la piccola Ophelia vestita di bianco va incontro alla notte dolcissima e scalza,
nelle sue mani ghirlande di fiori e nei suoi capelli riflessi di sogni,
nei suoi pensieri mille colori di vita e di morte, di veglia e di sonno…
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Silvia Camporesi, Dreams are like a white flower |
Dicono che Ofelia fosse bella.
Non di una bellezza appariscente: di una bellezza lacustre, opalescente, lunare, di pallidi bagliori e trasparenze.
Dicono che Ofelia avesse la pelle talmente bianca e sottile e fragile che attraverso di essa si poteva vedere la sua anima. E la sua anima era fatta d’aria, e il suo corpo era di muschio fragrante e terra umida della foresta, foglie autunnali d’oro e di rame e acqua. Acqua quieta e immota di un lago metallico, senza tempo; acqua torbida e inquieta, scroscio argentino di una sorgente segreta, nascosta.
Dicono che Ofelia avesse gli occhi di stelle spente e foglie morte, e lunghi capelli scuri di salici piangenti intrecciati con crisantemi.
Dicono Ofelia portasse con sé, ovunque andasse, un profumo di assenza, un presagio della sua precarietà e fragilità. Dicono che, sotto il battito delle sue lunghe ciglia scure e arcuate, si celasse un senso di inesorabile addio.
Dicono Ofelia amasse. Ma non come amano le persone comuni: dicono che amasse dolorosamente, come se l’inevitabile conseguenza dell’amare fosse il perdere. Dicono che amasse così intensamente e disperatemente che un giorno il cuore le scoppiò in petto – un istante, giusto il tempo di un sospiro – lasciandola inerte, per sempre addormentata, per sempre, cullata dall’acqua, per sempre.
Dicono fosse una piccola ninfa dei boschi, e che sia semplicemente tornata a far parte di quegli elementi – l’aria, l’acqua, la terra – ai quali apparteneva. Un’inevitabile restituzione, un cerchio che si chiude, un ciclo che si completa.
Dicono che Ofelia vestisse sempre di bianco e non legasse mai i capelli, avesse l’anima trasparente e nel cuore un dolore nero.
Dicono che Ofelia vivesse di passato, che ignorasse il presente e non credesse nel futuro. Dicono che attraversasse la vita sfiorandola appena, in punta di piedi, tanto che quando camminava sembrava quasi levitasse, senza far rumore. La più terrena e la più celeste delle creature.
Dicono che Ofelia non credesse nelle cose reali, ma riponesse una fede cieca ed incrollabile negli amori impossibili, nei se e nei forse, nelle strade mai percorse, nei fiori mai colti, nei baci rubati, negli abbracci spezzati.
Dicono che Ofelia parlasse spesso da sola, e cantasse ai cristantemi e alle foglie d’autunno dolci e malinconiche nenie sul suo amore impossibile, su quell’illusione portatale via, su quel suo povero cuore maciullato a colpi di machete. Sulla sua solitudine eterna.
Dicono che Ofelia fosse pazza. D’amore e di dolore.
Il vento della foresta narra che era rara e preziosa, troppo fragile per vivere.
Dicono che Ofelia, prima di abbandonarsi con ingenua, infantile e cieca fiducia all’abbraccio estremo dell’acqua verde di foglie e di alberi e di boschi e di muschio, avesse cercato di gridare.
Ma, come nei peggiori incubi, aveva perso la voce, dicono.
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Silvia Camporesi |
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Silvia Camporesi |
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Kirsten Dunst in Melancholia, Lars Von Trier |
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John Everett Millais |
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Nadav Kander, Erin O’Connor posing as Ophelia, 2004
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Tom Hunter, The way home, 2000
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Saoirse Ronan: The Cult of Beauty – Vogue US photographed by Steven Meisel, December 2011
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“Ophelia” remake by Elena Ayllon
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Silvia Camporesi
Photography by Sanchez and Mongiello |
3 thoughts on “Dicono di Ofelia”
Why
Immagini una più bella dell'altra..! Ciao cara!
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Ophelinha
grazie Why!d'altro canto, Ofelia si presta a interpretazioni infinite..
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