Impressions chosen from another time

Frammenti di letteratura, poesia, impressioni
Impressions chosen from another time
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  • Tag: Antonio Tabucchi

    • Un’ora con…Ophelinha

      Posted at 11:50 am05 by ophelinhap, on May 27, 2016

      me

       

      Questa puntata di Un’ora con è un po’ fuori dalle righe e diversa dalle altre, perché a rispondere alle domande…sarò io 😉

      È da tempo infatti che volevo fare un po’ il punto della situazione: parlare di com’è nato il blog, come si è evoluto nel corso degli anni, come vorrei che continuasse a cambiare. Avrei voluto farlo a novembre, in occasione del quarto compleanno del blog, ma eravamo in fase di preparazione del calendario dell’Avvento letterario, un’esperienza molto divertente che spero di ripetere anche quest’anno (voi della ciurma, ci sarete tutti, vero?)

      Approfitto dell’occasione anche per parlare un po’ di me: sono schiva, riservata e mi viene sempre più facile nascondermi dietro Ophelinha che far venire fuori Manuela. Voglio provare comunque a mettermi, per una volta, dall’altra parte e provare a raccontarmi. Pronti?

       

      1) Impressions chosen from another time: come e perché?

      Il mio blog nasce in un brumoso pomeriggio del lontano novembre 2011. Avevo già scritto su altri blog e testate (tipo qui o qui), occupandomi prevalentemente di politica europea; quando poi questa passione è diventata anche un po’ (all’incirca pressappoco) il mio lavoro, ma non nei termini o nelle misure che speravo (quasi per niente), ho sentito la necessità di dare sfogo ad altre passioni che mi rappresentassero maggiormente: la lettura, la letteratura, la scrittura, il cinema, il teatro.

      Avevo un numero imprecisato di quaderni pieni di appunti, poesie, racconti, e ho pensato – anche per smettere di perderli – di iniziare a ricopiarli in questa sorta di finestrella virtuale che mi era creata su blogger. Vorrei poter dire che la ragione per cui ho iniziato a scrivere sul blog è qualcosa di eroico, nobile ed elevato, ma non è così: era un pomeriggio di novembre, mi ero ri-trasferita da circa un annetto (dopo aver vissuto a Roma, Londra, di nuovo Roma, di nuovo Londra, di nuovo Roma e una prima volta a Bruxelles), c’era un sacco di nebbia e faceva freddissimo. L’inverno 2011 è stato il secondo inverno più freddo di quelli che ho trascorso in Belgio: ha nevicato fino ad aprile e per me è stata dura abituarmi sia al freddo che a un contesto professionale molto diverso.

      Nel primo post ho copiato semplicemente una poesia che avevo scritto a Londra nel 2008, Un altro finale, perché era quello che mi auguravo: di trovare il mio lieto fine, un posto in cui stare bene, un lavoro che mi appagasse, un contesto socio-professionale (e climatico) che mi si confacesse di più. Non l’ho ancora trovato (segno che dovrei ritirarmi nella campagna inglese e fare l’eremita) e mi auguro ancora esattamente le stesse cose, ma da un annetto a questa parte ho iniziato a provarci sul serio, e spero di trovare presto quello che sto cercando.

      Il titolo del blog è tratto da una canzone di Brian Eno, By this river, colonna sonora de la stanza del figlio di Nanni Moretti. Amo le canzoni malinconiche (sono un’allegrona), e il testo di By this river è davvero bellissimo, oltre a riflettere lo stato d’animo in cui mi trovavo nel periodo in cui ho aperto il blog (e in cui mi ritrovo a momenti alterni): così confusa e lontana dalle cose importanti per me da sentirmi con la testa sott’acqua, cercando di carpire l’eco di parole troppo lontane per risultare intellegibili (suona drammatico, lo so, ma non lo è: abbiate pazienza, sono una drama queen) .

       

      2) Chi c’è dietro Impressions chosen from another time?

      Ci sono io, Manuela. C’è Ophelinha, che è nata come una crasi tra l’ineffabile Ofelia shakesperiana, scritta all’inglese (Ophelia) e la malinconica Ofélia Queiroz, eterna fidanzata e mai moglie di Fernando Pessoa. L’incomprensibile grafia vuole essere metà anglofona, metà lusofona: finora quasi nessuno è riuscito a scriverla correttamente, ma non riesco a liberarmene, per ragioni che ora cerco di spiegarvi. Abbiate pazienza, e sopportatemi!

      L’eteronimia mi ha sempre affascinato: ho iniziato a studiare il portoghese al secondo anno di università e mi sono innamorata di Pessoa. Ophelinha (Pequena, scritto come nella versione portoghese, perché Pessoa, tra altri nomignoli e vezzeggiativi, chiamava la fidanzata “la sua piccola Ofelia”) è diventata per me un posto felice, un repositorio di cose belle nel quale rifugiarmi e dietro al quale nascondere la mia timidezza (Lucio Battisti usava i suoi ricci, io uso Ophelinha, anche un po’ i ricci, a dire il vero). Ophelinha è un po’ la regina di quelle storie d’amore infelici e contrastate di cui ho sempre voluto farmi paladina, ed è rétro e antiquata quanto basta per piacermi.

      Dietro Ophelinha c’è Manuela, timida, disordinata, idealista, donchisciottesca, nevrotica, insonne, perennemente alla ricerca di qualcosa.

      Amo leggere, scrivere quando ne ho voglia, viaggiare (specie se si tratta di andare a Londra, il mio posto preferito in assoluto, o se si tratta di andare da qualche parte dove c’è il mare e possibilmente il sole). Amo il teatro (ho fatto parte di un gruppo anglofono fino a due anni fa e mi manca un sacco), la campagna inglese, i frullati di frutta, un buon vino bianco (aziende vinicole, vero che volete farvi sponsorizzare da me?), la focaccia, la musica di Leonard Cohen e di Joni Mitchell (non ascolto solo musica deprimente, lo giuro).

      Mi interessano la politica internazionale e il mondo della comunicazione e dei new media, che sto cercando di approfondire, essendo da qualche mese tornata a studiare.

      Non amo le polemiche (specie quelle sui social media – a cui comunque sono troppo pigra per rispondere), i posti troppo affollati, la mancanza di gentilezza, l’opportunismo, l’arroganza, il freddo e la neve. Sto cercando di trovare il giusto equilibrio tra l’eccesso di condivisione e l’essere diventata una privacy freak: le cose più belle e personali, però, me le tengo per me, ben strette.

       

      3) Il tuo scaffale d’oro

      Nel mio scaffale d’oro metterei in primis i libri che mi hanno insegnato ad amare la lettura: Piccole donne di Louisa May Alcott, Cime tempestose di Emily Brontë, tutta Jane Austen. Ci sarebbe tanta poesia: Antonio Machado, Juan Ramón Jiménez, Federico García Lorca, Eugenio Montale, Jacques Prévert, TS Eliot, Sylvia Plath, Emily Dickinson, ee cummings, Wislawa Szymborska, Leonard Cohen, Pablo Neruda, solo per citarne alcuni. Ci sarebbero le lettere di Pessoa alla fidanzata e quelle di Sylvia Plath alla madre. Ci sarebbero i racconti di Alice Munro e l’Ernest Hemingway di Addio alle armi, Per chi suona la campana e Fiesta. Ci sarebbe l’incredibile Gabo con le meraviglie di Macondo e l’idilliaca Port William di Wendell Berry. Non potrebbe mancare una rappresentanza russa, Anna Karenina e Lolita in cima al mucchietto. Ci sarebbe un libro che ho amato in un momento particolare della mia vita, L’eleganza del riccio di Muriel Barbery, qualche biografia e qualche bella saga familiare, tipo I viceré di De Roberto. Non potrebbe mancare qualche testo teatrale – l’Amleto shakespeariano, Casa di bambola di Ibsen, La Locandiera di Goldoni per un amarcord di tutto rispetto. Ci sarebbe Il grande Gatsby, col suo finale che mi fa rabbrividire ogni volta che lo leggo, e L’insostenibile leggerezza dell’essere di Kundera. Ci sarebbero vecchi amici – La coscienza di Zeno di Svevo, il Coe de La banda dei brocchi e La casa del sonno, Via col Vento della Mitchell, Sostiene Pereira di Tabucchi, nuovi amori – Jonathan Franzen, nuove scoperte – Miriam Toews e Elizabeth Strout.

      E ci sarebbe un bel po’ di spazio per i libri che verranno.

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      4) Un personaggio in cui ti immedesimi particolarmente

      Sono un po’ Ofelia, un po’ Rossella O’Hara di Via col Vento: testarda, ostinata, sono bravissima a fare pessime scelte e a rimpiangerle per molto, moltissimo tempo. La mattina del mio ventiquattresimo compleanno ho trovato sulla porta della mia stanza (abitavo in uno studentato) un post-it con l’aggettivo quixotic, e non a torto: ho in comune con Don Chisciotte la tendenza a battermi per le cause perse  e a essere romanticamente idealista (e a sentirmi fuori posto abbastanza spesso).

      5) Se il tuo blog fosse una canzone…

      …sarebbe la canzone che gli ha dato il titolo (vedi risposta uno), con un tocco di Famous blue raincoat di Leonard Cohen e di Both sides now di Joni Mitchell (cantata a squarciagola sotto la doccia).

       

      6) Il tuo rapporto con la scrittura/con la lettura

      Con la lettura è sempre andata abbastanza bene, anche se il trucco nel mio caso è trovare il libro che funzioni a seconda delle situazioni, ispirazioni, stati d’animo, livelli di stress e stanchezza.

      Con la scrittura è molto più altalenante: non scrivo quando non ne ho voglia, non scrivo quando non ho effettivamente qualcosa da dire. La scrittura – specie quella personale, che non va a finire necessariamente nel blog, almeno per ora – va spesso per me di pari passo con stati d’animo riflessivi e malinconici: per dirla con Luigi Tenco (o Bruno Lauzi, dato che non ci si mette d’accordo sulla paternità di questa citazione), quando sono felice esco.

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      7) Progetti in cantiere

      Mi piacerebbe tornare a dare al blog un taglio più personale: parlare di letteratura e raccontare storie mettendoci anche pezzi di me. La realtà è che, al momento, scrivo prevalentemente lettere di motivazione da affiancare al curriculum, e, per quanto inizi seriamente a pensare che alla redazione di cv e affini andrebbe dedicato un intero genre, non credo che il mondo sia ancora pronto a canonizzarlo. In definitiva, mi tocca mettermi a ricercare la mia voce eccetera, sperando che il processo non sia troppo lungo o doloroso e che non includa meditazione o affini (ho provato a meditare una volta e sono andata in spin: devo pensare a un posto felice – non mi viene in mente un posto felice – ma ho attaccato la lavatrice stamattina? – ma che ansia.)

      Vorrei anche ripetere a dicembre il calendario dell’Avvento letterario e continuare a organizzare iniziative insieme a gente che mi piace.

       

      Sono prolissa, lo so. Se siete arrivati fino a qui sotto meritate un premio 😉

       

      Posted in Guestpost e interviste | 7 Comments | Tagged #AvventoLetterario, Addio alle armi, Antonio Tabucchi, Both sides now, Brian Eno, Casa di bambola, Cime tempestose, Don Chisciotte, Elizabeth Strout, Emily Brontë, Emily Dickinson, Ernest Hemingway, Eteronimi, famous blue raincoat, Federico García Lorca, Fernando Pessoa, Francis Scott Fitzgerald, Ibsen, Il Calendario dell'Avvento Letterario, Jane Austen, Janeite, Jonathan Coe, Jonathan Franzen, Joni Mitchell, Juan Ramón Jiménez, L'eleganza del riccio, l'insostenibile leggerezza dell'essere, La banda dei brocchi, la coscienza di zeno, Leonard Cohen, Me myself and I, Milan Kundera, Miriam Toews, Muriel Barbey, Ofélia Queiroz, Ophelia, Pablo Neruda, per chi suona la campana, Piccole donne, Rossella O'Hara, Shakespeare, Sostiene Pereira, Sylvia Plath, The Great Gatsby, ts eliot, Via col vento, Margaret Mitchell, Wendell Berry, Wislawa Szymborska
    • Si stava meglio quando si leggeva (e non se ne parlava)

      Posted at 11:50 pm04 by ophelinhap, on April 23, 2015

      Mariana-GonzálezOggi sarebbe la Giornata mondiale del libro.
      Se ne legge un po’ ovunque: eppure, ancora una volta, i protagonisti non sono i libri, bensì la gente che ne parla. Al centro di tutto non c’è il libro e non c’è neanche il lettore: c’è un discorso un po’ vuoto e sterile sul perché si legge, perché si deve leggere, perché si deve parlare di quello che si legge.

      La domanda che invece vorrei porre (porvi) è questa: da quando in qua la lettura è diventata una necessità sociale (anzi, social)? Da quando in qua la lettura, per essere riconosciuta (poi, da chi? E perché?) deve essere condivisa?
      Nel mio piccolo mondo (antico, sicuramente) la lettura non è mai stata motivo di autocelebrazione o autoincensamento: è sempre stata un’azione naturale, come respirare. Non conosco nessuno che odi leggere.

      Conosco gente che non ama leggere romanzi: la mia migliore amica, ad esempio, ama leggere trattati tecnici, attinenti al suo lavoro di lobbista. A Londra, quando io compravo le poesie di Wendell Berry, lei comprava un trattato sulle api. E non ci trovo nulla da eccepire.
      L’atto di leggere risponde a un’istanza naturale, atavica: quella del bambino che chiede “mi racconti una storia?”. Se dovessi riprendere il tanto dibattuto hashtag #ioleggoperché, la mia riflessione sarebbe questa: leggo perché mi sono sempre piaciute le storie. Mi è piaciuto che qualcuno me le raccontasse, quando non sapevo leggere. Ora mi piace che un libro me le racconti.
      E la lettura va ad aggiungersi alle tante cose che amo – il teatro, Londra, i frullati alla frutta, i viaggi, il mare, il tè. Cose che non vado necessariamente a condividere, perché, in fondo, la maggior parte delle cose (e delle persone) che amiamo non sono destinate alla condivisione.

      Quindi leggete, se ne avete voglia. Fatevi raccontare storie.
      Leggete il giornale. Leggete le vecchie lettere del vostro pen-friend, quando ancora le lettere si scrivevano a mano e si affrancavano. Soprattutto, non leggete tanto per leggere: leggete perché vi piace, leggete perché ne avete voglia. Leggete quello che vi piace, al di là delle mode e dei diktat pseudoculturali. Cercate di scoprire quello che vi piace leggere, e innamoratevene.
      E, soprattutto, quando leggete spegnete il 3G, allontanatevi dal computer, dimenticatevi Facebook, Twitter e Goodreads.
      Vi lascio con quella che per me è una delle più belle recensioni della storia della letteratura, in un momento in cui le recensioni abbondano (ma non sempre la loro qualità, purtroppo), come abbonda, tristemente, la tuttologia imperante:

      È possibile che un libro, un romanzo, metta a disagio perché sembra troppo bello? Troppo, non perché sospetto di voler piacere, ma proprio nel senso che si fa amare senza riserve….

      Lalla Romano su Sostiene Pereira, Antonio Tabucchi

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      Posted in Ophelinha legge | 11 Comments | Tagged Antonio Tabucchi, Giornata mondiale del libro, Lalla Romano, Sostiene Pereira, Wendell Berry, What we talk about when we talk about books
    • Cartoline da Lisbona: a casa di Fernando Pessoa per il suo compleanno

      Posted at 11:50 pm06 by ophelinhap, on June 13, 2012

      Fotopost sull’amore per Pessoa e l’amore per Lisbona

       

      Aniversário

      No tempo em que festejavam o dia dos meus anos,
      Eu era feliz e ninguém estava morto.
      Na casa antiga, até eu fazer anos era uma tradição de há séculos,
      E a alegria de todos, e a minha, estava certa com uma religião qualquer.

      No tempo em que festejavam o dia dos meus anos,
      Eu tinha a grande saúde de não perceber coisa nenhuma,
      De ser inteligente para entre a família,
      E de não ter as esperanças que os outros tinham por mim.
      Quando vim a ter esperanças, já não sabia ter esperanças.
      Quando vim a olhar para a vida, perdera o sentido da vida.

      Sim, o que fui de suposto a mim-mesmo,
      O que fui de coração e parentesco.
      O que fui de serões de meia-província,
      O que fui de amarem-me e eu ser menino,
      O que fui — ai, meu Deus!, o que só hoje sei que fui…
      A que distância!…
      (Nem o acho…)
      O tempo em que festejavam o dia dos meus anos!

      O que eu sou hoje é como a umidade no corredor do fim da casa,
      Pondo grelado nas paredes…
      O que eu sou hoje (e a casa dos que me amaram treme através das minhas
      lágrimas),
      O que eu sou hoje é terem vendido a casa,
      É terem morrido todos,
      É estar eu sobrevivente a mim-mesmo como um fósforo frio…

      No tempo em que festejavam o dia dos meus anos…
      Que meu amor, como uma pessoa, esse tempo!
      Desejo físico da alma de se encontrar ali outra vez,
      Por uma viagem metafísica e carnal,
      Com uma dualidade de eu para mim…
      Comer o passado como pão de fome, sem tempo de manteiga nos dentes!

      Vejo tudo outra vez com uma nitidez que me cega para o que há aqui…
      A mesa posta com mais lugares, com melhores desenhos na loiça, com mais copos,
      O aparador com muitas coisas — doces, frutas o resto na sombra debaixo do alçado —,
      As tias velhas, os primos diferentes, e tudo era por minha causa,
      No tempo em que festejavam o dia dos meus anos…

      Pára, meu coração!
      Não penses! Deixa o pensar na cabeça!
      Ó meu Deus, meu Deus, meu Deus!
      Hoje já não faço anos.
      Duro.
      Somam-se-me dias.
      Serei velho quando o for.
      Mais nada.
      Raiva de não ter trazido o passado roubado na algibeira!…

      O tempo em que festejavam o dia dos meus anos!…

      ANNIVERSARIO

      Al tempo in cui festeggiavano il giorno del mio compleanno,
      io ero felice e nessuno era morto.
      Nella casa antica, perfino il mio compleanno era una tradizione secolare,
      e l’allegria di tutti, e la mia, era giusta come una religione qualsiasi.

      Al tempo in cui festeggiavano il giorno del mio compleanno,
      avevo la grande salute di non capire alcunché,
      di essere intelligente per quelli della famiglia,
      e di non aver le speranze che gli altri avevano in mia vece.
      Quando arrivai ad avere speranze, non sapevo più avere speranze.
      Quando arrivai a guardare la vita, avevo perso il senso della vita.

      Sì, quello che fui di supposto per me stesso,
      quello che fui di cuore e famiglia,
      quello che fui di veglie di semiprovincia,
      quello che fui perché mi amavano e perché ero bambino,
      quello che fui – Dio mio!, quello che solo oggi so di essere stato…
      Com’è lontano!…
      (Nemmeno l’eco…)
      Il tempo in cui festeggiavano il giorno del mio compleanno!

      Ciò che oggi sono è come l’umidità nel corridoio in fondo alla casa,
      che provoca muffa nelle pareti…
      Ciò che oggi sono (e la casa di quelli che mi hanno amato trema attraverso le mie
      [lacrime),
      ciò che oggi sono è che abbiano venduto la casa,
      è che tutti siano morti,
      è che io sia sopravvissuto a me stesso come un fiammifero freddo…

      Al tempo in cui festeggiavano il giorno del mio compleanno…
      Quale oggetto d’amore è per me quel tempo, come una persona!
      Desiderio fisico dell’anima di essere lì un’altra volta,
      attraverso un viaggio metafisico e carnale,
      con una dualità da me a me…
      Mangiare il passato come pane per l’affamato, senza tempo di burro sotto i denti!

      Vedo tutto ancora una volta con una nitidezza che mi rende cieco alle cose presenti…
      La tavola apparecchiata con dei posti in più, con la porcellana migliore, con dei
      [bicchieri in più,
      la credenza con molte cose – dolci, frutta, il resto nell’ombra sotto la scansia –,
      le vecchie zie, i cugini estranei, e tutto era per me,
      al tempo in cui festeggiavano il giorno del mio compleanno…

      Fermati, cuore mio!
      Non pensare! Lascia il pensiero alla testa!
      Oh mio Dio, mio Dio, mio Dio!
      Oggi non compio più gli anni.
      Perduro.
      I miei giorni si addizionano.
      Sarò vecchio quando lo sarò.
      Nient’altro.
      Rabbia di non aver portato in tasca il passato rubato!

      Il tempo in cui festeggiavano il giorno del mio compleanno!…

      15 ottobre 1929

      Da: Fernando Pessoa, Poesie di Álvaro de Campos, (a cura di Maria José de Lancastre, traduzione di Antonio Tabucchi), Adelphi, Milano 1993.

      Esattamente un anno fa ero a Lisbona. E’ stata la mia prima visita in una città già cara al mio immaginario, visitata con la fantasia attraverso le parole di Tabucchi, di Pessoa, di Saramago.
      Coincidenze astrali hanno fatto sì che mi trovassi a Lisbona proprio in corrispondenza del compleanno di Pessoa, nato il 13 giugno 1888, nello splendido panorama delle Festas de Lisboa.

       

      Tutti i quartieri sfilano con costumi colorati danzando e cantando in competizione. Finita la sfilata si riversano nelle stradine dei vari bairros cantando e facendo baldoria, mentre chioschi in ogni angolo arrostiscono le sarde che si mangiano con le mani su una fetta di pane.

      In Portogallo, Santo Antonio è il protettore dell’amore..e del matrimonio. La notte del 12 giugno, gli innamorati si scambiano piantine di basilico come pegno di amore e di fedeltà. Secondo la tradizione, bisogna prendersi cura della propria piantina, per evitare che la passione appassisca…
      Sempre in quest’occasione vengono celebrate nella chiesa di Sant’Antonio le nozze collettive (finanziate dal comune di Lisbona), che Pessoa celebra in questi versi:

      Manjerico, manjerico,

      Manjerico que te dei,

      A tristeza com que fico

      Inda amanhã a terei.

      O manjerico comprado

      Não é melhor que o que dão.

      Põe o manjerico ao lado

      E dá-me o teu coração.

      O manjerico e a bandeira

      Que há no cravo de papel-

      Tudo isso enche a noite inteira,

      Ó boca de sangue e mel.

      O vaso do manjerico

      Caiu da janela abaixo.

      Vai buscá-lo, que aqui fico

      A ver se sem ti te acho.

      Manjerico que te deram,

      Amor que te querem dar…

      Recebeste o manjerico.

      O amor fica a esperar.

       

      A chi avrà regalato il basilico Pessoa? A chi avrà chiesto di metterlo da parte per donargli il suo cuore? Mi piace pensare che si tratti di Ophelia Queiroz, ma capirete che sono di parte…
      Tornando a Nininho: l’anno scorso, in occasione del suo compleanno, la sua casa-museo era aperta. Quale occasione migliore per passarvi l’intera mattinata, curiosando tra i suoi oggetti, cullati dal portoghese musicale di guide volontarie ed appassionate?
      Buon compleanno, Nininho, parabéns. E alla prossima visita nella tua Lisbona vieni a infestarmi, come accadde a Tabucchi nel suo Requiem.
      Magari sarà la volta buona. Sarà la volta in cui ti toglierai gli occhiali e finalmente la vedrai, lei che ti ha aspettato tutta la vita.
      Posted in Cartoline | 3 Comments | Tagged Antonio Tabucchi, Fernando Pessoa, Literature and Beyond, Me myself and I, Memories, Nininho, Ophelinha, Poetry
    • It all started like this… (post in prima persona)

      Posted at 11:50 pm05 by ophelinhap, on May 25, 2012

      E’ iniziato tutto così…durante una giornata molto simile a questa*.
      Una giornata troppo grigia perfino per Greyville, con la pioggia gelida e il vento che ti sferza il viso e dissemina intorno a se una foresta di ombrelli rotti. La cosa più deprimente è il colore. Non è fumo di Londra, è un…non colore. E’ la completa assenza di tonalità. E’ la negazione del colore stesso.
      Guardo fuori dalla finestra del mio ufficio, questo cielo senza colore, questo palazzone dello stesso colore del cielo, and I cannot help but wonder (à la Carrie Bradshaw)…per l’ennesima volta nel corso dell’ultimo anno e mezzo…ma io, esattamente, cosa ci faccio qui? O, più precisamente, cosa sto facendo della mia vita?
      Se, circa undici anni fa, qualcuno mi avesse predetto che sarei diventata la persona che sono, che avrei abbandonato qualsiasi forma di ambizione riducendomi a vivere come l’ombra di me stessa…beh, mi sarei fatta una bella grassa sonora risata. Perché non sarebbe mai potuto accadere. Perché non ero così.
      Il problema deriva fondamentalmente da questo…non sono e non potrò mai essere diversa da quello che sono. Ma le circostanze sono cambiate, le persone intorno a me sono cambiate, c’è chi se n’è andato portandosi via pezzi di me e lasciandomi in eredità pesanti valige, chi è arrivato portando carichi di responsabilità che non ero proprio pronta ad affrontare…e ci sono giorni, come questo, in cui mi sento in bilico tra la leggerezza e la pesantezza dell’essere…non so se sono Tereza o Sabine, non so se sono Kitty o Anna Karenina**. Forse la verità è che non vedo i colori perché ho perso la capacità di vederli, insieme alla capacità di ridere, di tutto, di me stessa, di cuore.
      Tornando a noi: il trasferimento a Greyville, inizialmente accettato come un dono per evadere da una routine un po’ provinciale e da quella vocina interiore che sussurrava “you can do it better, can’t you?” (sorry ma le mie vocine interiori parlando in Inglese….)si e’ rivelato un vero disastro. Mai e poi mai avrei immaginato di finire a vivere in una città così fredda, così poco accogliente, dove gli amici e gli stimoli culturali vanno cercati col lanternino.
      Il lavoro non aiuta…così…burocratico, sempre uguale a se stesso, affatto stimolante…l’unico aggettivo che mi viene in mente è, ancora una volta, grigio…e mi chiedo…non dovrei essere da qualche altra parte a fare qualcosa di più meaningful, per me stessa e per gli altri? E mi viene in mente la dedica della mia tesi di laurea…You have to be the change you want to see in the world (Gandhi). Dov’è finita quell’idealista?
      Forse nascosta dietro una facciata di cinica poco convinta…
      Ho sempre pensato che quello che facciamo debba rispecchiare la parte migliore di quello che siamo. Che il posto in cui scegliamo di mettere radici debba essere l’Heimat.
      Bref, dovendo per il momento vivere, lavorare e respirare qui a Greyville, ho deciso di crearmi la mia Neverland, dove rifugiarmi, sognare e, perché no? Scambiare idee, racconti, storie, opinioni, poesie con altre persone sparse qui e lì nella galassia satellitare.
      Perché Impressions chosen form another time e perché Pessoa e Ophelinha.
      Perché la canzone di Brian Eno rispecchia come mi sento, attualmente, la maggior parte del tempo (oltre ad essere una bellissima canzone, dolce e malinconica al tempo stesso)

      By this river

      Here we are
      Stuck by this river,
      You and I
      Underneath a sky that’s ever falling down, down, down
      Ever falling down

      Through the day
      As if on an ocean
      Waiting here,
      Always failing to remember why we came, came, came:
      I wonder why we came

      You talk to me
      As if from a distance
      And I reply
      With impressions chosen from another time, time, time,
      From another time

      Eccoci qui

      Al fianco di questo fiume

      Tu ed io

      Sotto un cielo che continua a cadere giù, giù, giù

      Sempre più giù

      Attraverso il giorno

      Come fosse un oceano

      Fermi qui in attesa

      Non riusciamo mai a ricordarci perché ci siamo arrivati

      Mi chiedo perché ci siamo arrivati

      Mi parli

      Come da distanze remote

      E io ti rispondo

      Con impressioni provenienti da un tempo ormai lontano

      Da un tempo ormai lontano

      (Traduzione @OphelinhaPequena)

      La traduzione è un po’ libera e rispecchia esattamente come mi sento: con la testa sott’acqua, le orecchie tappate e gli occhi chiusi, e tutto quello che mi arriva sono suoni e rumori attutiti dall’acqua e…ricordi, fantasmi del passato, cose e persone che mi trattengono sott’acqua e mi impediscono di risalire in superficie e let it go. Una cosa però mi arriva, anche sott’acqua: la voglia di scappare via, via….
      Perché Nininho (Fernando Pessoa).  Un pomeriggio di tanti (ma non tantissimi J ) anni fa ero in biblioteca a studiare per l’esame di Lingua e Letteratura portoghese. Tra i vari libri, ho trovato questo libricino, Lettere alla fidanzata (a cura di Antonio Tabucchi), la corrispondenza tra Pessoa e l’unica donna della sua vita, Ophelia Queiroz (ne ho gia’ parlato qui).
      Queste lettere mi hanno colpito: per la spontaneita’, l’irruente ingenuita’, il bisogno di amore di lei, il desiderio tutto femminile di passare dalla poesia alla prosa e di vivere concretamente il sentimento per Nininho nella vita quotidiana; e quel celeste distacco di lui, geloso, poi sfuggente, preso a farsi scudo dietro i suoi eteronimi, a cercare la vera vita lì dove non c’era, la vita. C’erano tante cose; c’erano parole, c’era poesia, ma c’era anche la sua incapacita’ di amare concretamente, di smettere di nascondersi dietro tanti nomi per offrirsi nudo e semplice a lei, a Ophelia, che in un attacco di deliziosa e maliziosa ingenuita’ in una delle sue lettere si firma “Ophelia Pessoa (magari!)”.
      Il carteggio tra Nininho ed Ophelinha mi è tornato in mente al momento di aprire il blog, dopo aver letto un articolo di Tabucchi (Pessoa, Amori veri e amori ridicoli) nell’archivio storico del Corriere della Sera.
      Era un momento in cui anch’io avevo bisogno di rifugiarmi dietro un altro nome, per essere capace di osservarmi dall’esterno ed eliminare quella fastidiosa sensazione che provo ogni volta che parlo di me in prima persona. Così nasce la mia Ophelinha, una figura ibrida, mezza me mezza creatura letteraria. Una creatura libera di sottrarsi al grigiore quotidiano e sognare, sognare, sognare, rifugiandosi in conversazioni immaginarie con personaggi romanzeschi, in amori letterari ed incompiuti che rimarranno sempre e per sempre pefetti perché non verranno mai intaccati nè corrosi dalla realtà che si vede, ma vivranno solo nella realta che si crede.
      Anche il “mio” Nininho non è una persona, ma l’insieme delle persone che hanno toccato e continuano in parte a toccare la mia vita, l’hanno trasformata e mi hanno cambiata, portandosi via in alcuni casi pezzi di me. E’ l’insieme degli obiettivi mai raggiunti, la wishlist delle cose che avrei sempre voluto per me e non sono ancora riuscita ad ottenere.
      E’ la speranza di tempi migliori. E’ lo specchio che mi riflette, criticamente, naked, unveiled, al giudizio del quale non posso sottrarmi. E’ la parte più autentica e genuina di me, quella che non si vergogna di parlare in prima persona e non sente il bisogno di fingere di essere di più. Più forte, più intelligente, più indipendente, più sicura di sè.
      Sei mesi fa, ho inaugurato questo blog con una delle mie poesie, Un altro finale. Perchè è questo che desidero: per me, per Ophelinha, per tutti coloro che leggono queste righe e sono magari alla ricerca di risposte a domande che non hanno nemmeno il coraggio di formulare.
      Un finale semplice, pulito, trasparente. Che non faccia male e ridoni la capacita di sorridere.

      * strano ma vero, oggi che pubblico questo post, c’è il sole.
      ** ho riletto Anna Karenina, a dodici anni di distanza dalla prima lettura, e non ho dubbi: non potrei mai essere Kitty. I just cannot get rid of the feeling that she is kind of…settling down? Non potrei mai innamorarmi di Levin. Ma di Vronskij, si. Cosi’ come se fossi Cathy di Wuthering Heights non potrei mai prendere in considerazione l’idea di sposarmi con Linton, ma ci sarebbe Heathcliff, solo Heathcliff.

      “… A che scopo sarei io stata creata se fossi interamente contenuta in me stessa? Le mie grandi pene in questo mondo sono state le pene di Heathcliff, e io le ho conosciute e le ho sentite tutte una a una dal principio; la sola ragione di vivere per me è lui. Se tutto il resto perisse, e lui rimanesse, io continuerei a esistere; e, se tutto il resto rimanesse e lui fosse annientato, l’universo si cambierebbe per me in un’immensa cosa estranea; non mi parrebbe più di essere una parte di esso. Il mio amore per Linton è simile al fogliame del bosco; il tempo lo muterà , ne sono sicura, come l’inverno muta gli alberi; il mio amore per Heathcliff somiglia alle eterne rocce che stanno sottoterra: una sorgente di gioia poco visibile, ma necessaria. Nelly, io sono Heathcliff! Lui è sempre, sempre nella mia mente; non come un piacere, come neppur io sono sempre un piacere per me stessa, ma come il mio proprio essere. Così non parlare più della nostra separazione: è impossibile…”

       
      E che dire di Elizabeth Bennet di Pride and Prejudice? Wickam e’ chiaramente solo una piccola infatuazione. Mr Darcy, Mr Darcy. Per questo, Nininho.
      Posted in Ophelinha scrive | 3 Comments | Tagged Anna Karenina, Antonio Tabucchi, Caos calmo, Confessions of a Dangerous Mind, Emily Brontë, Fernando Pessoa, Literature and Beyond, Me myself and I, Memorie di una precaria perbene, Memories, Nininho, Ophelinha, Poetry
    • Love letters +SECOND GIVEAWAY(s)

      Posted at 11:50 pm05 by ophelinhap, on May 2, 2012
      Fernando e Ophelinha, Casa Pessoa, Lisbona. Giugno 2011

      Ho evitato il mio piccolo spazio privato per un po’ di giorni, in parte di proposito, un po’ per mancanza di tempo, un po’ per non mettere nero su bianco pensieri che ultimamente frullano nella mia testolina bacata..perchè una volta che sono messi per iscritto esistono, e forse non voglio confrontarmi con loro, non adesso, non qui. Basti sapere che ho sbagliato strada ad un incrocio e ora non riesco a trovare il modo di fare inversione di marcia.

      Qui fuori è grigio e freddo, come quel pomeriggio di sette mesi fa in cui ho iniziato a depositare in questa finestrella pensieri, impressioni, versi, appunti di passaggio. Nemmeno maggio è stato in grado di donarci un po’ di primavera, ma solo pioggia e una nebbia sottile che confonde ancora di più idee ed emozioni, ragioni della testa e ragioni del cuore. In un pomeriggio di novembre simile a questo maggio autunnale che sembra quasi inverno, nell’archivio storico del Corriere della Sera ho trovato due bellissimi articoli, che vi raccomando caldamente: Pessoa in ginocchio da Ofelia e Amori veri e amori ridicoli, a firma del grande Tabucchi. E mi sono tornate in mente tanti piccoli particolari: la biblioteca dell’università, i pomeriggi bui e polverosi, l’edizione Adelphi di Lettere alla fidanzata. Tutte le volte in cui mi sono sentita ridicola, in cui mi sono immedesimata nell’eterea Ophelinha, che rifiuta ogni pretendente e inizia a scrivere all’incostante Fernando. Entrambi sono impiegati nello stesso ufficio, e un giorno l’imprevedibile Nininho, l’Ibis della sua anima, le si dichiara con gli stessi immortali versi che Amleto aveva usato nella tragedia shakesperiana per dichiararsi alla sua Ofelia:

      Oh! Cara Ofelia! Maneggio male i miei versi, ho poca arte per misurare i miei sospiri, ma ti amo all’estremo! Oh, fino all’ultimo estremo, credilo!

      E Fernando la bacia improvvisamente, appassionatamente. E Ophelinha inizia a scrivergli. Lettere quotidiane, lettere semplici. Lettere di fuoco, lettere appassionate.
      Oggi voglio regalarvi una lettera, la mia preferita. La lettera che Fernando scrive ad Ophelia e chiusura della prima fase del loro namoro (fidanzamento), il 29 novembre 1920.
      I due riprenderanno a scriversi anni dopo, nel 1929: ma Fernando è cambiato, è totalmente ossessionato all’opera poetica alla quale si è consacrato, le interferenze di Alvaro de Campos, uno degli eteronimi di Pessoa, sono sempre più ingerenti.
      Tornerò a parlare di Nininho e Ophelinha: per ora vorrei solo che ve li immaginaste così, uno scricciolo diciannovenne che insegue un amore impossibile a scapito di altri ben più reali e un ometto con cappello scuro e gli occhiali che ha paura di vivere, e si rifugia dietro altri io, dietro fogli, dietro parole di carta.

      La traduzione della lettera riportata di seguito è tratta da Lettere alla fidanzata di Antonio Tabucchi, fonte che ho usato per scrivere questo post insieme a Finzioni d’amore, a cura di Paolo Collo (Passigli Editore).

      Ophélia Queiroz all’epoca del namoro con Fernando Pessoa

      29 novembre 1920

      Ophelinha,

      la ringrazio per la sua lettera. Essa mi ha portato dolore e sollievo allo stesso tempo. Dolore, perchè queste cose addolorano sempre; sollievo perchè in verità l’unica soluzione è questa: non prolungare oltre una situazione che ormai non trova più giustificazione nell’amore, nè da una parte nè dall’altra. Da parte mia, almeno, resta una stima profonda, un’amicizia inalterabile.

      Lei non mi negherà altrettanto, vero?

      Nè lei, Ophelinha, nè io, abbiamo colpa di tutto questo. Solo il Destino ne avrebbe la colpa, se il Destino fosse una persona a cui potere attribuire delle colpe.

      Il Tempo, che invecchia i volti e i capelli, invecchia anche, ma ancora più rapidamente, gli affetti violenti. La maggior parte della gente, per la sua stupidità, riesce a non accorgersene, e crede di continuare ad amare perchè ha contratto abitudine a sentire se stessa che ama. Se non fosse così, non vi sarebbe al mondo gente felice. Le creature superiori, tuttavia, sono private della possibilità di codesta illusione, perchè non possono credere che l’amore sia duraturo, nè, quando sentono che esso è finito, si sbagliano interpretando come amore la stima, o la gratitudine, che esso ha lasciato.

      Queste cose fanno soffrire, ma poi il dolore passa. Se la stessa vita, che è tutto, passa, perchè non dovrebbero passare l’amore, il dolore e tutte le cose che sono solo parti della vita?

      Nella sua lettera (nella lettera del 27 novembre Ophelina chiude il namoro con Fernando, a causa delle lettere mai arrivate, della sua presunta o vera che fosse mancanza di interesse, terminando con le parole “E’ stata fatta la sua volontà. Le auguro di essere felice”, ndr) è ingiusta con me, ma la comprendo e la scuso. Certo l’ha scritta con irritazione, forse perfino con dolore: ma la maggior parte della gente – uomini e donne – avrebbe scritto, nel suo caso, in un tono ancora più acerbo e in termini ancora più ingiusti. Ma lei, Ophelinha, ha un meraviglioso carattere, e perfino la sua irritazione non riesce ad essere cattiva. Quando si sposerà, se non avrà la felicità che merita, certamente non sarà colpa sua.

      Quanto a me…

      L’amore è passato. Ma le mantengo un affetto inalterabile,e non la dimenticherò mai – mai, lo creda – nè la sua figurina graziosa e i suoi modi di ragazzina, nè la sua tenerezza, la sua dedizione, la sua adorabile indole, può essere che mi sbagli, e che queste qualità che le attribuisco fossero una mia illusione: ma non credo lo fossero nè, se lo sono state, sarei villano ad attribuirgliele.

      Non so cosa desidera che le restituisca: lettere o che altro ancora.

      Io preferirei non restituirle niente, conservare le sue lettere come il ricordo vivo di un passato morto come ogni passato: come un qualcosa di commovente in una vita quale la mia, in cui l’avanzare negli anni va di pari passo con l’avanzare nell’infelicità e nella delusione.

      Le chiedo di non fare come la gente comune, che è sempre grossolana: che non giri la testa quando ci incontreremo; nè abbia di me un ricordo in cui ci sia spazio per il rancore.

      La prego, siamo l’uno con l’altro come due persone che si conoscono dall’infanzia, che si amarono da bambini e, sebbene nella vita adulta seguano altre strade e altri affetti, conservano sempre, in una piega dell’animo, il ricordo profondo del loro amore antico e inutile.

      Per quanto forse “altri affetti” e “altre strade” possano concernere lei, Ophelinha, non cero me stesso. Il mio destino appartiene ad altra Legge (la Poesia, ndr), della cui esistenza lei è all’oscuro, ed è subordinato sempre di più all’obbedienza a Maestri (gli eteronimi? ndr) che non permettono e non perdonano.

      Ma non è necessario che capisca quanto dico. Basta che mi conservi affettuosamente nel suo ricordo come io, sempre, la conserverò nel mio.

      Fernando

      Come si sarà sentita dopo questa lettera, la nostra virgoletta graziosa che, il 23 marzo 1920, si firmava “molto tua Ofélia Pessoa (fosse vero)”?
      E come si sarà sentito lui, Fernando, che tirava Ophelia per il braccio per baciarla negli anditi e nei portoni, ma non è stato mai capace di uscire fuori da quelle pagine e di vivere una vita vera, con lei? Come avrebbe cantato Roberto Vecchioni in Le lettere d’amore

      …dimenticando Ophelia
      per cercare un senso che non c’è
      e alla fine chiederle “scusa
      se ho lasciato le tue mani,
      ma io dovevo solo scrivere, scrivere
      e scrivere di me”…

       E ora la parola a voi. Vi chiedo di scegliere una delle lettere d’amore presentate tra l’1 e il 14 febbraio (ad eccezione della giornata di silenzio per la scomparsa di Wislawa Szymborska) o la lettera di cui abbiamo appena parlato. Basta un commento, un’emozione, un’impressione.

      I giveaway(s) in palio sono due:

      – primo classificato: la raccolta di lettere d’amore “Ti amo come l’hanno detto gli uomini famosi” di Ursula Doyle ( di cui abbiamo già parlato qui)

      – secondo classificato: gli orecchini Valentine’s Lollipop Earrings gentilmente offerti dalla mia cara The Italian Girlfriend ( il cui shop su etsy è semplicemente delizioso)…

      Le regole, come al solito, sono poche e semplici:

      – essere follower di Impressions chosen from another time su Blogger, Facebook o Twitter;
      – come al solito, il punto summenzionato è opzionale…what really matters are your impressions. Quindi passate da qui e commentate, criticate, emozionatevi, lasciate le vostre impressioni.
      Avete tempo fino al 20 maggio!

      Boa noite,

      Ophelinha

      NB: ho deciso di prolungare il giveway di qualche altro giorno..aspetto i vostri commenti!!!Share some love, leave your impressions! 🙂

      Posted in Frammenti di un discorso amoroso | 29 Comments | Tagged Antonio Tabucchi, Confessions of a Dangerous Mind, Fernando Pessoa, Giveaway, In the mood for love, Lettere d'amore, Literature and Beyond, Me myself and I, Nininho, Ophelinha
    • E ti direi anche che ti aspetto, anche se non si aspetta chi non può tornare.

      Posted at 11:50 pm03 by ophelinhap, on March 25, 2012

      E ti direi anche che ti aspetto, anche se non si aspetta chi non può tornare.
      E per addormentarmi penso che ti scriverei che non sapevo che il tempo non aspetta, davvero non lo sapevo, non si pensa mai che il tempo è fatto di gocce, e basta una goccia in più perché il liquido si sparga per terra e si allarghi a macchia e si perda.

      Antonio Tabucchi, Si Sta Facendo Sempre Più Tardi

      La smetta di frequentare il passato, cerchi di frequentare il futuro

      Antonio Tabucchi, Sostiene Pereira

      Sostiene Pereira di averlo conosciuto in un giorno d’estate. Una magnifica giornata d’estate, soleggiata e ventilata, e Lisbona sfavillava. Pare che Pereira stesse in redazione, non sapeva che fare, il direttore era in ferie, lui si trovava nell’imbarazzo di metter su la pagina culturale, perché il “Lisboa” aveva ormai una pagina culturale, e l’avevano affidata a lui. E lui, Pereira, rifletteva sulla morte. Quel bel giorno d’estate, con la brezza atlantica che accarezzava le cime degli alberi e il sole che splendeva, e con una città che scintillava, letteralmente scintillava sotto la sua finestra, e un azzurro, un azzurro mai visto, sostiene Pereira, di un nitore che quasi feriva gli occhi, lui si mise a pensare alla morte. Perché? Questo a Pereira è impossibile dirlo.

      Quanto non vorrei aver letto i giornali, tardi, con un’emicrania battente, e aver letto della scomparsa di Tabucchi.

      Ho letto Sostiene Pereira per la prima volta tanti anni fa. La prima cosa che mi ha colpito del romanzo sono state le parole di Lalla Romano, sul retro della mia edizione economica: “E’ possibile che un libro, un romanzo metta a disagio perchè sembra troppo bello?Troppo, non perchè sospetto di voler piacere, ma proprio nel senso che si fa amare senza riserve”.
      Incuriosita, ho cominciato a leggere. Ed è stato amore a prima lettura. Attraverso Tabucchi e il suo Requiem ho scoperto Pessoa, ho scoperto le sue Lettere alla fidanzata, ho scoperto Ophelinha.
      E’ iniziato così il mio amore per il Portogallo e la letteratura portoghese.
      Un po’ di mesi fa, ho trovato due suoi articoli negli archivi storici del Corriere: Pessoa in ginocchio da Ofelia e Amori veri e amori ridicoli. E mi sono tornate in mente tante cose: i pomeriggi bui in biblioteca, il viaggio a Lisbona accuratamente pianificato, quella storia d’amore che mi aveva tanto colpito. Avevo bisogno di scrivere. Avevo bisogno di evadere. Ed è nata Ophelinha, e la mia Neverland è diventata una Lisbona assolata e decadente, infestata dal fantasma di un ometto pallido con gli occhiali rotondi ed il cappello nero a falde. Un ometto dalla personalità a dir poco ingombrante, dato che, a seconda dei giorni e dell’uomore, poteva essere il dottor Reis, o il poeta bucolico Alberto Caeiro, o scrivere di desassossego nelle vesti del modesto impiegato Bernardo Soares.
      Gli scrittori continuano a vivere finchè li leggiamo, ha dichiarato Ines Pedrosa, direttrice della Fondazione Pessoa, in occasione della scomparsa dello scrittore italiano che tanto amava il Portogallo.
      Mi sembra la dichiarazione d’amore più bella tra le tante – a volte troppe – parole scritte oggi.


      “le ragioni del cuore sono le più importanti,bisogna sempre seguire le ragioni del cuore, questo i dieci comandamenti non lo dicono, ma glielo dico io, comunque bisogna stare con gli occhi aperti,
      nonostante tutto, cuore, sì, sono d’accordo, ma anche gli occhi bene aperti…”
      (Pereira a Monteiro Rossi, Sostiene Pereira) 

      Posted in Frammenti di un discorso amoroso, Letteratura e dintorni, Ophelinha scrive | 2 Comments | Tagged Antonio Tabucchi, Fernando Pessoa, Literature and Beyond, Nininho, Si sta facendo sempre più tardi
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