Impressions chosen from another time

Frammenti di letteratura, poesia, impressioni
Impressions chosen from another time
  • Home
  • English
  • About
  • Cookie Policy
  • Tag: erica casalini

    • Il Calendario dell’Avvento letterario #17: il meraviglioso Natale di una famiglia disfunzionale

      Posted at 11:50 am12 by ophelinhap, on December 17, 2018

      banner

      Questa casella è scritta e aperta da Erica di La leggivendola

      erica4

      Quando si parla di libri e Natale, i primi titoli che vengono in mente sono grandi classici come Piccole donne di Louisa May Alcott, A Christmas Carol di Charles Dickens, o Lo Schiaccianoci e il Re dei Topi di H.T.A. Hoffmann. L’incipit del primo, “Natale non è Natale senza regali”, frase pronunciata da una sconsolata Jo mentre attende insieme alle sorelle il ritorno della madre, è l’inizio di una delle scene biblionatalizie più emblematiche della letteratura.

      Ho sempre amato il Natale, fin da piccola, e a quanto pare l’avvento della maturità non ha scalfito il mio entusiasmo per luci colorate, decorazioni, alberi, regali etc. Cerco ancora per la città le mie luminarie preferite, pregusto il giorno in cui farò l’albero e mi autoinvito alle decorazioni degli amici, – forse esagero? Mi sa che esagero. Ma per me il Natale ha ancora quella magia.

      Che dire, spero che duri.

      Il Natale è vissuto con particolare intensità nella società occidentale, ed è per questo che si tratta di una festività ricorrente nella letteratura, – tralasciamo il cinema, perché ci perdiamo in una produzione immane – soprattutto se parliamo di romanzi incentrati sui rapporti famigliari. Le scene durante le festività natalizie sembrano ogni volta gettare una luce più intensa e precisa sulle relazioni che intercorrono tra gli individui, nel modo in cui il Natale è pensato e festeggiato e in cui ognuno spera che si sviluppi, i regali che si pensano per gli altri e quello che si è pronti a sacrificare per poterli acquistare. Forse è questo, a prescindere dalle radici cristiane o da motivazioni più ludiche, che continua a tenerci legati al 25 dicembre e alle sue tradizioni. Quello che scegliamo di fare in quei giorni, e con chi, dice molto di quello che proviamo.

      erica3

      Qualche mese fa ho letto Elmet di Fiona Mozley (Fazi editore, 2018), un romanzo di cui secondo me non si è parlato abbastanza e che personalmente ho adorato. Protagonista è Daniel, un quindicenne affamato e sperduto che vaga alla ricerca della sorella maggiore, e ci racconta in retrospettiva di come il suo mondo si è sbriciolato. Fino a pochi giorni prima viveva col padre e la sorella Cathy in una casetta nel bosco, isolata dal mondo civile che diamo per scontato, secondo i ritmi di una natura faticosa da trattare. Elmet è un paesino sperduto nello Yorkshire, l’ultimo regno celtico indipendente, in cui vige una concezione di società antica, che vede il controllo dello Stato come un’intromissione indesiderata e la polizia come un antagonista per lo più assente, e comunque molesto. Elmet è un paese che vive di sotterfugi, malavita e sfruttamento. La famiglia di Daniel non fa eccezione; il padre, il gigantesco John, si guadagna da vivere coi combattimenti clandestini, e di che mangiare con la caccia. Cathy è una creatura selvatica, ferale, di cui si riesce a subodorare la pericolosità. Daniel non è come loro, ha un’anima diversa, delicata, priva di quell’istintiva ferocia che contraddistingue la sua famiglia dal resto della società, e che gli fa sembrare il padre e la sorella come esponenti di un’altra razza.

      Tralasciamo la trama, i ricordi della madre scomparsa, i nemici giurati, il finale; tralasciamo ciò che fa del romanzo quel romanzo per un attimo, perché vorrei parlare di una scena in particolare, in cui l’atmosfera natalizia esplode e si fa quasi magica.

      John è stato assente tutto il giorno, e Daniel inizia a preoccuparsi. Ma Papà torna, e chiede ai figli di seguirlo nel bosco. È una notte d’inverno e fa freddo, e non ricevono alcuna spiegazione su dove stiano andando. Ma non ha importanza, Cathy e Daniel del padre si fidano ciecamente, e sanno che con lui saranno al sicuro. Arrivano in una radura che odora di cherosene, e scoprono l’albero di Natale che il padre ha preparato per loro. Un tripudio di lampade accuratamente appese ai rami di un albero enorme, una scena fantastica in un bosco immerso nella neve. Rimangono incantati a fissarlo, persi in quella che non posso non considerare la pura magia del Natale; e anche se ho letto Elmet mesi fa, ben prima dell’inizio delle feste, ricordo chiaramente che per me il periodo natalizio è iniziato quel giorno.

      erica1

      Come scrivevo all’inizio, il Natale è percepito come una festa tipicamente famigliare; le relazioni diventano più evidenti, i legami si rinsaldano anche solo per pochi giorni, o vengono messi alla prova; l’assenza si manifesta in maniera più netta, straziante. Penso all’incipit di Anna Karenina, forse la citazione più celebre di Tolstoj, “Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo”, e mi viene da aggiungere che tutte le famiglie festeggiano il Natale a modo loro, e sono proprio quelle più strane, disfunzionali e imperfette a farci ripensare a come decidiamo di intendere e vivere la nostra.

      Quella di Daniel è un nido nel bosco, separato dal resto del mondo, una situazione anomala e per tanti versi preoccupante, in cui un quindicenne e una diciassettenne non frequentano una scuola pubblica, mancano di amici della loro età, talvolta accompagnano quando deve misurarsi contro uno sconosciuto in un combattimento clandestino. Sono poveri, non hanno granché, e quello che hanno devono sudarselo. È una famiglia che potremmo definire disfunzionale per un sacco di ragioni, e tuttavia basta un albero illuminato di quella luce calda che bagna la neve appena calpestata, ed è Natale non meno che in Piccole donne.

      erica2

       

      Perché certo, la situazione non sarà delle più ottimali, ma l’essenziale diventa all’improvviso più che abbastanza: un nucleo ristretto di persone che si vogliono bene, e un padre che nonostante tutto cerca di dare ai figli ciò di cui pensa abbiano bisogno. Funzionale o disfunzionale, una famiglia è tutta lì.

      Non era quello che mi aspettavo di trovare in Elmet, ma è qualcosa che sono contenta di aver trovato. E spero che in un modo o nell’altro, troviate un modo di festeggiare; che sia per le luci, per l’albero o per la compagnia.

       

      Posted in Il Calendario dell'Avvento Letterario | 2 Comments | Tagged #AvventoLetterario, A Christmas Carol, Elmet, erica casalini, Fazi editore, Fiona Mozley, Il Calendario dell'Avvento Letterario, la leggivendola, Lo Schiaccianoci, Piccole donne, Un Canto di Natale
    • Il Calendario dell’Avvento letterario #9: un Natale di privazioni

      Posted at 11:50 am12 by ophelinhap, on December 9, 2017

      rosso intenso 2

      Questa casella è scritta e aperta da Erica di La Leggivendola

      nuts.jpg

      Il Calendario dell’Avvento di Manuela è diventato una delle mie tradizioni natalizie preferite. Sarà anche che sono intollerante al lattosio, quindi se faccio tanto di avvicinarmi ai Calendari che si trovano nei supermercati, quelli coi cioccolatini al latte dentro, ecco, il Natale mi acquista tutto un altro significato fatto di dolore e sofferenza.

      Dal 2015 penso dunque a un tema simil-natalizio e ne chiacchiero gioiosamente su queste allegre lande internettiane, lasciando che una colonna sonora adeguata mi guidi nella scrittura del post. Oggi tocca allo Schiaccianoci di Tchaikovsij – o comunque intendiate scriverlo, che le possibilità non mancano.

      Il Natale nella letteratura ha molteplici sfaccettature; c’è il lato romantico, quello drammatico-familiare, il tema della redenzione. Cotanta festività è stata presa e ripresa così tante volte da sviluppare un numero indecifrabile di significati e sfumature.

      C’è però un particolare aspetto del Natale cui mi viene istintivo pensare, quando lo collego al magico mondo della narrativa, ed è la povertà. Il Natale inteso come modestia, sacrificio e privazioni.

      Natale in casa March è l’esempio perfetto. Piccole donne ne cattura l’essenza fin dall’incipit, con quella chiacchierata delle sorelle davanti al fuoco che decidono di fare a meno dei regali per quell’anno, in modo da poter rendere più lieto il Natale della madre. E che fa la madre, la mattina di Natale? Sceglie lei stessa di privarsi di una lauta colazione insieme alle ragazze, e di comune accordo con loro sfama piuttosto un’intera famiglia di umilissima estrazione.Ma forse sbaglio a iniziare il discorso con Piccole donne. So bene che il binomio “Sacrificio” e “Natale” porta alla mente in modo assai più diretto un’altra opera di narrativa, che tutti conosciamo soprattutto per via delle innumerevoli trasposizioni cinematografiche e animate. Mi riferisco ovviamente a Canto di Natale di Charles Dickens, i cui personaggi per me avranno sempre i volti affibbiati dalla Disney. Scusami, Charles, ma l’espressione più calzante del tuo Scrooge per me rimane Zio Paperone.

      C’è ancora un racconto di Hans Christian Andersen, il più grande traumatizzatore nella storia della letteratura. George R. R. Martin, fatti da parte, che la vera divinità del massacro è il vecchio Hans. Il soldatino di stagno sarà pure la mia favola preferita, ma diamine le lacrime. Ma non è la tragica vicenda del soldatino il magico legame tra Andersen e il Natale; non con La piccola fiammiferaia in giro per le nostre librerie. Un racconto dedicato interamente alla morte per congelamento di una bambina, con tanto di descrizione delle sue allucinazioni. E neanche una mezza lamentela dal Moige.

      fiammi

      La piccola fammiferaia si collega facilmente al Natale di Martin di Lev Tolstoj; poche pagine irte di tristezza, sulla disgrazia di un ciabattino rimasto solo dopo aver perso sia la moglie che i figli. Notiamo subito la vena allegra che contraddistigue l’autore, e non è difficile intuire un finale di morte dato comunque per lieto: Martin si riunisce alla famiglia, col Vangelo tra le mani e un sorriso sulle labra.

      A pensarci bene non è affatto strano che una festa che siamo ormai abituati a vivere come un momento di allegria e ritrovo, calore, cibo e (doloroso) sperpero di denaro, fosse in altri tempi primariamente associata con povertà e privazioni. Che la datazione sia o meno quella giusta, tecnicamente il Natale dovrebbe rifarsi alle difficili vicende di una famiglia assai modesta, costretta a trovare rifugio in una stalla. Chi interpreta la festa partendo da un’ottica cristiana, ne riprenderà i valori primigeni di povertà e sacrificio, facendone il vero tema dei racconti. Dobbiamo anche pensare che un tempo la letteratura per l’infanzia aveva una funzione più educativa che ludica, e che tramite favole e storielle si tentava di far trangugiare ai fanciulli le basi di un comportamento corretto, di umiltà e obbedienza.

      Chi parla di Natale in tempi più recenti, da prospettive ben più laiche e moderne, lo fa spesso per lamentare il consumismo imperante, per indicare con sprezzo l’ipocrisia di una festa che vorrebbe fingersi sentita, ma che pare esprimersi al suo meglio nell’opposto del suo spirito primigenio. Ne hanno parlato Dino Buzzati in Cos’è il Natale oggi? e Italo Calvino in I figli di Babbo Natale, e perfino Stefano Benni in un glaciale racconto intitolato È Natale.

      E io? Io mangio il panettone – da un paio d’anni senza togliere né uvetta né canditi, evidente segnale di crescita e maturazione. Attendo il momento in cui allestirò l’albero con ansia e trepidazione. Il pensiero dei regali – quelli da fare, non quelli da scartare – mi inebria che manco il profumo dei biscotti alla cannella.

      Adoro il Natale. Per i motivi sbagliati, che tutti gli autori di cui ho chiacchierato oggi mi sputerebbero nel piatto. Ma le lucine di Natale, dai. Le lucine di Natale.

      Mickeys_christmas_carol_8large

      Posted in Letteratura e dintorni | 0 Comments | Tagged A Christmas Carol, A Little Women Christmas, Charles Dickens, Dino Buzzati, erica casalini, George RR Martin, Hans Christian Andersen, Il soldatino di stagno, Italo Calvino, la leggivendola, Piccole donne, Stefano Benni, Un Canto di Natale
    • Il Calendario dell’Avvento Letterario #16: i buoni propositi di Jane Austen

      Posted at 11:50 am12 by ophelinhap, on December 16, 2016

      14055783_10211061763881395_713273771_n

      Questa casella è scritta e aperta da Erica di La Leggivendola

      ja1

      Quando Manuela mi ha chiesto se avessi voglia di prendere parte al Calendario dell’Avvento Letterario, ero contenta come una Pasqua – che detto così sembra tipo “qual è il colmo per una blogger a Natale?”, ma tralasciamo. Ero entusiasta perché è una rubrica che ho adorato la scorsa edizione, e poi perché Manuela mi ha riservato con estrema premura la casella di oggi, quella del 16 dicembre. Per i non iniziati – o non fanatici, vedete voi – il compleanno di Jane Austen.

      Ora, io adoro zia Jane, ma a lungo ho tentennato sul tema. Avevo pensato a un lungo post sul rapporto tra i suoi romanzi e i regali, e stavo spulciando il meraviglioso sestetto in cerca di doni, quando mi è balenata in testa un’idea ben più adeguata e succosa.

      I buoni propositi.

      A Natale siamo tutti più buoni – in teoria – e a fine anno a molti viene da mettersi metaforicamente una mano sull’anima per fare un rendiconto delle azioni e delle malefatte compiute nell’anno che volge al termine. Cosa si può migliorare, cosa si dovrebbe cambiare? Chi abbiamo ferito e come? C’è rimedio?

      Ammetto – e sarò in minoranza – che per me non tutti i difetti sono da rimuovere; certi sono carini e ci rendono quelli che siamo. Ma ci sono anche i cambiamenti importanti, quelli che è vitale fare. La cosiddetta crescita, se vogliamo.

      E trovo che sia uno degli aspetti che Jane Austen aveva più cari quando componeva le sue opere, anche se sicuramente non era al Natale e ai conseguenti buoni propositi che pensava. Ma ci penso io, mia è la casella e mio è il collegamento.

      jane-h-2

      Premetto che da qui in avanti saranno presenti numerosi spoiler sui romanzi di Jane Austen; se ancora non li avete letti – male – vi sconsiglio caldamente di leggere innanzi. Piuttosto, correte in biblioteca e abbrancate il primo che vi passa tra le mani.

      Prendiamo i buoni propositi di Elizabeth Bennett e di Fitzwilliam Darcy, anche se già col titolo Orgoglio e Pregiudizio le magagne dei protagonisti sono già abbastanza esplicite. Lizzie evolve enormemente nel corso del romanzo. Fin dalle prime pagine, dai suoi dialoghi con la sorella Jane e l’amica Miss Lucas, è chiaro quanto le venga facile affibbiare giudizi su chiunque capiti a tiro del suo intelletto, basandosi talvolta su fattori ben poco oggettivi, quali la gentilezza dimostrata a lei e alle persone cui tiene. Le è bastata una frase per sancire la sua idea di Mr Darcy, e da quella ha rifiutato di discostarsi a lungo, nonostante i ripetuti tentativi di lui di farsi conoscere e di farle una buona impressione. Lizzie non smuove il proprio pregiudizio, antepone i propri valori alle scelte altrui – come fa col matrimonio di Miss Lucas – e sbaglia, sbaglia terribilmente.

      janelizzie

      D’altro canto, Mr Darcy a inizio romanzo è di una presunzione insopportabile, e non c’è da meravigliarsi se la prima impressione che suscita, non soltanto a Lizzie, sia di pura antipatia. Mr Darcy è stato fortunato a incontrare Lizzie; se non fosse stato così fermamente umiliato dopo la prima dichiarazione – che comunque è un capolavoro di faccia tosta – difficilmente avrebbe avuto la possibilità di guardarsi dentro e di trovare qualcosa che, dopotutto, non gli piaceva. Lo stesso si può dire di Lizzie, comunque. In Orgoglio e Pregiudizio i due eroi cambiano in seguito a un errore madornale e alla conseguente vergogna.

      darcy

       

      Il loro è un cambiamento cosciente, una crescita dovuta che li avvicina alle loro rispettive controparti, alle loro coscienze: la sorella Jane e l’amico Bingley. In una lettera alla nipote Fanny Jane Austen decretava la superiorità del buon carattere rispetto all’intelletto, nel valutare una persona. E ripensando a questa sua personalissima visione dell’umanità, mi viene da pensare che in Orgoglio e Pregiudizio i veri esempi da seguire non siano Elizabeth e Darcy, ma Jane e Bingley. Sono loro i buoni, quelli che fin dall’inizio non fanno danno, ma che finiscono per soffrire per le altrui intromissioni, nonostante facciano un po’ la figura dei manovrabili bonaccioni.

      2wedding

      Un altro romanzo della sestina in cui l’evoluzione della protagonista riveste una parte fondamentale è Emma, e si tratta anche del titolo austeniano che prediligo. Forse proprio perché la protagonista, all’inizio, è così piena di difetti che non sarebbe strano, rimaneggiando la trama per raccontarla dal punto di vista di Jane Fairfax o di Harriet Smith, vederla come un personaggio negativo. È presuntuosa, calcolatrice, indifferente agli altrui sentimenti, snob. Gioca con la vita delle persone per puro orgoglio; ha deciso di essere un’ottima combinatrice di matrimoni, seppure il caso abbia avuto una parte assai preminente rispetto alle sue azioni nel procurare marito alla sua istitutrice, e dunque si fa portatrice del compito di accoppiare le sue conoscenze. Gioca con la vita di Harriet, già orfana sfortunata, che le solletica l’ego e che tratta alla stregua di un animaletto da compagnia e rischia letteralmente di rovinarle la vita, precludendole un avvenire di gioia e prosperità con un fattore soltanto per la sua classe sociale. Ah, Emma.

      emma

      Emma ha diverse occasioni per cambiare; prima fra tutte la ferita che infligge a Miss Bates durante il picnic, che le procurerà un immediato senso di colpa e una terribile vergogna. Emma non è crudele, ma manca di tatto. L’offesa a Miss Bates colpisce anche lei, e cercherà a suo modo di fare ammenda. L’avrebbe fatto anche senza l’intervento di Mr Knightley, che a fine giornata la mette di fronte alla sua sfacciataggine a agli effetti provocati.

      Emma si rende conto delle mancanze della propria persona anche quando viene a conoscenza della vera storia di Jane Fairfax, che fin dall’inizio ha giudicato malissimo, e quando realizza il danno che ha rischiato di provocare ad Harriet Smith. Sono tutte occasioni di crescita personale, ma vedo qui un punto di somma differenza tra la crescita di Emma e quella di Lizzie e di Mr Darcy.

      Emma viene messa di fronte ai suoi difetti dall’eloquenza di Mr Knightley, l’eroe del romanzo – che un tempo era il mio preferito, ora mi rendo conto che con la protagonista ha instaurato un rapporto non molto paritario di mentore/allieva, e questo mi disturba non poco – mentre Lizzie e Darcy sono soli con la loro vergogna, è qualcosa che non possono scegliere di provare, ma che potrebbero decidere di accantonare, perché nessun altro ne è a conoscenza. Emma ha una coscienza in Mr Knightley e non ci è dato di sapere se sarebbero bastati i suoi errori a farla crescere, in assenza di lui.

      emma2

      Persuasione è un romanzo fortemente malinconico; forse non più di Mansfield Park , che ho trovato particolarmente cupo, ma comunque ben lontano dalle atmosfere casalinghe e scherzose di Orgoglio e Pregiudizio e Ragione e Sentimento. Anne Elliot ha ventisette anni – a quanto corrisponderebbero ai giorni nostri? – e ha perso l’amore della sua vita – possiamo credere o meno al concetto in sé, ma è quello che zia Jane intende raccontarci, quindi prendiamolo per buono – per via della propria debolezza. La famiglia era contraria al suo legame con il giovane Wentworth, e lei non era riuscita a imporsi né a insistere. Il fidanzamento è stato sciolto, l’amato è andato per mare, e Anne è rimasta sola ad affliggersi per anni, rinchiusa in una bolla di rimpianto e desolazione che l’ha separata dal resto del mondo, rendendola anzitempo una zitella senza speranza. E nel romanzo, ovviamente, cambia, cresce, si rafforza poco a poco. Anche lei prosegue per gradi: c’è la sua decisione di fare visita a una vecchia compagna di scuola nonostante il parere contrario della famiglia; c’è la sua volontà di dire la propria in difesa di sentimenti delle donne che durano a lungo, durante una discussione col Capitano Harville a casa dei Musgrove; e infine, ovviamente, la decisione di accettare la proposta del Capitano Wentworth.

      La crescita di Anne non ricalca esattamente quella compiuta da Emma o da Lizzie; se loro erano motivate al cambiamento dalla vergogna e dall’imbarazzo, Anne è spinta soltanto dal dolore che la propria debolezza le ha provocato. Certo, anche quella debolezza l’avrà fatta vergognare, ma identifico nella sofferenza e nel rimorso la causa della sua rivoluzione interiore.

      anneelliot

      E poi? Poi ci sono Marianne ed Elinor di Ragione e sentimento , che devono imparare l’una dall’altra. L’una impara a carissimo prezzo a non farsi trascinare dalle fantasie e dai sentimenti, l’altra capisce che deve esporsi e rischiare per essere felice. E Fanny di Mansfield Park cosa impara, se non a imporsi, ad anteporre un “no” ai desideri altrui quando cozzano coi propri? E la mia adorata Catherine Morland de L’abbazia di Northanger che scopre la differenza tra i romanzi e la realtà, che non sempre un castello cela un mistero.

      northanger

      Non la faccio lunga su questi casi, però. Si tratta sempre di eroine che cambiano nel corso dei rispettivi romanzi, ma non vedo in loro caratteristiche tali da annotare come difetti da risolvere, dunque mi parrebbe poco sensato disquisirne a lungo in un post che vorrebbe trattare le magagne personali e i cambiamenti dettati dai buoni propositi.

      La trattazione è finita – era ora, eh? – e spero di non avervi annoiato. Sicuramente dovrei imparare ad essere un attimo meno prolissa; ma se ben ricordate, all’inizio dicevo che non sempre guardo ai difetti come aspetti da ripulire e risolvere.

      Buone feste, e grazie mille a Manuela per avermi ospitata qui – e per non avermi defenestrata. Lei sa perché. (Risposta di Manuela: ami troppo Jane Austen per essere defenestrata, nel giorno del suo compleanno poi <3)

      janeeee

      Posted in Letteratura e dintorni | 3 Comments | Tagged #AvventoLetterario, anne elliot, Bingley, Catherine Morland, elinor dashwood, Elizabeth Bennet, Emma, erica casalini, fanny price, Harriet Smith, Il Calendario dell'Avvento Letterario, Jane Austen, Jane Bennet, Jane Fairfax, Janeite, la leggivendola, Letteratura inglese, Lizzie Bennet, Mansfield Park, Marianne Dashwood, Mr Darcy, Mr Knightley, northanger abbey, orgoglio e pregiudizio, Ragione e Sentimento, un classico è per sempre, Wentworth
    • Chasing Impressions

    • Categories

      • Anglophilia
      • Cartoline
      • Frammenti di poesia
      • Frammenti di un discorso amoroso
      • Guestpost e interviste
      • Il Calendario dell'Avvento Letterario
      • Letteratura americana
      • Letteratura e dintorni
      • Ophelinha legge
      • Ophelinha scrive
      • Rileggendo i classici
      • Uncategorized
    • Goodreads

Blog at WordPress.com.

Cancel

 
Loading Comments...
Comment
    ×
  • Nel rispetto del provvedimento emanato in data 8 maggio 2014 dall'Autorità garante per la protezione dei dati personali, si avvisano i lettori che questo blog usa dei cookie per fornire servizi e per effettuare analisi statistiche completamente anonime. Pertanto proseguendo con la navigazione si accetta l'uso dei cookie. Per un maggiore approfondimento clicca qui.