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  • Category: Il Calendario dell’Avvento Letterario

    • Il Calendario dell’Avvento letterario #11: la poesia di Natale, da grande

      Posted at 11:50 am12 by ophelinhap, on December 11, 2018

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      Questa casella è scritta e aperta da Laura di Il tè tostato

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      In questi giorni i bambini a scuola preparano le letterine per i genitori, così almeno succedeva a me, la mattina di Natale la mettevo al centro della tavola della colazione, tra la candela e il panettone artigianale e le tazze bianche e le pigne imbiancate di neve spray decorate quando ero all’asilo e riproposte a ogni 25 dicembre. Anche quest’anno, se tutto va bene. Insieme alla lettera si preparava la poesia, recitata in piedi vicino all’albero acceso, o nascosta tra le labbra quando mi si chiedeva di ripeterla davanti a tutta la famiglia. La poesia del Natale è qualcosa che vola nell’aria dal 1 dicembre ed è in ogni decorazione sistemata con cura, in ogni lucina accesa fin dalla mattina, in ogni sorriso allegro, negli auguri tra estranei, nella malinconia dell’anno che se ne va, nel bisogno di quiete che l’inverno regala, nella tristezza dei periodi di gioia, in ogni pensiero intimo e spesso nel torpore della calma.

      Crescendo le poesie sono diventate altre dalle Tre castagne senza magagne offerte in dono a Gesù: quando ero al liceo sono arrivata a conoscere quella che non avrei mai lasciato. Giuseppe Ungaretti il 26 dicembre del 1916, a Napoli, scrive un componimento e lo intitola proprio così, Natale, dentro non c’è luce, non c’è augurio, non c’è nulla di argentino, c’è però un abbraccio assoluto rivolto a se stesso e nel quale mi immergo anche io. Tornava a casa della Prima Guerra Mondiale, era in licenza, era stanco, era lontano dalla festa nello spirito e nella vita, aveva negli occhi le bocche digrignate dei suoi compagni, le pietraie del Carso, il dolore totale, e del Natale sceglie la quiete, non la festa, non i gomitoli di strade ma il focolare. In poche parole Ungaretti invoca solitudine e tepore, gravato dall’insopportabile orrore della guerra che è trasformata in stanchezza annientante, e desidera essere dimenticato come un oggetto, stare solo protetto dalle mura di una casa, e finché non è ora di tornare in trincea, al freddo, resta a bearsi del caldo buono per quel breve tempo che descrive così:

      Natale

      Non ho voglia

      di tuffarmi

      in un gomitolo

      di strade

       

      Ho tanta

      stanchezza

      sulle spalle

       

      Lasciatemi così

      come una

      cosa

      posata

      in un

      angolo

      e dimenticata

       

      Qui

      non si sente

      altro

      che il caldo buono

       

      Sto

      con le quattro

      capriole

      di fumo

      del focolare

       

      Bambini che non scrivono lettere e non imparano poesie, uomini al freddo con l’orrore negli occhi, pochi e incerti attimi di pace, tutto esiste ancora. La guerra c’è sempre, il Natale anche, che ci si sia del caldo buono è il mio augurio di bambina cresciuta che reciterà accanto all’albero acceso, quest’anno.

       

      Quattordici giorni a Natale.

       

       

      Posted in Il Calendario dell'Avvento Letterario | 1 Comment | Tagged #AvventoLetterario, Giuseppe Ungaretti, Il Calendario dell'Avvento Letterario, Il tè tostato, Laura Ganzetti
    • Il Calendario dell’Avvento letterario 2018 #10: decorazioni di Natale da creare con i libri

      Posted at 11:50 am12 by ophelinhap, on December 10, 2018

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      Questa casella è scritta e aperta da Serena di Follow the Books – racconti di una lettrice in viaggio

      stelline

      Amo il Natale, amo i libri e amo questo mitico Calendario dell’Avvento letterario, che ormai da anni seguo e attendo con gran trepidazione, come una vera e propria tradizione natalizia.

      Mentre cercavo qualcosa di cui scrivere per la mia cartellina, rigorosamente canticchiando carole natalizie e indossando calzini con le renne ricamate sopra, mi sono detta che sarebbe stato molto carino scrivere di Natale e libri, in un modo un po’ più pratico. E cioè pensando a delle decorazioni di Natale da creare direttamente con i libri, per un Natale da vera booklover.

      decorazioni

      Iniziamo subito con un paio di dichiarazione forti: sì i libri sono preziosi, no i libri non si distruggono senza motivo. Ok. Ma parliamoci chiaro: esistono anche libri brutti. Orrende edizioni, pessime traduzioni, agghiaccianti copertine. Di alcuni libri, diciamoci la verità, non sappiamo che farcene. Regalarli? Non è proprio lo scopo principale di “fare un regalo” quello di liberarsi di qualcosa che non vogliamo noi per primi. Conservarli per poi buttarli alla prima occasione? È un peccato. Possiamo donarli in biblioteca, portarli ai mercatini, oppure… Possiamo donargli nuova vita.

      alberi

      Per esempio potremmo creare delle deliziose decorazioni di Natale con i libri! Ve lo immaginate un albero di Natale letterario? E poi segnaposti per la tavola che possono essere conservati e riutilizzati come segnalibri, decorazioni e ghirlande da appendere per rendere l’atmosfera ancora più magica.

      Alcune idee sono davvero semplici da realizzare. Per esempio: prendiamo un palloncino, della colla vinilica, ritagliamo accuratamente delle pagine dal libro che abbiamo scelto. Spennelliamo abbondante colla sulle pagine e sui ritagli, e incolliamoli al palloncino. La colla va applicata sia sotto che sopra i fogli. Ricopriamo quasi del tutto il palloncino, lasciando fuori la parte con il nodino. Lasciamo asciugare per una notte. Quando la colla si sarà indurita con uno spillo buchiamo il palloncino: quel che ci rimane è la nostra pallina di carta. Possiamo usare brillantini, nastrini colorati, fiocchetti di neve in feltro, spago grezzo… possiamo liberare la fantasia. La pallina sarà imperfetta, ma unica. Creata da noi e a partire da un oggetto che amiamo tanto: un libro.

      palline

      Allo stesso modo possiamo inventarci di tutto e di più, dipende dalla creatività che abbiamo e dal tempo a disposizione. Si possono creare con la carta addobbi per l’albero (stelline, ghirlande, fiocchi di neve); segnaposti da tavola, che possono essere poi donati agli invitati come segnalibri; decorazioni per la casa, come piccoli alberelli di carta da poggiare sui davanzali delle finestre; ghirlande letterarie per abbellire le nostre porte. Insomma, ci possiamo davvero sbizzarrire nel creare le decorazioni di Natale con i libri.

      Tra l’altro, se creiamo le nostre decorazioni con la carta evitiamo anche l’uso spropositato di plastica che si fa solitamente durante questi giorni di festa. Mi raccomando però, quando le riponiamo dobbiamo ricordarci di avene molta cura, altrimenti l’anno successivo saranno inutilizzabili: le decorazioni di carta sono davvero delicate.

      Oh, quasi dimenticavo: si potrebbe addirittura costruire un albero di Natale fatto con dei veri e propri libri. Però occhio alle lucine, eh! Che come dice la canzone “si accendono e brillano”, e vicino alla carta bisogna stare attenti e scegliere quelle giuste, altrimenti si accende qualcos’altro.

      Insomma, i libri sono un bene prezioso. Mai buttarli. Piuttosto regaliamoli, vendiamoli, riutilizziamoli. Portiamoli con noi sotto altre forme, perché sono veri e propri doni. Buon Natale letterario a tutti!

      albero di natale

      Posted in Il Calendario dell'Avvento Letterario | 3 Comments | Tagged #AvventoLetterario, bookblogger, Follow the Books, Il Calendario dell'Avvento Letterario, Natale, Serena Di Battista
    • Il Calendario dell’avvento letterario #9: di verità perfette, crepe e comunità

      Posted at 11:50 am12 by ophelinhap, on December 9, 2018

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      Questa casella è scritta e aperta da Debora di Critica letteraria

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      Quando Manuela mi ha proposto di partecipare al suo delizioso calendario dell’avvento letterario ho subito accettato con entusiasmo, felicissima di prendere parte ad un progetto che finora avevo sempre seguito da lettrice e più che lieta di avere un’ottima ragione per lanciarmi in una lunga riflessione su Natale, libri, tradizione. È quel periodo dell’anno che adoro, entro in modalità elfo con un anticipo imbarazzante e anno dopo anno mi coccolo con piccoli rituali e tradizioni che via via si arricchiscono di nuove abitudini: la maratona dei film a tema, le gite ai mercatini di Natale, la rilettura come ogni anno di A Christmas Carol di Dickens (rigorosamente sdraiata ai piedi dell’albero addobbato), le mille candele profumate che già da sole fanno atmosfera. Insomma, il più tradizionale mood natalizio ad accompagnarmi verso il 25 Dicembre. Ma se la leggerezza calviniana che mi contraddistingue non è mai venuta meno, neanche di fronte a quelle prove che certo non avrei voluto dover affrontare, non ancora, almeno, in questi ultimi anni è diventato necessario creare anche nuove tradizioni, per non perdere lo spirito del Natale e la gioia del periodo, il piacere di stare insieme alle persone che amo.

      I libri, le storie, ancora una volta sanno arrivare a noi quando più ne abbiamo bisogno, spingendoci ad osservare la realtà da un punto di vista differente, destabilizzarci, mettere in discussione le nostre certezze o scaldarci il cuore con un inaspettato messaggio di speranza. Chi mi conosce sa che ho un debole per la letteratura angloamericana e così quest’anno, sbirciando nella mia libreria per questo progetto – a rischio di non uscirne mai più, persa tra gli scaffali – e, lo ammetto, cercando tutt’altro, sono tre le storie, ognuna in qualche modo legata al Natale, che ho deciso di proporre per questo avvento letterario, un piccolissimo viaggio nella narrativa statunitense contemporanea, fra solitudini, crepe, nostalgia, senso di comunità, famiglia. E poi, come un lampo di luce abbagliante, un sentimento di speranza e possibilità, il regalo più bello di una scrittrice che amo profondamente per la grazia con cui sa guardare il mondo.

      Poche cose urlano a gran voce “Natale” come le immagini di New York innevata, le strade piene di luci, i negozi addobbati; è anche lo sguardo curioso di chi arrivato per la prima volta in città ne resta abbagliato ma ne intravede anche le crepe dietro la facciata:

      La neve avvolgeva come un drappo i cespugli, disegnando con cura tutti i rami di tutti gli alberi – una linea di bianco per ogni linea di nero. Il Madison Square Garden, enorme e fresco di inaugurazione, mi sembrava etereo e fiabesco, e la Diana di Saint Gaudens, di cui mi aveva parlato Mrs Henshawe, si stagliava libera e spavalda nell’aria grigia. Indugiai a lungo accanto alla fontana intermittente. Il suo spruzzo regolare dava voce alla piazza. Si alzava e ricadeva con un profondo, allegro sospiro, e aveva un suono musicale, che pareva uscire dalla gola della primavera. […] Mi sembrava che lì, l’inverno non portasse desolazione; era domato, come un orso polare tenuto al guinzaglio da una bella signora.

      Ogni immagine, ogni parola, nel breve romanzo “Il mio nemico mortale”, di Willa Cather, è perfettamente calibrata e lì, appena dietro l’apparenza, oltre lo scintillio delle luci di New York immersa nell’atmosfera natalizia, si avverte il peso di un matrimonio che non è all’altezza di quanto ci si aspettava. Myra, bellissima e brillante, che rinuncia all’agio e alla famiglia per fuggire con l’uomo che ama, e tutto quel che ne riceve in cambio è la realtà, soltanto questa. Non basta il Natale, l’euforia forzata, le luci, la città, a nascondere del tutto gli angoli bui di quel matrimonio, delusioni e meschinità quotidiane, le incomprensioni, le difficoltà. Quelle crepe lungo tutta la facciata, il senso di dramma imminente che pervade il romanzo-racconto in cui i silenzi, gli spazi bianchi, le porte socchiuse, pesano più delle parole sulla pagina.

      Sull’importanza delle parole e sulle barriere, linguistiche o fisiche, un paio di anni fa Cristina Henrìquez ha pubblicato un libro molto bello – da cui si è sviluppato anche un progetto Tumblr correlato – , “Anche noi l’America”: una storia di speranza, difficoltà e sogni; di barriere da abbattere appunto, di nostalgia bruciante per quello che abbiamo perso o dovuto lasciare indietro, di desiderio di appartenenza e luoghi, persone, da poter chiamare casa. Henrìquez prova a dare voce a quegli Unknown Americans, immigrati o cittadini di seconda generazione e la difficile strada verso l’integrazione. Per molti di loro, per gli adulti soprattutto, è come essere sospesi fra due vite, tra il ricordo di ciò che era prima, di casa, famiglia, tradizioni e luoghi conosciuti, e ciò che è adesso la quotidianità, un Paese che troppo spesso guarda con diffidenza e ragiona per stereotipi, la solitudine e la nostalgia che si fa ancora più lacerante nel periodo di Natale.

      Eppure, in quella desolata e fredda cittadina del Delaware, tra problemi famigliari ed economici che difficilmente potranno essere superati, lì, in quel condominio fatiscente, nel giorno di Natale si crea la comunità: si apre la porta di casa Toro, tutti i vicini chiamati a riunirsi, festeggiare, mettere da parte per un momento differenze e problemi e ritrovarsi come comunità. Come famiglia. Messico, Panama, Nicaragua, Paraguay, Venezuela, sono tutti lì, in quell’appartamento riscaldato dalle risate, dalle voci, dal desiderio di sentirsi vicini e ritrovare un pezzetto di casa:

      […] con tanta gente stipata nel nostro appartamento, cominciammo a sentire un po’ di più lo spirito del Natale. Tutti rabbrividivano e ridevano e bevevano e parlavano. Quando finimmo il caffè mia madre preparò una pentola di cacao bollente mischiando un po’ di panna intera e delle tavolette di cioccolato che aveva trovato in fondo a un pensile e aveva squagliato sui fornelli. Il señor Rivera domandò se aveva dei bastoncini di cannella da mettere nelle tazze per fare la cioccolata alla messicana e mia madre recuperò un vasetto di cannella in polvere da un altro pensile e l’aggiunse alla pentola.

       Infine, c’è un libro, ma forse per meglio dire una scrittrice, che più di ogni altra riesce a colmare di grazia e speranza ogni pagina, anche le più dure, con il dono di una scrittura perfetta, ma soprattutto con quello ancora più straordinario di riuscire a vedere quegli “attimi di grazia” nel caos della vita. Ogni pagina che leggo – e rileggo, ancora e ancora – di Elizabeth Strout riesce in qualche modo a riappacificarmi con la scrittura e con il mondo: avevo amato “Olive Kitteridge” e “Mi chiamo Lucy Barton”, ma è nelle pagine finali di “Tutto è possibile” – un libro arrivato, come le cose migliori, esattamente nel momento in cui più ne avevo bisogno – che ho capito davvero a cosa Strout si riferisse, a quella verità perfetta e meravigliosa.

      In quella storia che chiude il romanzo-racconto della piccola comunità di Amgash, Illinois, quel microcosmo di umanità e imperfezioni, ci sono lampi di bellezza abbaglianti. La vigilia di Natale, la recita a cui ogni anno la famiglia di Abel non manca di assistere, i piccoli significativi dettagli rivelatori che qualcosa non va come ci si aspetterebbe nella vita ordinata dei Blaine: piccole sfumature, un sorriso tirato, un tono sbrigativo, il battito del cuore un po’ troppo accelerato, il buio che improvvisamente cala nella sala a metà spettacolo e gli istanti di panico. Lì, in quella notte di Natale, il meccanismo si inceppa, ma è anche l’occasione per riflettere davvero sul tempo, su ciò che è stato, sulle parti che recitiamo. Sulle solitudini che ci portiamo dentro. E che lì, in un teatro rimasto vuoto, creano appunto quell’attimo di grazia e di umana connessione. Perché si, non smetterò mai di credere che tutto è davvero possibile.

      Posted in Il Calendario dell'Avvento Letterario | 2 Comments | Tagged A Christmas Carol, Anche noi l'America, Charles Dickens, Cristina Henríquez, Critica letteraria, Elizabeth Strout, Il mio nemico mortale, Lucy Barton, Olive Kitteridge, Willa Cather
    • Il Calendario dell’Avvento letterario #8: #vestitiperilibri – Dickens in verde e rosso

      Posted at 11:50 am12 by ophelinhap, on December 8, 2018

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      Questa casella è scritta e aperta da Marina di Interno storie

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      Se si pensa al Natale nella sua versione più culturale vengono subito in mente i classici della letteratura anglosassone moderna, il cui iniziatore è proprio Charles Dickens.

      Nell’Inghilterra vittoriana prende corpo la celebrazione del Natale, grazie soprattutto al recupero antropologico ad opera di Thomas K. Hervey nel suo The Book of Christmas  (1837), dove ha indagato il passato più lontano per riportare a galla le consuetudini medievali, periodo in cui la festività ha assunto un aspetto importante. Perché dunque questa riappropriazione? Nei secoli avvenire è caduta nell’oblio, nonostante sia stata ricordata con nostalgia da Chaucer e Shakespeare. Si parla dunque di una riscoperta.

      Dickens è il vero autore moderno del Natale, scrive Adam Gopnik nell’Invenzione dell’inverno (Guanda), ha imparato la lezione di Hervey e ha catapultato questa festività nell’atmosfera magica della fiaba, corredando la sua bibliografia di un ciclo di libri destinato al 25 dicembre.

      Nel primo romanzo, Il circolo Pickwick, il «Natale è celebrato pattinando sul ghiaccio, mangiando e festeggiando nell’allegria generale».

      Da questo momento in poi diverrà una festa secolarizzata.

      Piccola parentesi frivola.

      #Vestitiperilibri è una rubrica che curo su Instagram, dedicata agli abiti e ai libri: accosta titoli per cromie e, a volte citazioni, con il guardaroba. E in questa occasione si veste delle due fiabe dickensiane, Il Grillo del Focolare e A Christmas Carol, entrambe curate e tradotte da Enrico De Luca per Caravaggio editore, comprese di note esplicative.

      I due colori per eccellenza del Natale, rosso e verde, giocano per opposizioni e piccole suggestioni letterarie.

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      A Christmas Carol rappresenta l’idea del Natale svincolato dalla religione: il dualismo tra capitalismo e carità, ricordi e cinismo, paternalismo e individualismo. Gli ingredienti per fare di Scrooge il rappresentante del materialismo ci sono tutti, ma fortunatamente ha la possibilità di redimersi.

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      Il Grillo del Focolare è una fiaba domestica, in cui equivoci, spiriti e fate hanno un ruolo non secondario. Anche qui troviamo uno Scrooge, Tackleton, ma le atmosfere e la posta in gioco sono differenti rispetto alla sua opera più nota, nonostante ciò il calore umano ha il potere sciogliere i cuori più freddi.

      Posted in Il Calendario dell'Avvento Letterario | 0 Comments | Tagged #AvventoLetterario, #vestitiperilibri, A Christmas Carol, Adam Gopnik, Caravaggio editore, Charles Dickens, Guanda, Il Calendario dell'Avvento Letterario, Il circolo Pickwick, Il grillo del focolare, interno storie, Invenzione dell’inverno, Marina Grillo, The Book of Christmas, Thomas K. Hervey, Un Canto di Natale, un Natale inglese
    • Il Calendario dell’Avvento letterario #7: canto della neve silenziosa

      Posted at 11:50 am12 by ophelinhap, on December 7, 2018

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      Questa casella è scritta e aperta da Alessandra di Una lettrice

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      “Molti, molti anni fa un tale mi disse che negare i propri sogni equivale a vendere la propria anima. Ero giovane allora e non sapevo che quelle parole avrebbero trovato un loro particolare posto dentro di me e che sarebbero rimaste mie per sempre, però ricordo di aver battuto le palpebre e aver scosso il capo annuendo come se quegli stessi movimenti mi spingessero ancor più dentro la verità. Ero pieno di sogni. E ancora sogno.”

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      “Canto della neve silenziosa” uscito nel 1986, è stato pubblicato in Italia nel 1989 da Feltrinelli e negli anni Novanta ottenne un ulteriore successo per la lettura che ne fece Alessandro Baricco. Per alcuni anni il libro è stato introvabile, grazie anche alle alterne fortune del suo autore, spesso messo al bando dalla critica. Il libro raccoglie quindici racconti scritti nel corso di vent’anni, tutti ambientati a New York, l’odiata-amata città natale nella quale Selby aveva ambientato il romanzo “Ultima fermata a Brooklyn“, considerato uno dei grandi romanzi americani.

      Protagonista dei racconti è Harry, un eroe dai mille volti del quale l’autore conserva solo il nome in racconti diversi per tono e taglio. Quindici racconti, forse non tutti ugualmente riusciti, nel complesso formano un insieme convincente: Selby racconta infatti la varia umanità metropolitana, quella degradata e borderline, e lo fa con una prosa folgorante che amalgama parlato e flusso di coscienza.

      In particolare mi ha colpito, per il suo lirismo autentico, quello che dà il nome alla raccolta e, che, più di tutti incarna lo spirito del Natale. Nella solitudine e nella disperazione che attanagliano i personaggi Selby lascia filtrare un raggio di luce: è la possibilità di ristabilire, anche nel frenetico e per certi versi feroce scenario metropolitano, un rapporto positivo tra la propria interiorità, per quanto ferita, e il mondo circostante. Lo spirito del Natale è il momento in cui il canto della neve, apre uno spiraglio di speranza nel cuore, nonostante tutto.

      Nel racconto del Canto della neve silenziosa, Selby suggerisce che anche New York può nascondere attimi di poesia.

      Harry si è trasferito in una zona residenziale del Connecticut, ha comprato una casa di proprietà, è depresso e l’angoscia non lo fa dormire la notte. Ha imboccato un’altra strada, ha provato a cambiare vita; i ragazzi hanno più spazio per giocare e sua moglie è contenta della cucina nuova. Qual è il problema, allora? «Esistevano per caso dei tipi di morte di cui lui non sapeva niente?». È una giornata di marzo Harry, dopo essere tornato dall’ospedale a causa di un esaurimento nervoso, non è in grado di lavorare. Sdraiato nel suo letto, sa che la sua famiglia è al piano inferiore, impegnata a fare quelle cose che fanno le famiglie la mattina: la moglie prepara la colazione, il figlio dimentica lo zaino. Ma la sua famiglia è diversa: tutti cercano di non fare rumore per non svegliarlo. L’unica cosa che in questo periodo di convalescenza può fare è una passeggiata. Harry si incammina per le vie di New York.

      “Quando giunse al punto stabilito si fermò. Aveva percorso un miglio. Bisognava tornare indietro. Guardò le case circostanti, quelle che da lontano sembravano quasi prive di forma, fuse com’erano nell’aria luminosa; poi guardò gli alberi e il loro grigiore innevato scomparve nella luce. Si girò e fece il primo lento passo del ritorno. Ripercorse le proprie impronte, le uniche nella neve. Sembravano piccole e anche se erano le uniche non sembravano sole, abbandonate. Sorrise all’idea delle impronte sole, come se le impronte avessero una vita propria o anche potessero riflettere quella di chi le aveva lasciate. Forse… chissà. Andava dunque, e si teneva compagnia.

      Svoltò un altro angolo e davanti gli si posò un lungo tratto bianco piatto e friabile, interrotto sempre e solo dalle sue impronte che s’allontanavano e sembravano scomparire nella distanza bianco/grigio. Non sembrava possibile, eppure ora l’aria era ancora più dolce e serena. Continuò a procedere lungo le proprie impronte con l’impressione di poter camminare in eterno, la sensazione che fin quando la neve silenziosa continuava a cadere lui avrebbe potuto camminare lasciandosi dietro tutte le preoccupazioni e le ansie, tutti gli errori del passato e del futuro. Più nulla lo avrebbe preoccupato o perseguitato o riempito di tremiti di paura: la buia notte dell’anima era ormai finita. Sarebbero rimasti solo lui e la soffice neve silenziosa, e ogni fiocco avrebbe portato, nella propria vita una particolare gioia…mentre la dolce e silenziosa neve continuava a cadere dolcissima e gioiosissima…

      Sì, e amorosissima… amorosissima… Avrebbe potuto camminare in eterno. Gli sarebbe stato facile continuare a camminare mentre tutti i pensieri di morte sarebbero svaniti, assorbiti dalla neve silenziosa.

      Ben presto pur tendendo l’orecchio non sentì più neppure lo scricchiolio dei passi nella neve e la cosa non lo sorprese, quasi che il corpo gli fosse diventato tanto leggero da non lasciare neppure un’impronta. Raggiunse la sua strada ma invece di svoltarvi continuò dritto: qualcosa lo attirava in fondo a una strada nella quale non era mai stato prima, una strada completamente sconosciuta, completamente diversa da tutte le altre nei paraggi. E mentre andava continuava a sentirsi sempre più leggero, come se la scintilla nella neve silenziosa, e quella che illuminava l’aria, gli scoccasse dentro. Sapeva di avere gli occhi in fiamme, pieni di quella luce. Sapeva d’irradiare quella luce attraverso gli abiti. E si sentiva le gambe sempre più leggere e quando abbassò lo sguardo vide che non c’erano impronte. Il soffice manto di neve steso sulla strada era ancora immacolato e fin dove vedeva lui non c’erano impronte e allora tutto il suo essere si riempì d’indicibile gioia e allora la sentì, agli inizi molto debolmente e tuttavia distintamente.

      Sentì la neve cadere lenta nell’aria, ogni fiocco con un suono proprio e distinto e non ostacolato nella caduta così che i suoni di tutti quei fiocchi non mescolavano né stridevano ma si fondevano invece in un canto, quello della neve, che pochi avevano udito.

      E, pur restando dolce, quel canto diventava sempre più forte, diventava una cosa sola con la luce… e alla fine non ci furono più piedi che lasciassero impronte né corpo né occhi che brillassero ma soltanto luce e suono e gioia. Niente passato, niente futuro, niente, neppure un presente, unicamente la nuova gioia che non conteneva ricordi di angustie e lotte e sofferenze… unicamente la nuova gioia… e capì che sarebbe potuto restare lì per sempre.

      Estratto da Canto della neve silenziosa, Hubert Selby Jr., 1986, Feltrinelli

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      Il racconto termina così, con una gioia che gli alleggerisce l’anima, finalmente sollevata dal peso del vivere, dalla miseria, dall’angoscia, dalla solitudine. Selby per tutta la vita ebbe problemi di eroina e depressione, ma non si arrese mai: voglio pensare che ciò che gli diede coraggio nelle notti dell’anima furono momenti come questo, che ricordano la gioia di essere al mondo.

      L’Autore: Hubert Selby Jr. (New York 1928-2004) è stato vicino alla beat generation e ha raggiunto la notorietà internazionale nel 1964 con Ultima fermata a Brooklyn (pubblicato da Feltrinelli nel 1966) che ha suscitato le violenze reazionarie di molti censori. Autore di culto e ispiratore di molti scrittori, ha collaborato alla sceneggiatura del film Requiem for a Dream di Darren Aronofsky, tratto da una sua opera. Anche Ultima fermata a Brooklyn è diventato nel 1989 un film di Uli Edel, lo stesso regista di Christiane F. I ragazzi dello zoo di Berlino. Delle sue opere successivamente pubblicate da Feltrinelli sono usciti il romanzo La stanza (1966) e la raccolta di racconti Canto della neve silenziosa (1989). È morto nell’aprile del 2004. Di lui ha detto Alessandro Baricco: “Selby, uno che quando lo leggi non scrivi più come prima.”

       

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    • Il Calendario dell’Avvento letterario 2018 #6: partita a tombola con Erri de Luca

      Posted at 11:50 am12 by ophelinhap, on December 6, 2018

      Questa casella è scritta e aperta da Francesca de Gli amabili libri

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      Un fratello e una sorella, la notte della vigilia di Natale in una Napoli che si prepara alla mezzanotte sparando i fuochi d’artificio in grande stile. Ne La doppia vita dei numeri di Erri De Luca, Feltrinelli, una partita a tombola tra i due con l’aggiunta di due invitati speciali, i genitori che non sono più in vita da un po’, ma che riusciranno ad esser presenti e ogni numero estratto sarà il pretesto per ricordare un aneddoto.

      Il Natale a Napoli si sa, è ricco di tradizioni che si tramandano di famiglia in famiglia. Il cenone da infinite portate con le donne che gelosamente conservano i trucchi per le proprie ricette, l’arte del presepe che vuoi mettere con l’albero di Natale? Ma non scherziamo proprio, e i giochi da fare per arrivare allo scoccare della mezzanotte delle due vigilie per poi andare tutti insieme in chiesa. E proprio per quanto riguarda i giochi quello della tombola è il più caratteristico del Natale. Probabilmente al nord preferiscono il mercante in fiera (che per averlo proposto un anno a momenti mi sbattevano educatamente fuori), ma qui al sud si gioca a tombola e non provate a proporre altro. Quando ero più piccola si iniziava a giocare dal giorno dell’Immacolata (8 dicembre) per finire il giorno della befana, quando ormai di natalizio è rimasto bene poco e la nostalgia per le feste già passate si inizia a sentire. Lo sapevate che questo gioco tipicamente napoletano è nato a Genova?

      Ebbene sì, nacque nella città ligure nel 1539 per arrivare a Napoli un secolo e mezzo dopo. Nel 1734 Carlo III di Borbone voleva a tutti i costi ufficializzare il gioco del lotto in quanto essendo molto proficuo faceva bene alle casse del regno. Il frate domenicano Gregorio Maria Rocco non poteva tollerare un gioco del genere per i suoi fedeli. Il re ebbe la meglio nella disputa promettendo che nella settimana di Natale il gioco si sarebbe fermato per fare in modo che i cittadini non si distraessero e continuassero a volgere i loro pensieri unicamente nelle preghiere. I napoletani però, si sa, sono conosciuti per la loro famosa arte d’arrangiarsi e pensarono che se non potevano andare loro a giocare al lotto sarebbe stato il lotto ad andare nelle loro case, mettendo a punto un sistema di gioco che è quello che tutt’oggi conosciamo. I novanta numeri vennero messi nei panarielli di vimini e furono creati dei fogli con sopra i numeri. Il nome tombola deriva proprio dalla forma cilindrica del pezzo di legno dove è impresso il numero.

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      LEI: Allora, lo facciamo uscire questo primo estratto? Li stai consumando i numeri là dentro.

      LUI: 31! Il padrone di casa. 

      Ogni numero corrisponde ad un evento, una persona, un oggetto e da qui la Smorfia, chiamata anche Cabala. L’origine del termine smorfia è la collegare al dio greco Morfeo (non a caso si utilizza per interpretare i sogni e trovare i numeri da giocare al lotto).

       

       

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    • Il Calendario dell’Avvento letterario #5: Tutte le ragazze avanti!

      Posted at 11:50 am12 by ophelinhap, on December 5, 2018

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      Questa casella è stata scritta e aperta da Federica de Il lunedì dei libri

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      Ci sono libri che, quando arrivano in libreria, smuovono dentro di noi il desiderio assoluto di leggerli, se non altro per saperne di più sull’argomento in questione. A me questa cosa è recentemente con Tutte le ragazze avanti!, una raccolta di racconti, anzi: una raccolta di storie vere di autrici che si sono raccontate rispondendo alla domanda Cosa significasse per loro essere femministe oggi.

      Il titolo è ripreso dall’invito gridato con cui Kathleen Hanna apriva i concerti delle Bikini Kill, invitava tutte, ma proprio tutte le ragazze presenti a farsi avanti nella folla, fin sotto al palco. Un invito all’inclusione, alla condivisione, per farsi sentire in mondo come quello musicale, in cui le donne sono ancora poco considerate.

      Ho scelto di parlarvi di questo libro, da ospite del Calendario dell’Avvento letterario di Manuela, perché penso che sia da leggere, regalandoselo e regalandolo a chi si vuole per Natale, dato che siamo in tema. Potrebbe essere un modo per festeggiare questa ricorrenza in modo un po’ più femminista, appunto, non pensando solo alle tradizionali differenze che troviamo tra maschile e femminile

      Proprio io, che in ventisette abbondanti anni di vita, credevo di sentirmi né troppo vicina né troppo lontana a questi temi, all’improvviso ho preso coraggio e ho detto: anch’io ho una voce in merito, anche a me interessa, fammi leggere cosa ne scrive chi ne sa più di me. O, meglio, chi ha capito molto prima di me di essere femminista.

      Però, a pensarci bene, forse sono sempre stata femminista, solo non lo sapevo. Ho sicuramente attraversato il mio periodo da ribelle e quello da maschiaccio, quando ho deciso che il rosa cominciava a farmi schifo. Poi il Natale… parliamo un po’ di come ho vissuto male il Natale tipo dai quattro agli otto anni? Babbo Natale mi incuteva terrore, forse per colpa di uno di quei giocattoli che aveva la sua faccia e camminava cantando Jingle bells in un modo metallico che a me sembrava bruttissimo e piangevo disperata. Questo era comunque il fatto meno grave. Perché quello che proprio non mi andava giù, e ovviamente l’ho razionalizzato solo anni e anni dopo, era che non capivo perché l’importanza dovesse essere data a livello mondiale solo a Babbo Natale e non a Mamma Natale, per dire. Per me Mamma Natale sembrava più importante del vecchio con cappello rosso e la barba che non finiva più. Credo di essermi spinta a pensare che in un mondo più giusto Mamma Natale sarebbe riuscita a prendere il posto del vecchio, ma non viviamo in quel mondo e in questo sembra che le le cose degne di nota debbano farle solo i maschi. Niente di più sbagliato.

      Pur avendo questi piccoli e buoni pensieri fin da piccola, purtroppo, non avevo una coscienza femminista ben chiara nella mia testa, quindi arrivo un po’ tardi. Per fortuna poi è successo che io Tutte le ragazze avanti!, questo libretto tutto colorato, edito da add editore e con la curatela di Giusi Marchetta, l’ho letto e mi sono sentita molto, ma molto più vicina a tutte le donne che lo hanno scritto. A partire dalla prefazione di Giusi Marchetta che indirizza il lettore (generico, si tratta di una raccolta che può, anzi che dovrebbe essere letta proprio da tutti, se non altro per evitare quei bruschi scollamenti dalla realtà che non ci fanno bene come esseri umani) verso i temi del libro, ho capito che da Tutte le ragazze avanti! avrei solo imparato.

      Non ero mai stata davvero “femminista” perché non ero in grado di capire quanto le parole avessero inventato il mondo in cui vivevo; adesso potevo esserlo perché di quel mondo finalmente vedevo quegli aspetti ingiusti e crudeli che poteva essere cambiati.

      (…)

      Se essere femminista, come io credo significa battersi per un mondo più giusto, non può che essere la definizione di chi include nella sua battaglia le cosiddette minoranze.

      (…)

      Mi piacerebbe che questi interventi fossero per te delle piccole esplosioni ma che fossi tu la voce che manca perché il femminismo di cui parliamo qui non è un monologo ma una discussione aperta a tutti e a tutte.

      da Essere femminista, la prefazione alla raccolta di racconti a cura di Giusi Marchetta

       Al centro di questi undici racconti a firma di Marzia D’Amico, Giulia Gianni, Giulia Perona, Giulia Cavaliere, Maria Marchese, Lucia Brandoli, Marta Corato, Marina Pierri, Claudia Durastanti, Giulia Blasi e Giulia Sagramola troviamo un mondo e anche di più: la percezione di noi stesse in quanto donne, libere e pensanti, troppo spesso vessate e subordinate o, semplicemente screditate. Ci si sente meno sole leggendo Tutte le ragazze avanti! ed è molto bello. In questo periodo, poi, in cui l’opinione pubblica ha finalmente preso a dare spazio alle storie nate da movimenti come il #MeToo e #quellavoltache post scandalo Weinstein possiamo dire che sia necessario.

      Ora, proprio perché il femminismo è fatto da persone e ognuna di queste ha una sua storia, ci tengo a lasciarvi piccole citazioni dai loro racconti, in modo che potete conoscerle anche voi più da vicino.

      Per Marzia D’Amico, che apre la raccolta, il femminismo è una cosa bellissima che tutti dovremmo conoscere:

       Non volevo essere una femmina come le altre. Volevo essere una femmina come gli altri.

      (…)

      Rifiutare il femminismo vuol dire decidere che si è comodi nella propria posizione, a discapito di altri.

      da Una cosa bellissima che dovreste conoscere, Marzia D’Amico

       Giulia Gianni, invece, ci catapulta nel mondo della sua infanzia, in cui le principesse non le stavano poi così tanto bene: lei preferiva essere una guerriera.

      Insomma, qua c’era qualcosa che non andava bene per niente. Non per Giulia, almeno. Lei voleva essere padrona del suo destino, proprio come i principi o i cavalieri. E così, nella sua testa di bambina, fece la seconda equazione della sua infanzia: se i maschi erano più i forti e i più valorosi, allora anche lei sarebbe stata un maschio.

      (…)

      Non avevo bisogno di essere un maschio per essere padrona del mio destino perché, come donna, potevo fare qualunque cosa volessi. Come me ne sono accorta? Semplice. Perché lo sto facendo.

      da Storia di una bambina guerriera, Giulia Gianni

       Un’altra Giulia, che di cognome fa Perona e poi è una delle due Giulie di Senza rossetto (lo conoscete? Ascoltatelo, è uno dei pochissimi podcast che amo seguire), ci racconta di quel preciso momento in cui ha capito di essere femminista e ci racconta com’è bello portare avanti un progetto che c’entra, eccome se c’entra…

      Raccontare le donne e dare loro uno spazio pubblico, per me, allora, non significava essere femminista. Anzi, credo che all’epoca quella parola non mi sfiorasse neppure.

      (…)

      Essere femminista per me, per me, non è mai stato un dato di fatto. È stata una scoperta, crescendo, affrontando il mondo. Mi sono resa conto tardi di non leggere abbastanza autrici. Non che lo facessi per qualche forma di pregiudizio, ma perché non mi rendevo conto di quanto poco spazio avessero i libri scritti da donne nelle librerie, nelle classifiche, nella comunicazione.

      da Diventare grande senza rossetto, Giulia Perona

      Con il racconto di Giulia Cavaliere possiamo imparare o quantomeno ricordarcene, se li conosciamo già dei diversi gradi di maschilismo che sono presenti nella nostra società: in famiglia, sul lavoro, nel divertimento e anche nella musica, per anni sempre troppo stereotipata. Un punto di svolta, per Giulia, è stato David Bowie:

      In questo senso la figura di David Bowie è stata fondamentale per la mia apertura mentale rispetto al concetto di maschile e femminile, quando ho incontrato Ziggy Stardust la prima volta non avevo neppure compiuto 13 anni: ho imparato da lui che siamo tutti maschi e femmine, che abbiamo infinite anime intercambiabili, che siamo molte cose e soprattutto, finché siamo da queste parti, possiamo essere ciò che desideriamo.

      da Gradi di maschilismo, Giulia Cavaliere

      La storia raccontata da Lucia Brandoli, invece, la sua storia è piena di libertà: di scelta, libertà di vivere come si vuole, quella libertà di intendere anche la letteratura come si vuole, lontano da etichette e pregiudizi di sorta:Quando ci sentiamo minacciati ciascuno punta la giugulare come può, e un uomo insicuro ha un lungo repertorio di pregiudizi!

      (…)

      La domanda che però mi faccio è: le scrittrici che scrivono come uomini, che si sono adattate a scrivere come uomini, a quanto hanno dovuto rinunciare di sé stesse?

       da La nostra storia è la chiave, Lucia Brandoli

      Marta Corato si è avvinata giovanissima al femminismo grazie alla rete: ha studiato (soprattutto da fonti straniere), approfondito il tema, e poi, sempre online, ha co-fondato Soft Revolution. Col suo racconto in Tutte le ragazze avanti! ci regala una testimonianza legata alla bodyposivity che, per me, è stata importantissima da leggere.

      Come ho già detto, il mio femminismo è nato soprattutto da internet: Anche oggi le persone che mi ispirano e mi stimolano sono per lo più persone che lavorano nel digitale. Mi vergogno un po’ a dirlo, ma per me la letteratura femminista classica è venuta dopo.

      da Mai darsi una calmata, Marta Corato

      Marina Pierri, in Tutte le ragazze avanti!, racconta sì del suo essere femminista, ma poi (un po’ per passione, un po’ perché è il suo lavoro) si sposta a descriverci molto bene quei ruoli femminili autentici che possiamo trovare in alcune serie tv, che siano conosciutissime in Italia o meno.

      Sono nata femminista da una madre femminista, ho assistito per buona parte della mia vita, direttamente, agli abusi professionali e umani che le sono stati fatti perché, non solo non era un maschio, ma era competente e capace di imporsi, sempre come interlocutrice. Si è difesa come una leonessa. Non rimprovero e non accuso chi non ha avuto la stessa prontezza, anzi.

      da Una voce per raccontarci, Marina Pierri

      Il primo approccio di Claudia Durastanti al femminismo è stato, come dire, di impatto. Ad aiutarla poi è arrivata la letteratura:

      È stato un addestramento graduale, ma molto preciso — essere femmina significava essere esposta a una violenza costante, e il femminismo era consapevolezza di questa violenza — finché a un certo punto ho iniziato a fare di testa mia e ho iniziato a leggere libri che mi spiegassero quel che mi diceva mia madre, ma meglio, e in maniera più sfumata.

      da Non di muri ma di onde, Claudia Durastanti

      La copertina di Tutte le ragazze avanti! è di Giulia Sagramola, così come il racconto a fumetti che troviamo all’interno. Ve ne lascio un assaggio:

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      da Le mie storie non sono neutre, Giulia Sagramola

       

      La raccolta si chiude con Giulia Blasi che ci ripete una cosa importantissima, da non dimenticare mai, perché sta alla base di tutto:

      È un valore, e io continuerò a chiamarlo femminismo finché ci sarà qualcuno là fuori che mi dice “questa è una cosa da femmina” per dire “questa è una cosa inferiore”.

      da Il mondo è già cambiato, Giulia Blasi

       Scoprire le storie contenute in Tutte le ragazze avanti! è stata una boccata di aria fresca. Serve, molto. E poi tra un po’ è davvero Natale, mi ripeto, scommetto che a più di qualcuno farà piacere trovarlo sotto l’albero, nella calza, al posto del latte e dei biscotti per il caro Babbo Natale (anche se io continuo a preferirgli Mamma Natale, sia chiaro). Insomma dove e per chi volete. Maschi e femmine che siate, leggetelo.

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    • Il Calendario dell’Avvento letterario #4: Merry Christmas, Sally Rooney

      Posted at 11:50 am12 by ophelinhap, on December 4, 2018

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      Questa casella è scritta e aperta da Nellie di Just another point

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      Caro Babbo Natale,

      ti scrivo perché quest’anno sono tornata in Irlanda e non solo una volta, addirittura due. È stato bello anche se decisamente malinconico perché era dal 2014 che non la respiravo quell’aria del Nord, che non ne volevo sapere di tornare a Dublino pur avendola amata dal profondo del cuore. Eppure mi sono armata di coraggio, sono andata in libreria e ho letto i primi due romanzi di Sally Rooney, classe 1991, e tanti capitoli che stanno facendo il giro del mondo e insomma, lo devo ammettere: è stato proprio meraviglioso.

      È stato dopo aver letto Parlarne tra amici (edito da Einaudi in Italia) e Normal People (edito da Faber & Faber) che ho deciso che per questo 25 dicembre voglio un regalo speciale, specialissimo, qualcosa che non si fa tutti gli anni ma ogni tanto sì. Perché anche quest’anno, caro Babbo Natale, la lista di libri che troverai qua sotto non è per me ma per una donna speciale che ha reso questi ultimi sei mesi più belli, più veri, più vissuti e che con i suoi libri mi ha fatto sentire meno sbagliata, meno diversa, più simile a tanti altri che sono soprattutto Frances e Marianne. Insomma, questi regali sono proprio per lei: Sally Rooney. E ovviamente, inutile dirlo, sono tutti romanzi che mi hanno scosso così tanto che sarebbe bello avere il suo parere.

      Il primo libro che vorrei regalarle è Dove mi trovo di Jhumpa Lahiri (edito da Guanda) perché secondo me Sally Rooney è una che se la fa spesso questa domanda, che se lo chiede in che parte del mondo sta vivendo, con quali sogni e aspettative. Il romanzo scritto in italiano dalla scrittrice statunitense, nata a Londra da genitori bengalesi, è il regalo per chi non smette mai di farsi domande, proprio come la mente che ha fatto nascere storie così complicate nella loro semplicità come sono quelle di Parlarne tra amici e Normal People. Eppure, è da quelle domande che Sally Rooney e Jhumpa Lahiri trovano una risposta, una collocazione più o meno precisa di dove al momento stanno vivendo.

      Un altro libro che vorrei regalare a Sally Rooney, poi, è La ragazza del convenience store di Sayaka Murata (edito Edizioni E/O) perché il Giappone è un mondo lontano, sì, ma quello di Keiko, la protagonista del libro, è soprattutto un mondo isolato nella propria mente, un continuo tentativo di raggiungere ciò che desidera che mi ricorda tanto Frances, la protagonista di Parlarne tra amici. Vorrei tanto sapere cosa ne penserebbe Sally Rooney di Keiko, del Giappone, del mondo all’interno dei konbini con tutte le vite che ci girano attorno da osservare 24 ore su 24, 7 giorni su 7.

      Per Sally Rooney, caro Babbo Natale, vorrei anche una copia di Manuale per ragazze  rivoluzionarie di Giulia Blasi (edito da Rizzoli). Perché il femminismo ci rende felici solo che le protagoniste dei libri di Sally Rooney a volte se lo dimenticano. Sia Frances che Marianne si fanno scorrere la vita addosso, cercano di non prendere una posizione e se lo fanno è quella più semplice e meno coraggiosa. Un atto, forse, che la scrittrice vuole portare in modo inconscio in entrambi i romanzi per trasmettere al meglio il desiderio di rivalsa che dovrebbe scorrere nelle vene, quella voglia di farsi sentire perché, questo è da dire, una scelta spesso c’è. Serve solo il coraggio di sceglierla e percorrerla.

      Ultimo, ma non per importanza, vorrei che sotto l’albero di Natale di Sally Rooney ci fosse anche una copia di Chesil Beach di Ian McEwan (edito da Einaudi) perché con questo scrittore ci avevo litigato, lo ammetto, ma con questo romanzo breve ci ho poi rifatto pace. Sarà che la protagonista della trasposizione cinematografica è Saoirse Ronan; sarà che Chesil Beach parla di una relazione, tutto quello che sta alla base di Normal People ma anche in Parlarne tra amici: quella spiaggia è entrata nel mio immaginario ed è il luogo dove vorrei andare a guardare le onde e dove Sally Rooney, ne sono quasi certa, si troverebbe davvero bene.

       Caro Babbo Natale, un’ultima cosa prima di andare: non ti dimenticare di lasciare insieme ai libri anche tanti dolci, che Sally Rooney un po’ di amarezza può anche dimenticarsela per un giorno. Ringraziala per tutte le storie che scrive, che ogni volta che vedo i suoi romanzi nella mia libreria è come agganciare lo sguardo a un’ancora di salvezza, qualcosa che è lì e ci ricorda perché siamo qui. Il potere della letteratura, non è forse così?

      Merry Christmas, Sally Rooney.

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    • Il Calendario dell’Avvento letterario 2018 #2: Neve, strenne e storie di Natale

      Posted at 11:50 am12 by ophelinhap, on December 2, 2018

      Questa casella è scritta e aperta da Mara di Ipsa legit

       

      Dicembre è appena cominciato, ma il profumo del Natale è già nell’aria, soprattutto in questa piccola cittadina di montagna dove mi sono trasferita l’anno scorso per lavorare come insegnante. Il profumo del Natale è fatto dell’odore inconfondibile dell’aria che aspetta la neve, l’aroma della cioccolata calda, il sentore dei focolari accesi oltre le finestre chiuse delle case, la fragranza del plaid in tartan appena lavato e stirato e steso sul divano, in attesa della sera. 

      Il profumo del Natale è anche quello della carta delle pagine di un libro; a maggior ragione se il libro è una raccolta di racconti seasonal, come si dice in inglese: una collezione di storie di epoche, lingue e mondi diversi che narrano o celebrano la festività, esplorandone i significati antropologici e psicologici, storici e letterari. Non è un caso se, in questo periodo, gli scaffali delle librerie ce ne offrono una scelta amplissima, e ogni anno io non posso esimermi dal leggere questa o quella raccolta, di antica o nuova pubblicazione, firmata da uno solo o da tanti autori, di era vittoriana o contemporanea, condita di ironia o di mistero, per bambini o per i lettori di tutte le età. 

      Lo scorso anno, però, è stato speciale. Nel 2017, infatti, è uscita in libreria la “mia” personale raccolta di racconti natalizi, che Edizioni Croce mi ha invitata a scegliere, a compilare, a tradurre (con la collaborazione di altri due valenti traduttori) e soprattutto a introdurre, regalandomi così la possibilità di mettere su carta tutto ciò che il Natale letterario ha significato e significa per me.

      Questa raccolta si chiama Neve, strenne e storie di Natale e vi si possono trovare delle vere e proprie gemme di narrativa natalizia, alcune delle quali inedite in italiano e scovate dopo lunghissime ricerche fra gli archivi.

      Thurlow e il racconto di Natale di John K. Bangs è una storia di fantasmi, scritta con sapienza, avvincente e con un colpo di scena davvero ben riuscito. Pat Hobby e il suo desiderio di Natale di Francis Scott Fitzgerald è una testimonianza in prima persona della classica Hollywood, nella quale il grande scrittore americano tentò più di una volta di trovare il successo. L’ideale infranto di Maria Messina è un delizioso racconto della provincia italiana, nel quale si mescolano nostalgia, realismo e buon senso. Jesusa di Emilia Pardo Bazán è denso della religiosità misteriosa del Natale. Tilly di Louisa May Alcott smuove la forza dei nostri ricordi infantili. Neanche per idea di Anthony Trollope è il tipico racconto vittoriano, impreziosito da una morale che non passa mai di moda. College Santa Claus di Ralph Henry Barbour è forse “il” racconto di Natale per eccellenza, colmo del senso di condivisione e di amicizia che ogni Natale dovrebbe portare con sé. Il mio primo Natale felice di Mary Elizabeth Braddon è un altro racconto vittoriano, che da buon rappresentante della sua epoca ci regala cascate di luce, di cibo e di allegria (con velati riferimenti, tuttavia, al dark side della scrittura del tempo, di cui Braddon fu un’eccelsa portavoce). Il sarto di Gloucester di Beatrix Potter è una perla potteriana, che non tradisce le attese. Infine, Discesa dalle nuvole di Grazia Deledda ci regala un bellissimo quadretto di vita femminile italiana, in preparazione delle feste e dell’inevitabile carico di meditazioni che risvegliano dentro di noi.

      Per scrivere la mia introduzione, Sotto lo stesso albero. Racconti natalizi fra tradizione popolare, idealità e iconografia, mi sono immersa in un mondo caldo e sfavillante, ma anche profumato di cibo e tradizione, scoprendo aneddoti e storie che non conoscevo, e che spero contribuiranno a rendere il vostro prossimo Natale ancora più speciale. In questo libro troverete racconti di famiglie, di ragazzi, di giochi nella neve, di amicizia, di feste più o meno riuscite, di carità, di ricordi e di malinconia. Queste pagine dense di sentimento e di riflessione, se lo vorrete, potranno incamminarsi con voi verso il Natale oppure farvi compagnia proprio durante le feste, nella quiete di un salotto illuminato da un camino acceso e nell’eco delle carole; una nota di particolare bellezza è la quarta di copertina del volumetto, che si trasforma, nella magia di un attimo, in un biglietto d’auguri colmo di sorrisi.

       Buon Avvento e Buon Natale a tutti voi! 

       

       SCHEDA DEL LIBRO

       Neve, strenne e storie di Natale

       A cura di Mara Barbuni

       Traduzioni di S. Asaro, M. Barbuni, V. Visaggio

       Edizioni Croce, Roma 2017

       Prezzo: 16€

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    • Il Calendario dell’Avvento letterario #1: Natale con Bridget Jones

      Posted at 11:50 am12 by ophelinhap, on December 1, 2018

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      Questa casella è scritta e aperta da me medesima

      Calendario dell’Avvento letterario: posologia e istruzioni per l’uso

      Il Calendario dell’Avvento Letterario è un progetto nato nel 2015, volto a rivisitare l’attesa dell’Avvento in chiave alternativa e imprevedibile. Il Natale è un periodo di condivisione, e io e gli altri blogger partecipanti vogliamo donare a tutti voi spunti, curiosità, aneddoti natalizi raccontati dai nostri scrittori del cuore o vissuti dai nostri personaggi letterari preferiti. Ogni giorno, uno di noi vi farà compagnia aprendo una casella del Calendario: in cambio, vi chiediamo di regalarci qualche momento del vostro tempo, fermarvi a leggere e a lasciare un commento e visitare i siti dei blogger partecipanti, tutti incredibilmente preparati e talentuosi.

      Effetti collaterali

      Attenzione: il Calendario dell’Avvento letterario può avere effetti collaterali, nella fattispecie: una strana tendenza all’allegria e alla leggerezza; un’irresistibile spinta a canticchiare canzoni di Natale; un precipitoso e rovinoso aumento delle vostre wishlist natalizie di libri; una spasmodica necessità di consultare Google maps per cercare il mercatino di Natale più vicino; una pericolosa tendenza ad alimentarsi esclusivamente di pandoro, mince pies ed eggnog; infine, un’irrefrenabile voglia di indossare esclusivamente maglioni di Natale e vestitini da elfo.

      Poi non dite che non vi ho messo in guardia. Pronti?

      1

      At Christmas little children sing and merry bells jingle,

      The cold winter air makes our hands and faces tingle

      And happy families go to church and cheerily they mingle

      And the whole business is unbelievably dreadful, if you’re single.

      (Wendy Cope, da Serious Concerns, Faber&Faber)

      Ah, la magia del Natale. Le decorazioni, le luci, l’atmosfera, i maglioni con le renne, i mercatini, il vin brûlé, l’incanto nell’aria, eccetera eccetera. Cosa succede invece se sei una single che ha superato i trenta, con un lavoro poco soddisfacente e qualche chilo di troppo, perennemente vessata dalla genitrice, dalla società e dall’orologio biologico?

      E l’intera faccenda, se sei single

      È dura veramente.

      2

      La protagonista della casella di oggi è la single più famosa del mondo, così buffa, goffa e spontanea da offrire una boccata d’aria fresca in una società in cui siamo circondati sempre più da modelli di perfezione – reale o artefatta che sia. Quindi, per questo Natale, dimenticatevi i profili Instagram di influencer bellissime, dagli outfit all’ultima moda abbinati a quelli dell’immacolata progenie, al design della casa – possibilmente scandinavo –  e all’ultimo food trend a disposizione: infilate il maglione natalizio più osceno che avete a disposizione – se si illumina ancora meglio, accendete Love Boat e aprite una buona bottiglia di vino mentre cantata a squarciagola All by myself. Pronti?

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      Il diario di Bridget Jones inizia a capodanno, con i buoni propositi del caso: fumare meno, bere meno, mangiare meglio, andare in palestra, leggere di più, evitare di procrastinare. Soprattutto, evitare di innamorarsi di uomini disfunzionali, intolleranti alle relazioni, bugiardi, inaffidabili, inattendibili. I Mr Wickam della situazione, insomma. D’altro canto, l’intero diario può essere considerato un omaggio a Orgoglio e pregiudizio: c’è la signora Bennet, interpretata da Pam Jones, la petulante, sguaiata, inopportuna, ipercritica madre di Bridget; c’è il perfido Wickam, impersonato da Daniel Cleaver, affascinante playboy che, guarda caso, è anche il capo di Bridget; e poi c’è ovviamente Lui, Mark Darcy, serio e impettito avvocato difensore dei diritti umani.

      Mark Darcy vota Tory, vive in un’enorme casa a Holland Park, ha frequentato una boarding school e l’università di Cambridge e ha la puzza sotto al naso; Bridget vota Labour, sogna di lavorare in televisione e ha paura di finire sola e divorata da un pastore alsaziano. I due hanno in comune la provenienza dal paesino di Grafton Underwood, dove si re-incontrano in occasione di un buffet natalizio a base di tacchino al curry. Bridget accusa i postumi di una sbronza, Mark ha un orrendo maglione natalizio regalatogli da un’amica della madre: le reciproche prime impressioni non lasciano presagire niente di buono, proprio come nel caso del primo incontro tra Ms Darcy ed Elizabeth Bennet.

      1. Don’t see him. Don’t phone or write a letter.
      2. The easy way: get to know him better.

      (Wendy Cope, Two Cures for Love)

       

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      Perché Bridget Jones e Wendy Cope insieme? Perché la Cope è considerate la paladina delle donne single. Perché è stata una delle prime poetesse a dar voce alla solitudine, al senso di isolamento rispetto ai colleghi uomini, all’alienazione che può derivare dal vivere sola in un appartamento londinese, lavorando da casa e non avendo nessuno a cui ricorrere quando la lavatrice si rompe e l’appartamento è sommerso d’acqua. Perché Londra a Natale può diventare un percorso ad ostacoli, un non-luogo ostile pieno di famiglie felici che vanno a pattinare al Natural History Museum e che sono in fondo la raison d’etre dell’intero apparato natalizio;

      E l’intera faccenda, se sei single

      È dura veramente.

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      Come Bridget, anche Wendy, prima di conoscere a 41 anni il suo futuro marito, ha collezionato una sfilza di appuntamenti insoddisfacenti e amori deludenti, che l’hanno portata ad assumere una posizione disincantata nei confronti delle relazioni, senza perdere però ironia e sarcasmo, come nei versi riportati di seguito, in cui la poetessa paragona gli uomini a quei maledetti bus sempre in ritardo che poi arrivano tutti insieme quando meno te l’aspetti:

      Bloody men are like bloody buses —
      You wait for about a year
      And as soon as one approaches your stop
      Two or three others appear.

      A differenza di Bridget, la Cope non sogna fiori d’arancio e vestiti bianchi; la poetessa, un’icona del femminismo, nutre seri dubbi nei confronti dell’istituzione matrimoniale e, quando incontra il suo Mr Darcy (il poeta Lachlan Mackinnon) non vorrebbe convolare a nozze. I due di sposano solo dopo vent’anni di convivenza, quando il parlamento inglese non porta avanti la proposta di legge sulle coppie di fatto. Sul femminismo, la Cope dichiara:

      I would call myself a feminist, and I think things have improved, but there are still things that depress me. High heels, for example. The fact that, after all we’ve been through, women are still persuaded to wear those ridiculous shoes just appalls me. The idea of young women being against feminists because they think they’re ugly old women also makes me very cross. They’ve benefited from feminists.

       (Mi definirei una femminista, e penso che la situazione sia migliorata, ma ci sono ancora cose che mi deprimono. I tacchi, per esempio. L’idea che, dopo tutto quello che hanno passato, le donne si lascino ancora persuadere a portare quelle scarpe ridicole mi sconvolge. Anche il fatto che ci siano ragazze che criticano le femministe perché pensano che siano solo delle brutte vecchiacce mi fa arrabbiare. Hanno beneficiato delle femministe).

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      Ma è una casella dell’Avvento letterario, non dovremmo parlare di tacchino arrosto e panettoni invece che disquisire sul femminismo? Giuro che, almeno nella mia testa, è tutto collegato, ma per farvi capire devo passare attraverso un libro che va anche a finire dritto dritto nelle vostre letterine a Babbo Natale e nelle liste regali: si tratta di una raccolta di articoli sul femminismo, intitolata Feminists do not wear pink (and other lies). La raccolta, curata da Scarlett Curtis, affronta quello che è da una parte un luogo comune, dall’altra un apparente ossimoro, come traspare anche dalle parole della Cope: se mi metto i tacchi e i vestitini alla moda, se il mio colore preferito è il rosa e rifuggo dalle magliette con gli slogan, posso comunque citare la Solnit e definirmi una femminista?

      La risposta delle giornaliste, scrittrici e attrici che contribuiscono alla raccolta è un univoco, roboante SI. E quale personaggio compare nella raccolta, con una serie di pagine di diario inedite? La nostra Bridget Jones, ovviamente.

      Bridget ha due amiche molto strette, Shazzer e Jude. La prima è un’accesa femminista, la seconda un’inguaribile romantica, invischiata in una relazione un po’ morbosa con il Perfido Richard.

      Nel Diario di Bridget Jones, sia Bridget che Jude sono abbastanza a disagio con il femminismo ‘stridente’ di Shazzer: agli uomini non piacciono le femministe agguerrite (e nemmeno quelle pacate…)

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      In Feminists don’t wear pink, Bridget riflette sul perché esitasse a definirsi una femminista, e, alla luce di #MeToo, ripensa agli abbracci un po’ troppo stretti dello ‘zio’ Geoffrey al buffet natalizio a base di tacchino al curry e alle attenzioni ‘speciali’ dei suoi colleghi (e superiori) Daniel Cleaver/ Wickam e Fitzherbert (non a caso soprannominato Fitzpervert).

      La Bridget degli anni ’90 ha un lavoro, un appartamento e un gruppo stretto, forse anche troppo co-dipendente, di amici: forse allora, anche se il buffet natalizio a base di tacchino al curry non avesse fatto scattare una serie di eventi che avrebbero portato Bridget e Darcy prima ad odiarsi, poi ad amarsi, tra i problemi con la giustizia di Pam Jones e le bugie di Danier Cleaver/Wickam, quella di Bridget non sarebbe stata poi una brutta storia. Se Darcy non avesse superato il suo orgoglio e Bridget i suoi pregiudizi, e non fossero finiti a festeggiare il Natale successivo insieme, ci sarebbe stato comunque un lieto fine.

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      Forse il Natale non appartiene solo alle famiglie felici, anzi: appartiene alle famiglie monoparentali, alle ragazze madri, agli anziani soli (ricordate Man on the moon, la bellissima pubblicità di Natale di John Lewis del 2015? Vi sfido a guardarla senza piangere), a quelle donne che avrebbero tanto volute essere madri ma non lo sono, ai rifugiati, ai senzatetto, agli orfani, a chi ha perso una persona cara, ai single di tutto il mondo.

      Facciamo tutti il tifo per Bridget e Mark Darcy, come lo abbiamo fatto per secoli per Elizabeth e Mr Darcy, ed è una cosa bellissima, perché il Natale è il momento perfetto per la felicità e l’amore: ma si può essere felici in tanti modi diversi e ci sono infinite forme di amore. Wendy Cope e la nuova Bridget ci insegnano che il Natale può sorprenderci con un lieto fine inaspettato. E, dopo aver aperto questa casella, mi auguro che tutti sentiate la voglia e il desiderio di tirar fuori la Bridget che vive in tutti voi, mettere a tacere l’ansia di perfezione, amarvi per quello che siete, alzare la cornetta e chiamare qualcuno per cui questo Natale sarà più difficile del vostro. Perché, finché ci stringiamo tutti insieme intorno al tacchino freddo al curry di Pam Jones, nessuno è solo.

      Che sia un Natale a misura di tutti, che sia un Natale per tutti. Quello che vi auguro di trovare sotto l’albero è la versione migliore di voi stessi.

      Tuttavia, dato che la protagonista di questa casella è Bridget, che è una material girl, come canta la sua adorata Madonna, vi lascio con qualche spunto e ispirazione per i vostri regali sotto l’albero, per un Natale da vera Bridget Jones:

      • Un’alternativa al classico maglione di Natale, per ricordarci che ci sono le ferie e possiamo recuperare un po’ di libri che hanno preso polvere sul comodino

      IMG_5567.JPG

      • Il vestito perfetto per partecipare al buffet a base di tacchino al curry di Pam Jones e incontrare il vostro Mr Darcy

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      • Il diario di Bridget Jones, ovviamente

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      • Le poesie di Wendy Cope
      • Feminists don’t wear pink and other lies, ovviamente

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      Sountrack: Rudolph the red nose reindeer, la storia di una renna ‘diversa’ che diventa protagonista del Natale, per ricordarci che questa deve’essere anche una festa di inclusione, un falò del bullismo e dei pregiudizi. Una festa del cuore e dell’anima, insomma, durante la quale, per una volta, proviamo sul serio a pensare anche agli altri.

       

      Hohoho, Merry Christmas!

      Posted in Il Calendario dell'Avvento Letterario | 3 Comments | Tagged #AvventoLetterario, Bridget Jones, Elizabeth Bennet, Faber & Faber, helen fielding, Il Calendario dell'Avvento Letterario, Jane Austen, Mr Darcy, orgoglio e pregiudizio, Wendy Cope, Wickam
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