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  • Tag: Charles Bukowski

    • Dev’esserci un posto.

      Posted at 11:50 am05 by ophelinhap, on May 18, 2015
      egg

      William Eggleston

       

      In questo periodo non ho molta voglia di scrivere.

      Prima bugia del caso: ne ho, e molta, anche. Ma, se iniziassi, non scriverei di libri, o di letteratura: darei libero sfogo al turbinio di pensieri e impressioni che mi abita, rendendomi sempre più simile a una casa infestata dagli spiriti. Una di quelle case tristi, che non fanno nemmeno paura; semplicemente, una di quelle case vecchie, trascurate, abbandonate, il cui destino è poi essere dimenticate.

      Se dovessi scrivere, scriverei di paura. Quella paura che prima o poi capita a tutti di incontrare, e che precede solitamente un cambiamento, un tuffo nell’ignoto. Quella paura che si presenta al cospetto delle grandi decisioni, e si siede e resta lì, tra una pioggia fredda di punti interrogativi ed esclamativi.

      Quella paura che paralizza proprio quando ci sarebbe bisogno di agire, di andare, di muoversi per tenere le cose insieme, come ci ricorda Mark Strand. Quella paura che è come una domanda, e si interroga incessantemente – e senza risposte- sulla possibilità che esista un limite al numero di volte per reinventarsi, al numero di case in cui abitare, al numero di lingue da imparare, al numero di persone da amare.

      Per fortuna ci sono persone che l’hanno scritto infinitamente meglio di quanto potrei mai fare io, tipo Bukowski, che, in questa poesia – che vi propongo in traduzione; potete leggere il testo originale qui – cerca disperatamente un posto dove rifugiarsi per scappare da se stesso, al di là della possibilità della morte e dell’insostenibile leggerezza dell’amore.

       

      un finale plausibile

       

      Dev’esserci un posto dove andare

      quando non riesci a dormire

      o non ne puoi più di ubriacarti

      e l’erba non funziona più,

      e non parlo di passare

      all’hashish o alla cocaina,

      parlo di un posto dove andare

      al di là della morte che ci aspetta

      e un amore che non funziona più

       

      dev’esserci un posto dove andare

      quando non riesci a dormire

      che non sia la televisione o un film

      o un giornale

      o un romanzo su una donna

      col clitoride in gola

       

      è non avere un posto come quello

      che fa finire la gente al manicomio

      e causa i suicidi.

      Credo che la maggior parte delle persone

      in mancanza di un posto dove andare

      si rifugi in luoghi o cose

      che soddisfano a malapena,

      e questo rituale tende a consumare

      riducendo a uno stato apatico

      in cui rilassarsi senza speranza

       

      quelle facce che vedi ogni giorno per strada

      non sono venute fuori

      totalmente a caso:

      sii gentile con loro:

      sono riuscite a scappare

       

      Soundtrack: Sink to the bottom, Fountains of wayne

      egg2

      William Eggleston

       

       

       

      Posted in Frammenti di poesia, Letteratura americana | 6 Comments | Tagged Charles Bukowski, Confessions of a Dangerous Mind, moods, poesia, Poesia americana, traduzioni
    • Raw with love (l’amore secondo Bukowski)

      Posted at 11:50 pm08 by ophelinhap, on August 15, 2014

      Little dark girl with
      kind eyes
      when it comes time to
      use the knife
      I won’t flinch and
      I won’t blame
      you,
      as I drive along the shore alone
      as the palms wave,
      the ugly heavy palms,
      as the living does not arrive
      as the dead do not leave,
      I won’t blame you,
      instead
      I will remember the kisses
      our lips raw with love
      and how you gave me
      everything you had
      and how I
      offered you what was left of
      me,
      and I will remember your small room
      the feel of you
      the light in the window
      your records
      your books
      our morning coffee
      our noons our nights
      our bodies spilled together
      sleeping
      the tiny flowing currents
      immediate and forever
      your leg my leg
      your arm my arm
      your smile and the warmth

      of you
      who made me laugh
      again.
      little dark girl with kind eyes
      you have no
      knife. the knife is
      mine and I won’t use it
      yet. 

      Ragazzina mora dagli occhi gentili

      quando verrà il tempo di usare il coltello

      non batterò ciglio

      e non incolperò

      te,

      mentre guido lungo la costa, da solo

      mentre ondeggiano le palme,

      palme brutte, pesanti

      quando i vivi non arrivano

      e i morti non se ne vanno

      non incolperò te,

      invece

      ricorderò i baci

      le nostre labbra scorticate d’amore

      e ricorderò come mi hai dato

      tutto quello che avevi

      e come io ti ho offerto

      quello che restava di me

      e ricorderò la tua stanzetta

      il senso di te

      la luce alla finestra

      i tuoi dischi

      i tuoi libri

      i nostri caffè mattutini

      i nostri pomeriggi le nostre notti

      i nostri corpi fusi

      addormentati

      flussi e correnti minime

      immediate ed eterne

      la tua gamba la mia gamba

      il tuo braccio il mio braccio

      il tuo sorriso e il tuo calore

      tu

      che mi hai fatto ridere

      di nuovo.

      Ragazzina mora dagli occhi gentili

      non hai un coltello.

      Il coltello è mio e non lo userò

      non ancora.

      Ci sono poesie che sono ferite aperte e ogni verso getta un po’ di sale nel taglio.
      Ci sono poesie che appartengono a tutti, perché parlano un linguaggio semplice e diretto.
      Ci sono poesie che sono come strali, perché sono nude. Perché sono vere.
      C’è Charles Bukowski, e ci sono notti che arrivano accompagnate da una malinconia pertinace, che si attacca alla pelle come l’afa di agosto, quell’afa che contiene già in grembo la promessa delle piogge di fine estate che verranno e porteranno via con sè la sabbia dai teli da mare, insieme a ricordi di cose che sono state e non sono più. Cose che potevano essere e non saranno mai.
      C’è Bukowski, e c’è una ragazzina dagli occhi profondi e gentili, e c’è l’impossibilità di viverlo nel momento, l’amore, perché c’è la consapevolezza che finirà, che andrà via, come il solleone di agosto che si scioglie nelle piogge di settembre torrenziali e piangenti di cardarelliana memoria.
      C’è un coltello, perché l’amore è una lama sottile e affilata, che può facilmente ferire anche le pelli più dure.
      C’è l’amore, e ci sono gli amanti, separati e tenuti insieme dalla promessa e dalla minaccia di questa lama sospesa nel mezzo, prigionieri del dilemma dei porcospini di Schopenauer:  se si avvicinassero troppo, se decidessero di vivere come un’entità sola, gli aculei dell’uno infliggerebbero sicuramente dolore all’altro, e viceversa. E allora l’amore diventa una sorta di balletto, un avvicinarsi allontanarsi riavvicinarsi prendersi riprendersi lasciarsi, dilaniati da una parte dalla paura di soffrire, dall’altra dalla paura della perdita, del vuoto, della solitudine, ottenebrati dall’immensità di questa dipendenza fisica e intellettuale, fatta di carne e sogni, di pelle e pensieri, di sangue e sudore.
      C’è l’amore che è un’arma a doppio taglio, fatta di beatitudine e di solitudine.
      Se la ragazzina usasse il coltello contro Bukowski, quest’ultimo non batterebbe ciglio, né l’accuserebbe, perché guiderebbe già nelle ramblas di chi sa che ha già perso in partenza, sospeso in una terra di mezzo costeggiata di palme brutte perché pesanti, brutte perché in qualche modo delimitano un orizzonte brumoso, senza confini, che limiti non dovrebbe avere dal momento che è una terra di nessuno, una regione dove i vivi non arrivano e i fantasmi dei morti (degli amori persi e finiti? delle cose che avrebbero potuto essere e non saranno mai?) non vogliono proprio saperne, di andarsene.
      È la terra di passaggio di tutti coloro che hanno perso un amore e camminano alla cieca, avanzando a tentoni, nella nebbiolina dell’oblio.
      No, Bukowski non ce l’avrebbe con la morettina dagli occhi gentili: userebbe il suo tempo in questa terra di nessuno per ricordarla, centimentro per centimetro. Ricordare le labbra scorticate dall’amore, i baci crudi. Ricordare come lei gli avesse dato tutto quello che aveva e lui, in cambio, solo quello che gli era rimasto, o meglio, quello che di lui era rimasto.
      Ricorderebbe questa ragazza minuta nella sua camera, la luce del mattino che penetrava tra le fessure delle imposte, la stanza infestata da un amore crudo, nudo, puro, essenziale.
      Ricorderebbe tutto quello che la definiva: i suoi libri, i suoi dischi, la sua presenza minuta nella sua piccola stanza.
      Ricorderebbe tutto quello che li definiva: i loro caffè mattutini, il loro mezzogiorno e la loro notte, quando il braccio di lei era il braccio di lui, quando c’era una confusione di gambe di arti di respiri di sudore di pelle. Quando quell’amore duro, nudo, scorticato era una questione di centimetri di pelle e di correnti. Quando il sorriso di lei gli aveva insegnato a ridere, di nuovo.

      No, Bukowski non le serberebbe rancore. Perché l’amore è un’arma a doppio taglio, e forse il coltello per tagliare quel filo sottile che sono loro due non è nelle piccole mani di lei, ma nelle mani sofferte e forti di lui. Che lo userà, perché sa che quello che lo aspetta è quel viale alberato senza inizio né fine, che ha come partenza la fine e come arrivo la solitudine, passando attraverso il lungo tunnel dell’oblio.
      Lo userà, ma non ancora. Perché in fondo, l’amore è una nebbia che si dissolve al mattino. Per essere più precisi, è una nebbiolina combustibile che brucia con le prime luci del mattino, sostiene Bukowski, sostiene:

      Love is kind of like when you see a fog in the morning, when you wake up before the sun comes out. It’s just a little while, and then it burns away… Love is a fog that burns with the first daylight of reality.

      E ancora:

      If there are junk yards in hell, love is the dog that guards the gates.

      Se ci fossero discariche di rottami all’inferno, l’amore sarebbe il cane che ne sorveglia i cancelli. Perché l’amore è un cane dall’inferno, sostiene Bukowski, sostiene. 

       

      Posted in Frammenti di un discorso amoroso, Letteratura americana, Letteratura e dintorni | 2 Comments | Tagged Charles Bukowski, Le notti bianche, Literature and Beyond, Poetry, What we talk about when we talk about love
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