i suoi pregiudizi, e non fossero finiti a festeggiare il Natale successivo insieme, ci sarebbe stato comunque un lieto fine.

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      Forse il Natale non appartiene solo alle famiglie felici, anzi: appartiene alle famiglie monoparentali, alle ragazze madri, agli anziani soli (ricordate Man on the moon, la bellissima pubblicità di Natale di John Lewis del 2015? Vi sfido a guardarla senza piangere), a quelle donne che avrebbero tanto volute essere madri ma non lo sono, ai rifugiati, ai senzatetto, agli orfani, a chi ha perso una persona cara, ai single di tutto il mondo.

      Facciamo tutti il tifo per Bridget e Mark Darcy, come lo abbiamo fatto per secoli per Elizabeth e Mr Darcy, ed è una cosa bellissima, perché il Natale è il momento perfetto per la felicità e l’amore: ma si può essere felici in tanti modi diversi e ci sono infinite forme di amore. Wendy Cope e la nuova Bridget ci insegnano che il Natale può sorprenderci con un lieto fine inaspettato. E, dopo aver aperto questa casella, mi auguro che tutti sentiate la voglia e il desiderio di tirar fuori la Bridget che vive in tutti voi, mettere a tacere l’ansia di perfezione, amarvi per quello che siete, alzare la cornetta e chiamare qualcuno per cui questo Natale sarà più difficile del vostro. Perché, finché ci stringiamo tutti insieme intorno al tacchino freddo al curry di Pam Jones, nessuno è solo.

      Che sia un Natale a misura di tutti, che sia un Natale per tutti. Quello che vi auguro di trovare sotto l’albero è la versione migliore di voi stessi.

      Tuttavia, dato che la protagonista di questa casella è Bridget, che è una material girl, come canta la sua adorata Madonna, vi lascio con qualche spunto e ispirazione per i vostri regali sotto l’albero, per un Natale da vera Bridget Jones:

      • Un’alternativa al classico maglione di Natale, per ricordarci che ci sono le ferie e possiamo recuperare un po’ di libri che hanno preso polvere sul comodino

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      • Il vestito perfetto per partecipare al buffet a base di tacchino al curry di Pam Jones e incontrare il vostro Mr Darcy

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      • Il diario di Bridget Jones, ovviamente

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      • Le poesie di Wendy Cope
      • Feminists don’t wear pink and other lies, ovviamente

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      Sountrack: Rudolph the red nose reindeer, la storia di una renna ‘diversa’ che diventa protagonista del Natale, per ricordarci che questa deve’essere anche una festa di inclusione, un falò del bullismo e dei pregiudizi. Una festa del cuore e dell’anima, insomma, durante la quale, per una volta, proviamo sul serio a pensare anche agli altri.

       

      Hohoho, Merry Christmas!

      Posted in Il Calendario dell'Avvento Letterario | 3 Comments | Tagged #AvventoLetterario, Bridget Jones, Elizabeth Bennet, Faber & Faber, helen fielding, Il Calendario dell'Avvento Letterario, Jane Austen, Mr Darcy, orgoglio e pregiudizio, Wendy Cope, Wickam
    • Tutti i piccoli, piccolissimi dispiaceri di Miriam Toews

      Posted at 11:50 am01 by ophelinhap, on January 26, 2016
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      Nature morte, Sophia Koegl e Robert Dziabel

      La depressione è il male del nostro tempo, eppure mi sconvolge (e mi rattrista) l’atteggiamento della maggior parte dei non depressi, di coloro che, fortunatamente, non hanno mai esperito the mean reds, per dirla con Holly Golightly e Truman Capote:

      “You know the days when you get the mean reds?
      (Paul Varjak) The mean reds. You mean like the blues?
      (Holly Golightly) No. The blues are because you’re getting fat, and maybe it’s been raining too long. You’re just sad, that’s all. The mean reds are horrible. Suddenly you’re afraid, and you don’t know what you’re afraid of.
      Do you ever get that feeling?”

      (Breakfast at Tiffany’s, Truman Capote)

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      Secondo alcuni dei non depressi (che chiameremo negazionisti) la depressione non esiste. È la tendenza che caratterizza un manipolo di pessimisti proni a vedere il bicchiere sempre vuoto e alla disperata ricerca di attenzioni, che cercano di strascinare nel vortice della loro (incomprensibile) tristezza coloro che li circondano.

      I non negazionisti sono gli allarmisti, che considerano la depressione una pericolosa malattia mentale: chi ne soffre non può avere tutte le rotelle a posto.

      L’anno scorso la Pixar ha prodotto Inside out, un’intelligente riflessione sull’impossibilità di essere sempre felici (che poi, cos’è davvero la felicità?) nell’epoca delle timeline di Facebook, di Twitter, di Instagram, della vita Pinterest, dove la felicità perenne sembra quasi un obbligo, dove – in una sorta di contorto social-darwinismo – non c’è posto per i momenti di scoramento, per le perdite, per le mancanze, per i cuori spezzati, per i momenti bui: sei sei down, sei out.

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      Inside out insegna a non vivere i momenti di infelicità come una debolezza, a non vergognarsi della malinconia, a imparare a convivere con la tristezza.

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      Questa lunga riflessione si inserisce tra le dinamiche familiari dei protagonisti di All My Puny Sorrows di Miriam Toews (il cui cognome si pronuncia Taves, che fa rima con saves). La Toews mi era stata consigliata e aspettavo il momento giusto per iniziare a leggerla. Questo momento è arrivato inaspettatamente a New York in un tardo pomeriggio di pioggia torrenziale: mi sono rifugiata in una libreria dalle parti di Little Italy, ho afferrato una copia di All My Puny Sorrows (in italiano I miei piccoli dispiaceri, pubblicato da Marcos y Marcos nella traduzione di M. Balmelli, con una copertina ancora più adorabile di quella dell’edizione che ho sfogliato a NYC) e ho letto le prime quaranta pagine tutte d’un fiato, per poi finire il libro sul Greyhound da New York a Philadelphia.

      Il titolo del romanzo è tratto da una poesia di Coleridge, To A Friend, With An Unfinished Poem:

      “I, too, a sister had, an only sister —
      She loved me dearly, and I doted on her;
      To her I pour’d forth all my puny sorrows.”

      Come nei versi di Coleridge, Yoli ha una sorella, Elf, talentuosa, fragile, complicata e bellissima. Le due sono legate da un legame tanto forte quanto problematico e tormentato: sono entrambe reduci, sopravvissute a una severa, intransigente educazione mennonita, vissuta all’interno di una comunità che si arroga il diritto di controllare, criticare, condannare le famiglie che ne fanno parte. Elf è la prima a ribellarsi, iniziando a suonare il pianoforte nonostante la cosa non venga vista di buon occhio dagli anziani. Giovanissima, vince una borsa di studio per la Norvegia e riesce a scappare, a viaggiare, a diventare una pianista di fama mondiale, adorata dal compagno, Nic. Al confronto, la vita di Yoli sembra molto più incasinata: due figli da due matrimoni diversi, entrambi finiti, una serie di storie che la lasciano più vuota e sola che mai.

      Tuttavia, c’è una differenza sostanziale tra le due sorelle; Elf non vuole vivere. Elf vuole morire, come suo padre, uscito un giorno di casa per andare a buttarsi sotto un treno. Tra un tentativo di suicidio e l’altro – ciascuno più disperato e distruttivo – Elf chiede a Yoli di aiutarla: vuole andare in Svizzera, vuole optare per l’eutanasia, vuole porre fine a quel dolore insopportabile, a quella totale incapacità di vivere. Vuole smettere di soffrire. Vuole essere salvata dalla persona che più la ama al mondo e le è complementare.

      Come si fa ad aiutare una persona amata a morire? Mi viene in mente il bellissimo, lacerante racconto di Poissant, Come aiutare tuo marito a morire: tuttavia, il marito in questione è gravemente malato di cancro, mentre Yoli spera ancora di riuscire a salvare la sua Elf adorata, portandola via con sé, a Toronto. Cercando di portarla al sicuro, al sicuro dalla vita, salvandola da se stessa.

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      Elf sente troppo: ogni emozione, ogni sentimento viene amplificato e la lascia esausta. Ogni nota va a suonare quel pianoforte di vetro che alberga dentro il suo stomaco, che potrebbe andare in pezzi ogni istante, distruggendola. Elf sente sulla sua pelle, dentro il suo stomaco quel male di vivere che Montale ha eternato nei suoi versi:

      “Spesso il male di vivere ho incontrato

       era il rivo strozzato che gorgoglia

       era l’incartocciarsi della foglia

       riarsa, era il cavallo stramazzato.

       Bene non seppi, fuori del prodigio

       che schiude la divina Indifferenza:

       era la statua nella sonnolenza

       del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.”

      Tutto l’amore del mondo – quello di Yoli, quello incondizionato di Nic, quello di sua madre, che è una vera e propria fortezza, quello dei suoi nipoti, quello del suo agente, quello dei suoi ammiratori – nulla può contro il dolore e il desiderio di morte di Elf.

      Ho amato il personaggio di Nic: non ha paura della malattia di Elf, non prova nemmeno una volta il desiderio di scappare, è sempre pronto a raccogliere i pezzi e a ricominciare, grato di ogni nuovo giorno accanto alla compagna, di cui non stigmatizza né banalizza la sofferenza del corpo e dell’anima. Quando Nic vede Elf, non vede solo la sua depressione, la sua incapacità di continuare a vivere, il suo folle, esacerbato desiderio di morte: vede la luce di Elf, tutta quella luce che gli altri non riescono a vedere. La sua sensibilità di farfalla, la fragilità di chi è oppresso dalla presenza di un pianoforte di vetro nello stomaco, che soffoca le note dell’anima. Come Esther de La campana di vetro, anche Elf è una ragazza di cristallo; e la Towes è coraggiosa quanto la Plath, raccontando sotto forma di finzione la sua storia, la storia della sua famiglia, martoriata dalla depressione.

      Nic, anche nel peggiore dei momenti, anche quando la sua bellissima, complicata ragazza di cristallo gli scivola dalle mani, guarda in faccia la madre di Elf e la ringrazia di averla messa al mondo, insieme a tutti i suoi piccoli, grandi dispiaceri.

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      Miriam Toews, foto di Teri Pengilley per The Guardian

      “I don’t remember what I am. I am what I dream. I am what I hope for. I am what I don’t remember. I am what other people want me to be. I am what my kids want me to be. I am what Mom wants me to be. I am what you want me to be”.

      (All My Puny Sorrows, Faber&Faber, in italiano I miei piccoli dispiaceri, pubblicato da Marcos y Marcos nella traduzione di M. Balmelli)

       

      Soundtrack: Blue, Joni Mitchell

      Posted in Ophelinha legge | 19 Comments | Tagged All my puny sorrows, Blue, Breakfast at Tiffany's, Coleridge, David James Poissant, depressione, Esther Greenwood, Eugenio Montale, Faber & Faber, Holly Golightly, I miei piccoli dispiaceri, Il paradiso degli animali, Inside Out, Joni Mitchell, La campana di vetro, Letteratura canadese, Marcos y Marcos, Miriam Toews, New York, NN editore, non se ne parla mai abbastanza, Ossi di seppia, Robert Dziabel, Sophia Magdalena Koegl, Spesso il male di vivere ho incontrato, Sylvia Plath
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